A proposito di Legge Urbanistica, di fake news e disinformazione, e d’altro ancora [di Giuseppe Biggio]

La marmolata

Quest’intervento prende le mosse da un recente articolo, comparso su La Nuova Sardegna,  di Giuseppe Pulina, amministratore unico dell’Ente regionale Forestas,  sul DDL sul governo del territorio a cui ha replicato, anche  in queste pagine, Antonietta Mazzette. In sintesi vi si afferma che sul DDL circolano diverse “bufale”.

In particolare si sostiene che, contrariamente alla paventata cementificazione delle coste, il testo di legge prevedrebbe solo limitati adeguamenti volumetrici; un insignificante consumo di suolo; infine che il PPR, approvato nel 2006, non sarebbe stato  concertato col Ministero Beni Culturali e neanche condiviso coi portatori di interesse (sic!).

Tra gli oltre cento articoli pubblicati sul DDL in http://www.sardegnasoprattutto.com, in cui si trovano molti interventi del prof. Pulina, mette conto richiamare, specie sull’edificazione entro i 300 m dalla battigia, quelli circostanziati di Paolo Numerico (già Presidente del TAR Sardegna e già vicepresidente di una Sezione del Consiglio di Stato ) e di Paolo Urbani (Ordinario di Diritto Amministrativo) per il ruolo e la competenza dei due.

Questo per stare a quanto richiama spesso l’attuale amministratore di Forestas: la centralità dei saperi e delle competenze per battere fake news e disinformazione. A meno che non ritenga di essere il solo detentore se non di tutti di quasi tutti i saperi e le competenze!

Venendo al merito. Per quanto riguarda il consumo del suolo, l’articolo riporta gli ettari di territorio urbanizzato, valutato da studi pubblicati su La Nuova Sardegna propedeutici al PPR delle zone interne (quindi desumo risalenti al 2008) e concludeva: “relegando l’Isola agli ultimi posti dell’Europa relativamente alla densità del costruito“.

Ma se anziché i dati prodotti dal giornale sassarese – peraltro vecchi di 10 anni – consideriamo i dati ufficiali riportati nel Rapporto ISPRA 2017 (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Ente pubblico del Ministero dell’Ambiente) troviamo il seguente spaccato della Sardegna.

Consumo di suolo in Sardegna = 90.445 Ha.  Incremento nell’ultimo anno = 0,26% (contro la media nazionale di 0,22%) e con punte nella Provincia di Olbia-Tempio pari a 0,49%, di cui il 3,1% ricadente in aree a pericolosità di frana “Molto Elevata” (media nazionale 2,8%). Suolo consumato pro-capite sino al 2016 = 545 mq/ab (media nazionale 380). Incremento pro-capite nell’ultimo anno 2,88 mq/ab/anno (media nazionale 1,53) e con punte nella Provincia di Olbia-Tempio pari a 7,8 mq/ab/anno.

Sebbene questi dati parlino da soli ed evidenzino come il fenomeno sia tutt’altro che da sottovalutare, vediamo cosa si intende precisamente per consumo del suolo.

Il consumo di suolo netto è valutato attraverso il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione o altro (Commissione Europea, 2012). In un recente documento inoltre l’Unione Europea chiarisce che l’azzeramento del consumo di suolo netto è un obiettivo da raggiungere entro il 2050.

Inoltre è necessario considerare che non sempre la stessa superficie di suolo consumato provoca i medesimi effetti. Pensiamo alle aree agricole più fertili che vengono sottratte all’economia globale, a quelle rese irrigue grazie ai finanziamenti pubblici, alle aree panoramiche o a quelle più prossime ai beni paesaggistici.

Nonostante la perdita della qualità intrinseca del territorio naturale sacrificato all’urbanizzazione, occorre considerare anche la sua dispersione territoriale, lo sprawl urbano, che incide in maniera determinante sui margini della città. Al punto che in urbanistica per valutare la dispersione si utilizza l’indice ID (Indice di Dispersione), ovvero il rapporto tra le aree a media/bassa densità e le aree ad alta e media/bassa densità. E anche in questo caso la Sardegna non gode di posizione privilegiata: 87,1% (media nazionale 85,0%), situazione accentuata maggiormente nelle aree periurbane e rurali.

Si consuma suolo perdendo cittadini o per “cittadini-fantasmi”: una cementificazione inutile e dissipativa. Si perseguono politiche urbanistiche che verosimilmente avranno generato tre situazioni:

a) il nuovo costruito rimane vuoto;

b) il nuovo costruito si è riempito svuotando parte del vecchio che nel frattempo è diventato dismesso o inutilizzato, come lo sono tante aree interne o tanti centri storici o come le aree produttive ai margini dell’urbano;

c) il nuovo costruito è finalizzato alle seconde case e quindi viene utilizzato solo un mese all’anno. In tutti e tre i casi il danno economico è rilevante.

L’impatto economico del consumo di suolo in Italia varia tra i 625,5 e i 907,9 milioni di euro l’anno – valutati per difetto – pari ad un costo compreso tra 30.591 e 44.400 euro per ogni ettaro di suolo consumato.

Al di là dei numeri, comunque significativi, è utile mettere in evidenza alcune questioni rilevanti, connesse alle dinamiche tra i sistemi socioeconomici e quelli ambientali. La monetizzazione ha sicuramente il pregio di segnalare la scarsità di un bene o di un servizio e di evidenziare gli scambi, fornendo ai pubblici decisori elementi sui quali poter riflettere.

Tale ragionamento conduce alla questione etica, ossia al dibattito sulla correttezza nell’assegnare un valore economico all’ambiente. Il dibattito sull’opportunità di assegnare un prezzo alla natura è molto intenso all’estero, meno in Italia. Va chiarito che la valutazione economica – e quindi l’assegnazione di prezzi – dei beni ambientali non è un modo per “commercializzare” la natura, ma solo il metodo per poter gestire, sia a livello pubblico che privato, in modo più efficace il Capitale Naturale.

Dell’articolo di Pulina rimane infine da chiarire se il PPR, approvato nel 2006, sia stato concertato col Ministero Beni Culturali e condiviso coi portatori di interesse. Che sia stato concertato col Ministero è dimostrabile in vari modi: intanto tutte le informazioni storico-archeologiche del PPR sono state fornite proprio dalle Soprintendenze, per cui è innegabile che ci sia stata una reale Copianificazione; l’iter seguito per l’approvazione del PPR è quello previsto in legge, altrimenti il Ministero avrebbe vinto qualsivoglia impugnativa come è invece accaduta con le norme fin qui emanate dalla giunta Pigliaru.

Va ricordato a tutti e all’amministratore di Forestas in particolare che nel periodo antecedente l’approvazione del PPR, in poco più di un mese (dal 9/1 al 16/2/2006) si sono svolte 23 Conferenze pubbliche con comuni e province. Sono stati invitati e sentiti amministratori comunali e provinciali, dirigenti e funzionari, consulenti, ANCI, API Sarda, Associazioni Industriali, sigle sindacali, clero, ordini professionali, Consorzi di bonifica, Corte dei Conti, Associazioni ambientaliste, INU, testate giornalistiche, imprese di produzione energetica e infine liberi professionisti ed i cittadini tutti.

Le Conferenze di copianificazione sono state convocate al fine di assicurare la concertazione istituzionale e la partecipazione di tutti i soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi. Contestualmente si è provveduto ad organizzare incontri e riunioni di lavoro presso l’Ufficio del Piano, oggi azzerato, a Cagliari e negli uffici periferici, con tecnici ed amministratori comunali, singolarmente per ciascun comune interessato, al fine di acquisire gli elementi di dettaglio e di approfondimento di scala ritenuti indispensabili per il perfezionamento degli atti dello Schema di Piano Paesaggistico.

Possiamo quindi concludere che proprio le fake news, accusate nell’articolo de La Nuova Sardegna dal prof. Pulina, attribuite ad un cospicuo ed autorevole gruppo di specialisti, le cui competenze sono ben note all’estensore, costituiscono il fondamento delle proprie affermazioni. Capita anche ai migliori di fare autogol!

*già Direttore del Servizio Pianificazione della Regione Sardegna

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