Sardegna come un labirinto: per uscire dalla crisi serve una mappa del potere [di Vito Biolchini]

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A leggere i giornali si resta un po’ straniti. Le dimissioni di Soru dalla segreteria del Pd sembrano lasciare la Sardegna orfana di un gigante della politica e il partito improvvisamente privo del suo capo carismatico. Disperazione, sgomento, e ancora disperazione. Le dimissioni vissute come un evento traumatico e ingiusto, al pari dell’assassino di John Kennedy o la morte di Togliatti.

Bisognerà rassicurarli tutti coloro che si chiedono quale sarà il futuro del Pd sardo, spiegando che il futuro del partito nell’isola è esattamente uguale a quello che il Pd aveva il giorno prima della condanna di Soru. Perché Soru (come gli stessi giornali da mesi ci raccontano) aveva smesso già da tempo di essere il segretario del Pd, forse senza esserlo mai stato veramente.

Quindi di cosa stiamo parlando? Solo chi opportunisticamente negli ultimi anni ha voltato lo sguardo davanti all’inconsistenza politica dell’ex presidente della Regione e alle sue spericolate manovre imprenditoriali può oggi permettersi di fingere disperazione per una situazione che è disperata da tempo.

Il Pd in Sardegna è un partito inesistente semplicemente perché da anni tutte le aspettative di rinnovamento erano riposte su Soru e sulla classe dirigente da lui portata nelle istituzioni. Come sia andata a finire lo abbiamo visto tutti.

I sardi però non hanno certo atteso la condanna per evasione fiscale per divorziare da Soru. Negli ultimi anni l’imprenditore politico è stato infatti progressivamente abbandonato da un ceto intellettuale che gli aveva consentito di acquisire credibilità a livello sardo e italiano, ed è rimasto solo, circondato solo da qualche nostalgico e dalle terze file dei vecchi apparati. Contrariamente a quanto vuole la vulgata, secondo cui la segreteria Soru è stata avversata dai soliti nemici interni (gli stessi che secondo la leggenda gli fecero perdere le elezioni del 2009), Soru ha fatto tutto da solo, vittima della sua solitudine e inconsistenza politica. Incapace di innovare il sistema, ha cercato di adattarsi ad esso, riuscendo poi sconfitto da una guerra di posizione per la quale non ha mai avuto né i numeri né le capacità per prevalere.

Così è rimasto vittima delle sue contraddizioni: mentre tuonava contro le correnti, sospendeva l’assemblea regionale e riuniva la sua corrente. Quanto pensavate potesse reggere una situazione del genere? Se anche non fosse giunta la condanna, Soru si era già dimesso dalla realtà politica sarda da tempo.

Questo attittidu è dunque rituale e segue uno schema predefinito. Si cantano le lodi del morto e poi ci si lamenta: “Che ne sarà di noi? Come faremo senza di lui?”. Il copione prevede a questo punto che si invochino i giovani. Ma dove sono questi giovani talenti della politica lasciati ai margini del partito democratico sardo? Qualcuno sa fare un solo nome, uno solo?

La verità è che, come ha scritto Andrea Sotgiu, questo partito ha perso ogni riferimento ideale alla tradizione sarda, quella del pensiero di Laconi, Cardia, Carrus e Dettori (e io ci aggiungerei anche di Pigliaru padre), e non avendo più una sua elaborazione originale, si è rinsecchito. Oggi il Pd sardo è solo la diramazione territoriale di un partito nazionale italiano. Questo fa comodo a molti; perché, rotto ogni rapporto con la storia politica nazionale sarda, il partito ora garantirà onori e carriere solo a chi è più vicino ai vertici romani e ai loro entourage. Punto.

Per questo motivo se la classe dirigente del Pd in Sardegna avesse un impeto di orgoglio e di onestà intellettuale, dovrebbe nominare immediatamente segretario del partito Gavino Manca, la voce di Renzi nell’isola. Sarebbe la scelta più saggia e più giusta. Ma questo non si può fare perché nel Pd sardo hanno ancora una forte influenza politici coloro che si sono formati negli anni del proporzionale e che quindi concepiscono la politica come un susseguirsi di mediazioni, di interlocuzioni, di scambi silenziosi o segreti.

Una liturgia oggi incomprensibile, ma l’unica secondo la quale i grandi vecchi, ancora sulla breccia dopo tanti anni, sanno celebrare il rito del loro potere. Ecco perché il Pd non ha giovani politici da buttare nella mischia: perché quelli che ci sono fanno politica secondo un rituale antico appreso dai loro mentori ma che la società di oggi non riconosce più.

Quale futuro allora per il Pd in Sardegna (e non del Pd sardo)? Cosa accadrà adesso? Probabilmente niente. Essendo la nostra isola ormai una realtà politicamente inconsistente a livello italiano, Renzi potrebbe anche lasciare i vecchi notabili locali trastullarsi con i loro inutili cerimoniali da prima repubblica e poi imporre la sua volontà qualora ce ne fosse la necessità. Renzi non ha bisogno di un segretario regionale del Pd semplicemente perché il Pd sardo a livello italiano non conta nulla, non avendo né parlamentari né intellettuali di rilievo in grado di sostenerlo autorevolmente o di opporsi ai suoi voleri qualora questi andassero contro gli interessi della Sardegna. È triste, ma è così.

Quindi non ha senso chiedersi se il Pd sardo ha un futuro: non ce l’ha, è evidente. Avrà di sicuro un futuro il Pd in Sardegna, ma il Pd sardo no.

Data una risposta a questa domanda, ce ne sono altre che attendono e la prima è come si sia potuti arrivare fino a questo punto. Abbozzo una mia parzialissima analisi. Il vero deserto non lo ha fatto solo Soru ma tutta la decrepita classe dirigente comunista, socialista e democristiana (soprattutto di estrazione cossighiana) che militando sia nel centrodestra che nel centrosinistra, a dispetto delle differenze anagrafiche e sostenuta da un patto di vicendevole aiuto, in Sardegna occupa pervicacemente settori nevralgici dell’economia, della politica, dell’università, dell’informazione, del credito, del sindacato.

Aprite i giornali e leggete i nomi di chi comanda in Sardegna. Sono sempre loro, in prima persona o tramite i loro discendenti politici.

Sono i vassalli di cui ha parlato in questi giorni Pietro Soddu (che si tira fuori dalla mischia ma che temo abbia qualche responsabilità anche nella composizione dell’attuale giunta regionale).  Sono ovunque. E spesso sono ancora talmente potenti che, a differenza di Soru, abbiamo persino paura di pronunciare il loro nome. Il punto allora è questo. Per la Bibbia dare un nome alle cose serve a conoscerle e a padroneggiarle, per Freud il primo passo per liberarsi dal dolore è oggettivarlo, prima riconoscendolo e poi nominandolo. Il silenzio non ci aiuta ad uscire da questa crisi. Bisogna parlare e discutere più di quanto non si sia fatto in precedenza. E invece il dibattito è stagnante.

E poi bisogna soprattutto ricostruire le mappe del potere in Sardegna. Sapere chi comanda e governa istituzioni, banche, partiti, università, enti di formazione professionale, agenzie di lavoro interinale, imprese, ospedali, ordini professionali, sindacati, consigli di amministrazione di ogni genere e tipo, e comprendere che relazione ha con i partiti. Dobbiamo stabilire relazioni di causa e di effetto, capire come la politica si autolegittima, come i voti passano dai padri ai figli e dai mariti alle mogli.

Noi oggi non disponiamo di questa mappa, non sappiamo attraverso quali percorsi politici la stragrande maggioranza dei nostri parlamentari sia finita a Roma o i nostri assessori regionali destinati a ricoprire un ruolo così delicato o i nostri consiglieri regionali sedere nell’assemblea legislativa. Dobbiamo ricostruire percorsi, biografie e genealogie della nostra classe dirigente per provare a capire ciò che al momento sembra incomprensibile, cioè la crisi nella quale è sprofondata la Sardegna. Perché del potere nella nostra isola non sappiamo niente. Non sappiamo chi lo gestisce, attraverso quali dinamiche, non sappiamo chi rende conto a chi. Osserviamo solo carriere fulminanti o i soliti nomi occupare i soliti posti. E noi ci sentiamo come in un labirinto.

Fare tutto questo non è difficile, è semplicemente pericoloso. Ma non è difficile. Tracciare questa mappa del potere sarebbe una vera rivoluzione. Ci consentirebbe di ripartire con le idee più chiare di quanto non le abbiamo ora, che vediamo vicesindaci arrestati per rapine a portavalori, consiglieri regionali in carcere per corruzione e altri indagati per traffico internazionale di droga. O che vediamo semplicemente la Sardegna alla deriva e non sappiamo cosa fare.

 

3 Comments

  1. giorgio musu

    Ho sostenuto Soru fin dall’esperienza di progetto Sardegna,pensavo che fosse riuscito,finalmente,ha suscitare nel popolo sardo quel desiderio di riscatto e dignità che per tanti anni io e migliaia di sardi aspettavamo. Mi colpivano favorevolmente lo stile e determinazione con cui prendeva decisioni e parlava alla gente. Mi sentivo ben rappresentato e la fierezza di essere sardo trovava nuova energia e vigore.Sono d’accordo con Vito Biolchini così come lo sono per Guido Melis, e sento di ringraziarli per la lucida analisi della post “condanna” Ho cominciato a non capire quando si candidò alle elezioni europee,già s0tto processo e sapere che le assenze al parlamento europeo erano quasi da record mi lasciò spiazzato. Per farla breve desidererei da Renato Soru, un gesto da Renato Soru; cioè le dimissione dal parlamento europeo ,per ridare decoro allo stesso Soru ai suoi elettori e estimatori anche a costo di fare un favore a Renzi

  2. Alessandro Mongili

    Caro Vito, non capisco la tua analisi, mi sembra che veramente sia troppo personalistica e al contempo astratta. Nuovamente la politica sembra un gioco di personaggi e nuovamente sembra che la si affronti dal lato della sua notiziabilità e non della sua profondità.
    1. Il pensiero di Laconi, Dettori, Pigliaru-padre eccetera eccetera per fortuna non ci serve a nulla. E’ proprio il fatto che in quegli anni si sia imposto un pensiero della modernizzazione come eterodiretto, esogeno e opposto alla nostra società tradizionale (nella cui demonizzazione il ruolo di Pigliaru-padre è stato seminale), invece che come una sua evoluzione nel rispetto e nel riconoscimento, attraverso la crescita e la trasformazione delle attività economiche esistenti e lo sviluppo di nuove, possibilmente per mano di sardi, è una delle cause principali del nostro disastro. Solo da questo processo sarebbe potuta emergere una classe politica e dirigente nuova, con una cultura diversa dalla subalternità, e competente.
    2. Il problema non è Soru come persona (che peraltro io trovo molto migliore di tante altre in circolazione) ma il suo progetto politico, anzi le politiche che ha cercato di avviare. Queste politiche sono – non possono essere – che le nostre, quelle di tutti noi. Altrimenti si ricade nella modernizzazione esogena di cui prima. Questa eredità occorre difenderla perché rappresenta non Soru, ma i nostri interessi, quelli generali dei Sardi.
    3. Il problema non è Soru (B) ma siamo noi, cioè la nostra incapacità di fornire o di aiutare la formazione di un progetto politico e di un gruppo di politici competenti che possa gestire le politiche soriane o post-soriane o peri-soriane che dir si voglia, insomma quelle di uno sviluppo endogeno e rispettoso della nostra storia e della nostra condizione di Sardi. I tentativi sono portati avanti in modo non inclusivo, però è anche vero che in troppi, tu compreso, cercate/cerchiamo sempre il pelo nell’uovo e ogni ragione pur di non sostenerli, questi benedetti tentativi.
    In ogni caso, nessuno mi toglierà dalla testa che poca gente abbia fornito una prova migliore di Renato Soru in politica, anzi nelle politiche, sino al 2009. Dopo, sono d’accordo, ha sbandato e si è arreso proprio al tipo di politica che tu lo accusi di far mare, magari a ragione. Ma fare quel tipo di politica significa candidarsi a non realizzare mai politiche importanti per noi sardi, politiche cioè che invertano il processo distruttivo che stiamo vivendo. Significa barattare la propria posizione personale con la subalternità infinita della Sardegna, con la sua dipendenza istituzionalizzata e radicata nelle coscienze. Insomma, col disastro che viviamo.

  3. Vito Biolchini

    Caro Alessandro, non capisco cosa intendi per “analisi troppo personalistica” e soprattutto il riferimento alla notiziabilità. Poi
    1 – Senza entrare nel merito della valutazione storica che possiamo dare di Laconi, Pigliaru padre e compagnia cantante, è chiaro che almeno loro il problema della Sardegna se lo ponevano, questi no.
    2 – Soru non ha un progetto politico: lo ha avuto finché qualcuno lo ha elaborato per lui e con lui (e io e te ne sappiamo entrambi qualcosa). Soru ha avuto l’intelligenza di interpretare un’ansia di rinnovamento che arrivava da lontano e di proiettarla nel futuro. Poi si è perso.
    3 – Michela Murgia presidente della Regione? Il progetto è fallito perché ho cercato il pelo nell’uovo o perché è collassato da solo? Il post elezioni mi sembra che ci dia molte risposte.

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