Ma è davvero la fine di un’epoca in Sardegna? Ma di quale? [Andrea Sotgiu]
Alla fine restano le domande poste da Vito Biolchini e Maria Francesca Chiappe che fanno sperare nel giornalismo sardo. Bene ha fatto ad ospitarli la rivista che ha il coraggio di ospitare anche me. Vivo fuori dalla Sardegna e sono esente da pressioni, strali, contagi, suggestioni. Il mio ragionare è indipendente perché chi vive lontano ha più capacità di lettura delle azioni della sua terra. Lo scrive spesso Marcello Fois. La politica sarà anche passione ed emozione ma non si può governare con emotività, inadeguatezza, estemporaneità, o coi pettegolezzi che il più delle volte fanno piazza pulita delle azioni concrete. Sono queste le ”forche caudine della politica sarda” di cui hanno parlato i giornali nazionali rappresentando l’isola con assetti politici fermi al Novecento. Allora la domanda cruciale è: quali siano i criteri di scelta della classe politica in Sardegna in questa stagione che vede un leader nazionale legittimato non da elezioni nazionali quanto dai leader europei nell’autunno dell’Europa, dell’Italia e della Sardegna? Ciò che accade intorno alla vicenda di Renato Soru la dice lunga di un tempo che ha perso i canali tradizionali di selezione: vita di partito, impegno in piccole amministrazioni prima e poi il salto per ruoli più rappresentativi. La sua odissea giudiziaria, sebbene importante, non è determinante per la valutazione sull’uomo, su quel che lui ha rappresentato, sulle squadre che con lui hanno governato, le cui azioni devono essere valutate tenendosi lontani dalle tifoserie. È solo il primo grado di giudizio e il sistema fiscale italiano talmente complicato per cui non è impossibile che la sua condanna venga tramutata in assoluzione piena in altri Tribunali. Questo è quello che gli auguro perché ero alla Bocconi quando all’apogeo della sua vicenda imprenditoriale fu premiato. Ne fui orgoglioso perché era stato anche lui uno studente fuori sede in una città implacabile e cinica. Ma lì si era affermato raccontando una Sardegna non più maledetta e povera dove la capitalizzazione avveniva con i sequestri di cui erano protagonisti non un manipolo di banditi ma intere famiglie. Renato Soru era il riscatto e mezza Italia si identificò in lui. Fu allora che Berlusconi iniziò ad averne paura. Ma ne ebbero paura anche le camarille locali perché dopo averlo proposto, non essendo capaci di risolvere le faide interne, si precipitavano a tirargli la giacca. Spesso ne ottennero insofferenza e rifiuti. L’uomo non sapeva dissimulare e quando imparò lo fece per assecondare i suoi carnefici sacrificando schiere di competenti e l’intellighenzia che lo aveva seguito. Quella razza padrona continua ad imperversare e persino ad atteggiarsi a madre nobile. Mi perdonerà ma è anche il caso del pluriassessore e pluripresidente della Regione Pietrino Soddu che tuttora non accenna all’autocritica. Quando si scriverà la storia, quella vera, del suo gruppo e dei suoi governi si scoprirà che i “giovani turchi” sono stati per la Sardegna un’iattura. Rapace come ogni parvenu quel gruppo immaginò la Rinascita e suoi Piani come moneta di scambio da versare a chi portava in Sardegna la chimica di base, le centrali a carbone che ahimè oggi rifanno capolino negli intendimenti dell’attuale giunta. Questa era ed è la “vassalleria” da cui lo stesso Soddu non fu indenne. E’ comodo far credere che non ebbe responsabilità. Ne ha persino oggi. Se le assuma anche perché sarà la storia a rimettere ordine. La vicenda di oggi parte infatti da lontano. Per consumare un regicidio ci vuole un re ed una corte. Come sanno gli storici in Sardegna sono esistiti in un tempo troppo lontano ed ininfluente. Renato Soru era solo un imprenditore che non ha fugato da subito l’ombra del conflitto di interessi per evitare che un sogno di futuro si fondasse sul bluff. La domanda urge ancora oggi per altre situazione nazionali relative persino allo stesso Renzi. Un imprenditore di livello può avere ruoli importanti in politica? Non solo per possibili contrasti tra affari e iniziative politiche, ma per lo stile di conduzione delle squadre. Chi ha una mentalità proprietaria, che è stata la chiave del successo, legittimata dalla maggioranza azionaria, non si adatta alle modalità della politica, alla mediazione faticosa, alla composizione del conflitto. Il nodo del fallimento politico di Soru e di chi lo propose è, forse, tutta qui. Allora c’erano alternative? Forse no. Nel panorama politico sardo di questo inizio secolo, lui ha rappresentato una grande speranza di modificazione delle prospettive della Sardegna e del suo rapporto con il resto d’Italia e del mondo. Arrivato a governare la Regione al seguito di una forza popolare imponente riesce a costruire squadre di assessori e di managers di cui alcuni di primissimo livello la cui storia compendiava in più di un caso le trasformazioni radicali nelle professioni e nella cultura. Un mix di politica e competenze come poche volte. Stanno a dimostrarlo ancora una volta atti concreti e non pettegolezzi. Finalmente allora accessibili a tutti ed oggi sempre meno. Soru riesce a mobilitare i giovani ed attua politiche di welfare intelligenti e molto europee perché sostengono gli studi ed i servizi alla persona. La Regione si presenta con un’unica faccia e non con lo spezzatino di assessorati malamente assortiti come è stato con Cappellacci e Pigliaru. Le iniziative del primo nel turismo e l’Expo col secondo fanno rimpiangere la sintesi che lui di fronte al governo nazionale e al mondo riuscì ad essere. Qui però cominciano le difficoltà. La mentalità proprietaria, assolutamente legittimata dal voto e dal consenso nazionale e locale, si palesa fino in fondo. La dialettica come pratica gli è estranea. Riescono ad operare gli assessori solo perché le loro personalità e competenze erano capaci di distanziarsi dalla vischiosità del continuo conflitto politico che andava crescendo nel PD. Spiace che in blocco la politica sarda non ne abbia tenuto conto. Erano classi dirigenti non formate da Soru ma utilizzate da Soru. Ecco perché Soddu sbaglia. Di quella esperienza di governo sono oggi referenti in migliaia. E’ l’attuale PD che sacrifica quell’esperienza e le qualità che per la prima volta erano diventate collettivo politico non diretto da poteri esterni e che dettava l’agenda in diversi settori a livello nazionale. Tutto ciò dimostra che il problema non è Soru ma l’universo mondo dei partiti e partitini di cui è affollata la Sardegna che non riescono a superare l’imbarazzante astensionismo che nell’isola raggiunge primati da Emilia Romagna senza che ci siano nella disponibilità dell’azione politica sarda i grillini. Quando i giornali nazionali iniziano a percepire il disagio politico appalesato clamorosamente dal tentativo di diventare segretario del PD sardo la strada verso le dimissioni anticipate è segnata. In pochi capiscono la tragedia che incombe sulla Sardegna che da esemplare diventa terreno di caccia di Berlusconi con la complicità di molta sinistra. Nonostante che il suo governo segni, con leggi importanti, la contemporaneità ed un riscatto dell’isola riconosciuti fuori dai suoi confini. La perdita delle elezioni del 2009 è figlia dell’adesione di Soru al PD e della sua lotta per la segreteria. Quella sconfitta evidenzia i limiti politici dell’uomo ma anche del suo partito. Lui frequenta poco il Consiglio Regionale, lo considera un luogo dove si perde tempo. Un imprenditore decisionista come lui o è in ruolo di governo, oppure il suo impegno è discontinuo o peggio umorale. Malgrado tutto ciò oggi la Sardegna vive un lutto collettivo. E’ il suo ennesimo fallimento. Cosa sono altrimenti i governi Cappellacci e Pigliaru. Il primo schiacciato da Berlusconi il secondo da Renzi. Due facce della stessa medaglia. Ecco perché come dicevano i miei collaboratori in quel tempo, vedendo in Soru una discontinuità rispetto alle epoche precedenti, “non possiamo che definirci soriani”. Non perché aderissero ad una corrente di un partito ma perché condividevano un sentimento, un sogno, un modo di essere, un punto di vista sulla Sardegna e sul mondo. Spero che riaccada subito – e accadrà – a prescindere da Renato Soru di Sanluri. Prima lo capiscono il PD sardo ed i suoi capibastone prima la Sardegna esce dal baratro in cui è precipitata.
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Trovo perfetta la sua analisi. Evidentemente essere lontani, anche fisicamente, dalla mischia, rende possibile una visione d’insieme della vicenda (anche in termini cronologici), e allo stesso metterne a fuoco tutti gli aspetti senza privilegiarne alcuno, che sia di segno + o segno -. Rimane il grande rammarico di non sapere cosa sarebbe accaduto se Renato Soru non fosse mai entrato nel PD.