Con Freud alla Scala [di Franco Masala]

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Paul, vedovo inconsolabile, vive nel culto della moglie scomparsa prematuramente. Un amico, Frank, cerca invano di distoglierlo dalle sue ossessioni. Marietta, ballerina sosia della defunta, irretisce Paul, dandosi anche ad altri, Frank compreso. All’ennesima provocazione Paul strangola Marietta con la treccia-feticcio della morta. In realtà, è stato un sogno che vale però a liberare Paul dal tormento e a fargli abbandonare definitivamente Bruges, città morta e bigotta.

Questa in estrema sintesi la trama dell’opera Die tote Stadt (La città morta) che ha appena concluso le sue recite al Teatro alla Scala di Milano. Tratta dal romanzo di Georges Rodenbach Bruges-la-Morte e rappresentata per la prima volta in simultanea a Colonia e Amburgo il 4 dicembre 1920 con grandissimo favore, è opera di un musicista austriaco, Erich Wolfgang Korngold (1897-1957), precoce genio musicale, indotto a lasciare l’Europa con l’avvento di Hitler per recarsi a Hollywood dove divenne un acclamatissimo e innovativo compositore di musiche per film (due Oscar).

Con l’Anschluss il distacco da Vienna fu definitivo e le fortune di Die tote Stadt crollarono immediatamente. Il ritorno europeo nel dopoguerra non sortì gli effetti sperati e Korngold, considerato musicista superatissimo, tornò mestamente negli States.

In realtà l’opera, giunta finalmente alla Scala a quasi cento anni dal battesimo, mostra una grande perizia musicale e rivela la conoscenza profonda di Wagner, Puccini e Richard Strauss ma anche dell’operetta primo ‘900 di Franz Lehár con una sapientissima orchestrazione che rende la musica interessante e teatrale al servizio di una storia che ha chiari risvolti psicanalitici.

Dominatrice assoluta della produzione scaligera è il soprano lituano Asmik Grigorian che non sai se ammirare di più come cantante infallibile o attrice e ballerina provetta oltre che donna fascinosa e sensuale. Le è accanto il tenore Klaus Florian Vogt, perfetto nei panni del vedovo nonostante la vocalità difficile e insidiosa. Terzo ma non ultimo il baritono Markus Werba snocciola la sua voce pastosa nel Lied di Pierrot dove esibisce una mezzavoce stupefacente, memore del suo acclamatissimo Papageno (anche a Cagliari, 2003 e 2014).

Completano la distribuzione vocale l’efficace Cristina Damian e alcuni ottimi allievi dell’Accademia scaligera, impegnatissimi nell’azione anche dalle soluzioni registiche.   Alan Gilbert dirige con perfetto equilibrio tra orchestra e palcoscenico in una esecuzione trascinante dove si fanno valere anche il coro e le voci bianche.

La cronaca non sarebbe completa se non si ricordasse l’eccezionale regia di Graham Vick che passa dal mondo altoborghese della realtà alla dimensione onirica con un crescendo di soluzioni, talvolta anche sovrabbondanti, culminanti nella processione del Corpus Domini quando i ragazzi cantori si trasformano nella gioventù hitleriana e clero e fedeli diventano aguzzini e deportati con le valigie e il loro doppio in divisa a righe dei lager.

Un colpo di teatro che suggella uno spettacolo indimenticabile, completato dalle scene e i costumi di Stuart Nunn e dalle luci di Giuseppe Di Iorio.

Scala gremita, successo trionfale.

*Asmik Grigorian, foto Brescia/Amisano ©

 

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