Un’opportunità dopo la paura [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 14 maggio 2020. La città in pillole. Mai come oggi si parla di città e della sua rifondazione. Se ne ridiscutono spazi e destinazioni se pure nella traiettoria del “distanziamento sociale”, ormai nel linguaggio di ogni pianificazione.

Narrazioni troppo rassicuranti dicono che le città sono state rifondate dopo guerre ed epidemie. Compresa Cagliari. Ragioni di geopolitica trasformarono uno spazio di colli intercalati da zone umide, antropizzato da millenni, in munitus vicus, oppidum, municipium, urbs urbium, fino alla castramentazione dei Pisani del colle più alto, dopo la prima urbanizzazione nel 1217, e la concessione nel 1297 del Regnum Sardiniae a Giacomo II d’Aragona.

Senza l’assedio dei Catalani, accampati nel colle che chiamarono Bonaria dove eressero mura e torri, Giovanni Capula non avrebbe realizzato, tra 1305 e 1307, le torri San Pancrazio, Elefante, Aquila. Non impedirono ruttavia nel 1326 ai Catalani di prendersi la rocca ma hanno irreversibilmente definito Cagliari e si sono, persino, rispecchiate con evocative citazioni, nelle torri del CEP di Enrico Mandolesi.

La piazzaforte, voluta dai Pisani, fu confermata dagli Spagnoli che, dopo la battaglia di Lepanto, ne fecero bandiera e monito. Ha finito per essere cifra denotativa della imago urbis per eccellenza che è quella di Sigismondo Arquer. Gli costò la vita. Fu sintesi di processi plurisecolari e anticipazione di integrazioni volute dai Piemontesi fino alla sua dismissione, dopo l’unità d’Italia.

Quel luogo inespugnato, baricentro da cui le classi dirigenti governarono la Sardegna, garantì finalmente la ricostruzione della città e della Sardegna dopo la seconda guerra mondiale.

L’attuale pandemia non è una guerra ma può essere un’opportunità per la città. Accadde dopo l’epidemia al tempo di Marco Aurelio, nel II secolo, e persino dopo la peste del VI secolo che desertificò la città. Dalle lettere di Gregorio Magno si coglie un luogo non più in grado di provvedere neanche alle mura.

L’intreccio di natura e storia ha lasciato a questa complicata fase una città di infiniti spazi, da ripensare bene oggi. Tenditur in longum scrisse Claudiano nel De bello gildonico, al tramonto del IV secolo. Quello skyline è da allora un’indelebile suggestione.

Imprimatur leggibile in Mare e Sardegna, di D. H. Lawrence, che segna il suo arrivo in porto il 10 gennaio 1921: ecco Cagliari, una città che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo dalla pianura all’inizio della profonda baia senza forme. È strana e piuttosto sorprendente, per nulla somigliante all’Italia.

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