Dalle emergenze si esce con politiche di qualche respiro [di Umberto Cocco]

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E’ scaduto già da tre giorni il termine che il presidente Pigliaru si era dato il 29 maggio dopo la protesta dei sindaci, ed entro il quale la Regione avrebbe dovuto concordare con il governo “un adeguato ampliamento dello spazio finanziario per il 2014 a favore dei comuni”. Le promesse non si autoavverano: così è per Renzi, così per Pigliaru. Avevano promesso entrambi, inseguendosi senza coordinarsi, cantieri di edilizia scolastica, e Pigliaru una grande stagione di discussione sui modelli didattici e culturali per la Sardegna, a cominciare dalle aree a forte dispersione.

A giugno non ci saranno cantieri aperti nelle scuole italiane, e nemmeno a luglio. Difficile ad agosto, a settembre non si potranno più avviare, a scuola riaperta. Nel frattempo in questi giorni nel mio paese, che vantava orgogliosamente qualche primato nella Sardegna centrale per numero di laureati, da quando cominciarono i pastori a mandare i figli a scuola, di 17 ragazzi usciti dalle medie l’anno scorso e che hanno proseguito gli studi, ne vengono espulsi più della metà, fra ritiri e bocciature. Sicché è meglio non prendere le cose troppo alla leggera, e maneggiare con cura le promesse. Ogni data saltata è almeno una persona reale che ci rimette, prima del sindaco che vorrebbe magari farsi bello con un’opera pubblica in più. Non si deprecherà mai abbastanza la politica non solo di Cappellacci, ma dei sardi che hanno ritenuto, votandolo, che nel cemento fosse il futuro, la questione dirimente per la Sardegna il piano paesaggistico restrittivo. Ma adesso…. tocca a noi, e parliamo di noi.

La promessa dei 10 giorni è stata addirittura solenne, fatta a Roma con due distinti comunicati del Governo e della giunta regionale, che annunciavano anche la fine del patto di stabilità per la Regione già dal 2015, e il ripristino delle condizioni minime di agibilità per i comuni fra 1.000 e 5.000 abitanti. Solenne e un tantino trionfalistica (più nel comunicato della Regione che in quello del Governo).

Chissà il 2015, ma intanto senza l’ampliamento degli spazi finanziari i Comuni sopra i 1.000 abitanti non possono fare il bilancio, non possono spendere 100 euro, hanno tutto fermo, la Regione ha bloccato anche i bandi già vinti da centinaia di Comuni, sottratto 55milioni di trasferimenti così di colpo, mentre lo Stato sollecita la tassazione comunale, alternativa a quella che tutti i partiti hanno cancellato, facendosene belli. I municipi sono inutilmente aperti, gli impiegati pagati per ricevere sollecitazioni e proteste, gli amministratori in veste di bersagli facilmente raggiungibili. Si guardino i dati delle amministrative recenti in Italia: il ricambio generalizzato, anche se è andato a vantaggio del centrosinistra, è il risultato della ripulsa degli uscenti, fatti responsabili di colpe in gran parte non loro. Sembra un gioco al massacro, tocca a tutti prima o poi.

All’ultima assemblea dell’Anci a Firenze un presidente di Provincia (Saitta, Torino) rivolgendosi alla platea di amministratori dopo il ministro Del Rio che aveva annunciato lo scioglimento delle Province prima dell’avvento di Renzi, disse: “Bene, vedo che sorridete, tifate per lo scioglimento. Ma attenzione, prima o poi toccherà a voi, ai comuni, alle Regioni”.

Infatti. Sembrerebbe a volte un esito voluto, lo svuotamento dei poteri dei Comuni: meno esplicitato rispetto alle altre semplificazioni, all’accentramento statale, alla cancellazione di organi periferici, enti intermedi, le Regioni messe fortemente in discussione. Ma è ancora più definitivo perché subdolamente reale, un colpettino al giorno. L’ultimo lo danno i sindaci che decidono, con gesto amplificato dai giornali, di non far pagare la Tari, la tassa sui servizi indivisibili. Che metteranno a carico del bilancio comunale, rinunciando a investimenti nella scuola, che non rivendica nessuno, immaginandole come un lusso, questo dice il luogo comune diffuso, e prima viene il pane, l’assistenza….

Ci sono buonissime e a volte ottime ragioni per rivedere l’assetto dello Stato, anche la frantumazione costosa dei comuni, la loro ritrosia (in Sardegna) ad associare funzioni, per tagliare spese e guadagnare in efficacia.

Ma insomma, farlo per asfissia, senza discuterne, senza interloquire, non è una buona politica, nemmeno per chi pensa di avvantaggiarsene in una fase o nell’altra di questo processo “spontaneo”. Le difficoltà sono sotto gli occhi di tutti, l’ultima cosa utile è una guerra per la spartizione delle risorse scarse, fra comuni e regione, fra i cantieri comunali e l’università, fra le aree delle crisi post industriali e quelle agricole in depressione inarrestabile.

Ma un senso datecelo, datelo alle cose, una scala di priorità, perché anche dalle emergenze si esce con politiche di qualche respiro. La scuola sembrava una di queste, e il presidio del territorio con amministrazioni intelligenti.

*Sindaco di Sedilo

2 Comments

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  2. maria ignazia massa

    L’accentramento è nemico della democrazia e allontana dalla realtà. Abbiamo sempre saputo che a Roma non si conosce la situazione delle periferie, se non a livello teorico.

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