In Sicilia muore il Nazareno [di Lucia Annunziata]

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L’Huffingtonpost.it  6 novembre 2017. Se la Sicilia è, davvero, il laboratorio di cui tanto si parla, il suo voto ci dice che la grande coalizione, il Nazareno, o come volete chiamarla, insomma l’accordone fra la destra e il Pd è stato ucciso prima ancora di nascere nelle urne della Trinacria. La forma, i modi e i numeri della vittoria del centrodestra dell’Isola, letti insieme a quelli del disastro Pd provano infatti che Renzi potrebbe essere parte di una grande coalizione con Silvio solo come junior partner: una posizione definitivamente impossibile da accettare da parte del segretario del Pd, o da chiunque altro nei suoi panni.

Guardiamo ai numeri. Nel centrodestra ci sono stati tre canali di raccolta del voto. Vince col 16 per cento Silvio Berlusconi – prova di una imperitura fedeltà di una parte dell’elettorale italiano a questo leader, che viene messo da questo risultato in una posizione indiscussa a capo della sua area. Il numero che salda la vittoria del centrodestra viene dunque dalla lista Musumeci che prende il 7 per cento dei favori degli elettori. Buona parte di questo consenso viene dal serbatoio di Fratelli d’Italia – come è naturale che fosse visto che si tratta dopotutto della stessa farina.

Non sono esaltanti i risultati di Meloni e Salvini, a cavallo della soglia del 5 per cento per entrare nel Consiglio Regionale, anche se il valore di questo risultato per Fratelli d’Italia è che si fonde con quello di Musumeci che viene dalla stessa area. Quel 5 per cento rimane però la prova che la seduzione sovranista, o antisistema che sia, agitata dai due partiti, non parla molto alla base del centrodestra, almeno al Sud. Né fa meraviglia questa freddezza. L’Isola che ha un Statuto speciale, ha 5 volte il numero di impiegati pubblici della Regione Lombardia, e trattiene il 100 per cento delle proprie tasse, non è esattamente il terreno più fertile per spinte radicali antistatali o antieuropee.

La lettura finale di questi dati è che il centrodestra che ha vinto in Sicilia si presenta oggi sulla scena politica in una versione in parte inedita. È un blocco abbastanza compatto, a dispetto di quel che si diceva prima del voto, quando inquietava la tenuta della coalizione; ma questa compattezza trovata assorbendo voti della Lega e di Fratelli d’Italia dà al blocco moderato che la compone una inclinazione molto conservatrice, una forte venatura identitaria.

Anche i 5 Stelle escono dal voto con una sorte di nuova pelle. Hanno perso, ma sono il primo partito perché il loro voto è quasi duplicato, e questo grazie alla grande attrazione che hanno esercitato sul voto della sinistra: il centrosinistra perde 10 punti ma, anche se la misura non è sicura, ne guadagna otto Cancelleri. Il Pd si ritrova a questo punto in una situazione in cui con i suoi voti non è più centrale né numericamente né culturalmente nell’eventuale schema del Nazareno.

La coalizione permette infatti una quasi autosufficienza al centrodestra e la sua caratura ideologica moderata, ma spostata a destra, non include i moderati del Pd. L’unico ruolo possibile al Partito democratico potrebbe esser quello del junior partner, appunto; una sorta di appoggio esterno/interno a un governo di centrodestra. Un suicidio per Renzi che nella sua vita politica ha saputo fare spesso patti, ma non è mai stato incline ad accettare condizioni di servitù.

Insomma, la Sicilia doveva ristabilire per il futuro dell’Italia uno schema binario: Governo di Grande coalizione nazarenica, con il movimento pentastellato tenuto finalmente fuori. La debacle del Pd, che di fatto diventa irrilevante con il suo serbatoio di voti, ci riconsegna al solito schema che ha dannato la politica di questi ultimi cinque anni: il tripartito di fatto.

Se dovessimo oggi guardare al futuro politico dell’Italia attraverso la lente siciliana, in Italia nel prossimo futuro si potrebbe materializzare un governo di centrodestra, solido a sufficienza da garantirsi la possibilità di governare – magari con apertura ad alcuni apporti “tecnici”. All’opposizione ci sarebbe M5S che a quel punto però dovrebbe prendere marcatamente le distanze dalla sua componente interna di destra. E un Pd, esso stesso all’opposizione del centrodestra. Con la conseguenza che fra M5S e Pd si eserciterà una nuova competizione – sull’unico possibile terreno di opposizione: l’attacco al sistema.

Scenario che del resto si è già materializzato in questi ultimi mesi, su molte proposte di legge e sociali incrociatesi fra Pd e pentastellati. Con una piccola, ma non insignificante, inversione di ruoli. Il Pd che finora era al governo, in questa ipotesi, è il terzo partito, diventando la ruota di scorta di una opposizione alla destra in cui M5S fa la parte del leone.

Tutto questo, ovviamente, come si diceva, a patto che la Sicilia sia un laboratorio nazionale. E probabilmente non è così. Troppe unicità nell’Isola e troppe eccezioni di capibastone, flussi elettorali, e leggi amministrative. Ma le suggestioni che rilasciano nell’aria alla loro aperture queste urne siciliane, non sanno, comunque, esattamente, di zagare. Per il Pd in particolare.

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