La paura ucciderà l’Unione Europea? [di Nicolò Migheli]

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È inutile nascondersi. I fatti del 1° di gennaio a Colonia ed in altre città europee ci hanno sconvolto quanto gli attentati di Parigi e forse di più. Perché mentre i primi si portano dietro il retro pensiero del ruolo coloniale della Francia, i secondi colpiscono il paese che in Europa più si sta impegnando nell’accoglienza dei migranti e nella loro integrazione. Le donne europee non è che abbiano atteso il capodanno del 2016 per scoprire il branco predatorio maschile.

Ciascuna di loro sa cosa significhi salire in un mezzo pubblico affollato o essere sole davanti ad un gruppo di avvinazzati. Forse però siamo di fronte ad un fenomeno nuovo. Le notizie riportate dalla stampa internazionale non aiutano a fare chiarezza. Lo stesso atteggiamento della signora Merkel, sotto attacco per la sua politica di accoglienza, induce a pensare che qualcosa di veramente grave sia avvenuto. Grave ed inatteso. Non si spiega in altro modo il numero basso di poliziotti davanti ad una folla di oltre mille persone. Danimarca e Svezia dopo cinquant’anni, impongono controlli alle frontiere.

L’incontro a Bruxelles della Germania e i paesi scandinavi con la Commissione Europea, si traduce in un nulla di fatto. Le frontiere restano chiuse. In Italia si mormora della reintroduzione dei controlli con la Slovenia. Il 7 di gennaio, anniversario dell’eccidio di Charlie Hebdo, un francese di origine maghrebina brandente un coltello ed una cintura esplosiva, rivelatasi falsa, viene abbattuto dalla polizia. Uno studio del Censis pubblicato a fine 2015, dimostra che 8 milioni di italiani sono contagiati dalla paura. La percentuale più alta è quella tra le donne tra i 35 e i 44 anni che risiedono nelle regioni del Centro Italia.

Il 65,4 % degli intervistati nella ricerca, dichiara che ha modificato le proprie abitudini di vita in seguito agli attentati. Persone che evitano viaggi all’estero in paesi considerati a rischio – compresi quelli europei – (73,1%), non si recano in luoghi simbolo come monumenti e piazze (53,1%), non vanno in luoghi affollati (52,7%), cercano di non prendere metropolitane e treni (27,5%), di non uscire la sera (18,0%). Un clima carico di emozioni negative che si presta a svolte autoritarie. Lo scrive il filosofo Giorgio Agamben il 23 dicembre 2015 su Le Monde, con un articolo dal titolo «De l’Etat de droit à l’Etat de sécurité». Uno scritto lucido e drammatico dove si dimostra che l’état d’urgence, come i francesi chiamano lo Stato di Emergenza, è la tomba della democrazia.

Gli storici sanno molto bene che la Repubblica di Weimar governò così, abolendo di fatto lo stato di diritto e le garanzie costituzionali. Quando Hitler arrivò al potere si ritrovò con lo strumento giuridico perfetto per instaurare la dittatura. Agamben lo paventa per la Francia: Hollande prepara il terreno alle Le Pen. È la paura la condizione migliore perché le persone sacrifichino la loro libertà in cambio di una sicurezza impossibile. Una realtà che depoliticizza i cittadini- scrive Agamben – li mette davanti ad una incertezza del diritto, un negarsi facendo recedere il cittadino a suddito. Sta già avvenendo in Ungheria e Polonia.

Tutti paesi europei, scandinavi inclusi, stanno conoscendo movimenti di destra che alimentano terrori per rinchiudersi negli specifici nazionali, resuscitando o inventandosi identità, cercando unanimismi escludenti. Gli unici che sembrano indenni sono Spagna, Portogallo; hanno avuto esperienze dittatoriali recenti e le proteste popolari sono raccolte da movimenti di sinistra. Chiudere Schengen sarà il passo decisivo per rintanarsi in se stessi. Abolire la libera circolazione dei cittadini vorrà dire che l’Unione Europea è finita. Resterà la circolazione finanziaria e delle merci. Ma fino a quando? Visto che molti di quei movimenti di destra sono anche protezionisti.

Liberation il primo dell’anno in un fondo, si chiedeva provocatoriamente se la Ue ci sarà ancora alla fine del 2016. Ci sono avvisaglie di un crisi economica mondiale che ricorda il 2008, ma per alcuni osservatori potrebbe essere ben peggiore. L’arco di instabilità che va dall’Africa Occidentale sino all’Afghanistan, promette destabilizzazioni anche negli anni a venire. I paesi candidati ad essere travolti sono l’Egitto e l’Algeria. Entrambi retti da militari che faticano a contenere i movimenti islamisti. I profughi sono destinati ad aumentare. Con la fine di Schengen, l’Italia da paese di transito diventerà paese di accoglienza.

L’alternativa è lasciare morire in mare i migranti o addirittura sparare sui barchini come minacciano le destre italiane. La Sardegna, fino ad ora marginale, potrebbe essere investita da ondate di profughi. Che fare? Di certo non bisogna essere impreparati. Occorrerà stabilire quote. Ovvero, quanti è possibile accoglierne in modo dignitoso? Sarà importante che gli ospiti frequentino corsi di formazione, dove si spieghi quali sono le nostre regole, compresi corsi sul genere; quali sono i diritti delle donne in un paese come il nostro. Lo suggeriva Chiara Saraceno su La Repubblica, lo fanno già in Norvegia.

Come primo articolo dell’anno volevo scriverne uno sulla Sardegna. Però il mondo c’è caduto addosso. Auguri a tutti noi.

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