Il prezzo dell’indulgenza [di Silvano Tagliagambe]

astensionismo

I chirurghi e gli oncologi sanno benissimo che, di fronte al male, bisogna essere radicali. Non si può correre il rischio di lasciarsi sfuggire neppure una sola cellula contaminata, perché il pericolo è che, diffondendosi e crescendo, finisca per compromettere la salute dell’intero organismo. E sanno anche che un tumore maligno ha la capacità non solo di crescere in maniera molto aggressiva localmente, ma anche di dare localizzazioni a distanza, le metastasi, per cui se non viene asportato completamente e se non si fa in modo di evitare la contaminazione dei tessuti vicini per contiguità le conseguenze saranno inevitabilmente devastanti.

Quello che sta emergendo in questi giorni dall’indagine sulla cupola mafiosa a Roma e sui suoi rapporti con gli ambienti politici, ultimo tra i tanti episodi di ordinaria commistione tra eletti e/o nominati e malaffare, coniugato con il rapporto annuale sull’indice di percezione della corruzione di Trasparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo e colloca l’Italia al 69 posto di questa non edificante classifica, ultima tra i paesi europei, piazzata tra Sudafrica e Kuwait, ci dice che avevano ragione gli intransigenti, quelli che di fronte agli scandali grandi e piccoli e agli episodi più o meno gravi di violazione delle regole di buona condotta, indicavano come unico rimedio possibile per la salvezza del paese da questo cancro che lo divora e lo sta distruggendo giorno dopo giorno un passo indietro, per quanto riguarda le cariche politiche e istituzionali, da parte di tutti coloro che hanno conti in sospeso con la giustizia.

Le eccezioni e le deroghe rispetto a questo principio, tanto numerose da essere diventate ormai la regola, rischiano di provocare, sul corpo sociale, gli effetti che la singola cellula impazzita può avere sull’organismo umano: con l’aggravante che, in questo caso, la scelta di singoli o di pochi ha conseguenze rovinose e irreversibili non sulla vita di un singolo, ma sull’esistenza di tutti.

Il crescente e allarmante abbandono delle urne da parte degli elettori non può essere considerato un fenomeno fisiologico, come tendono a dire le letture consolatorie e minimizzanti che irresponsabilmente ne vengono fatte: è una patologia, il segno chiaro che la democrazia di questo nostro paese è malata e che una massa sempre maggiore di coloro che hanno diritto al voto non ne possono più di questo andazzo e ce lo dicono in modo inequivocabile con l’unico strumento che hanno a disposizione: restarsene a casa, disinteressandosi della cosa pubblica nella quale ormai non si immedesimano più.

Non percepire questo chiarissimo messaggio è una colpa di cui la politica, se questa parola ha ancora un senso, non si può più macchiare: la posta in gioco è la democrazia.

2 Comments

  1. Italo Ferrari

    Mio padre era solito affermare che non esiste un livello inferiore, solo superando il quale nell’accettare alcunchè da altri a noi legati da rapporti quali ad esempio quelli fra direttore dei lavori e impresario ci si possa sentire in colpa con la nostra coscienza. Semplicemente, questo livello è zero. Da ragazzo, giudicavo questo suo comportamento eccessivamente rigoroso, quasi bacchettone. Col tempo e con la maturità ho capito che aveva ragione lui e che la propria moralità non c’è prezzo con il quale barattarla. Questi valori sembrano essersi dispersi nel nulla quasi totalmente annientati dalla smania dell’arricchimento facile, a qualunque costo. Di fronte allo scoramento prodotto dalla lettura delle sacrosante considerazioni fatte da S.Tagliagambe, occorre che recuperiamo la capacità dell’indignazione , tutti noi uno per uno, e che regoliamo di conseguenza la nostra reazione. Ricordo ancor oggi il senso di umiliazione e di vergogna che provai da molto giovane quando ero stato ripreso in Svizzera da un comune cittadino per aver gettato in strada una carta di caramelle. Bisognerebbe allora che fossimo capaci di recuperare il senso dell’appartenenza ad una comunità e del dovere che dobbiamo avere verso il bene comune. L’azione della Magistratura è certamente necessaria ed encomiabile; ma non basterà se non sarà sostenuta da uno slancio di nuova moralità collettiva che tuttavia parta da ciascuno di noi.

  2. rosanna rossi

    Condivido le osservazioni fatte da S. Tagliagambe e mi associo alla richiesta di una moralità nuova e condivisa . Abbiamo toccato il fondo, dobbiamo trovare i modi per risalire, operando ognuno il suo piccolo dovere verso se stessi e nei confronti della comunità.

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