La strada della Costituzione nata in nome di don Milani [di Sandra Amurri]

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Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2016. Quaranta anime sparse per la campagna del Mugello. La Chiesa e il cimitero. La parrocchia minuscola appoggiata sul monte Giovi a quasi 500 metri nel Comune di Vicchio. Né acqua, né luce. Per raggiungerla, una strada di sassi. Questa era Barbiana quel 7 dicembre del 1954 quando arrivò Don Lorenzo Milani mandato dalla curia Fiorentina per punizione.

Il prete-maestro che di sé diceva: “Non sono un sognatore e un politico:io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani”. In nove anni, fino a quando una leucemia lo ha strappato alla vita a soli 44 anni, ha trasformato Barbiana in cattedra della povertà. Il suo pallino era l’istruzione, combattere l’analfabetismo dei figli dei poveri per renderli liberi. La prima pietra fu proprio la scuola. Tempo pieno dalle otto del mattino fino al calar del sole dove si faceva educazione “per tutti e partecipata da tutti per imparare la partecipazione attiva nella scuola, nella vita pubblica, nella politica, nel sindacato”.

Pastorale e filosofia. Un’esperienza rivoluzionaria che Don Milani descriverà nel libro Lettera a una professoressa.“Dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti”. E ancora: “Il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo quando l’avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la può avere solo un povero che è stato a scuola”. Rivolgendosi ai suoi alunni diceva: “Voi non sapete leggere la prima pagina del giornale, quella che conta e vi buttate come disperati sulle pagine dello sport. È il padrone che vi vuole così perché chi sa leggere e scrivere la prima pagina del giornale è oggi e sarà domani dominatore del mondo”.

Appena arrivò disse: “Vi prometto davanti a Dio che questa scuola la faccio unicamente per darvi una istruzione e che vi dirò sempre la verità di qualunque cosa, sia che serva alla mia ditta, sia che la disonori, perché la verità non ha parte, non esiste il monopolio come le sigarette”. La cultura che “non è solo possedere la parola, esser messi in condizione di potersi esprimere, di poter mettere a disposizione di tutti quello che noi abbiamo ricevuto: è anche appartenere alla massa ed essere consapevoli di questa appartenenza”.

A parlardi di lui è Giancarlo Carotti, uno dei primi sei alunni che varcarono la soglia della scuola. Oggi settantunenne, padre di due figlie, nonno di tre nipoti, il quarto in arrivo, è stato per una vita operaio metalmeccanico e da pensionato torna a Barbiana per dedicarsi alla Fondazione. Qui in sei anni sono arrivate 850 scolaresche e ogni anno, percorrendo il Sentiero della Costituzione, salgono diecimilapersone. Una sorta di via crucis laica nel bosco con quarantacinque stazioni, ognuna è un articolo della Costituzione italiana illustrato con i disegni dei ragazzi di diverse scuole d’Italia. Un giorno un ragazzo di solida famiglia cattolica chiese a Don Milani: “Ma lei insegna anche a lui che è comunista e dichiarato nemico della Chiesa? Io gli insegno il bene –rispose – gli insegno a essere un uomo migliore e se poi continua a rimanere comunista, sarà un comunista migliore”.

Nato a Firenze il 6 settembre del 1895 da famiglia borghese, ha avuto con la mamma Alice Weiss, ebrea, un rapporto intenso. Quando andò per la prima volta a trovarlo a Barbiana informò i sei ragazzi della scuola che non era cristiana e che dovevano essere premurosi e tolleranti se non avesse compreso la loro esperienza: “Cerchiamo di aiutarla in tutto e di attenuare i suoi disagi, perché noi cristiani dobbiamo dimostrare di essere migliori”.

Giancarlo è stato uno dei primi due bambini ad incontrare Don Milani quando mise piede a Barbiana. Aveva 9 anni ed era il più grande di tre figli di genitori contadini, molto poveri. “Spiegò che era stato mandato all’esilio ecclesiastico perché il suo modo di essere prete era troppo avanti per i tempi ed era diventato un personaggio scomodo per le alte sfere della Chiesa. Questa sua sincerità conquistò tutti. La scuola partì con sei alunni che man mano divennero quarantadue. Noi eravamo figli di contadini poverissimi –continua Giancarlo – il nostro destino era segnato se non fosse capitato don Lorenzo a cambiarlo. Il suo pallino era insegnarci la padronanza della lingua italiana, della parola. Non ha mai preteso di modificare il mondo ma di portarci ad un certo livello culturale. Il metodo era completamente diverso da quello tradizionale, nella nostra scuola non c’erano pagelle, voti e nessuno veniva bocciato. Io sono andato via da Barbiana nel giugno del ‘68, un anno dopo la morte di Don Lorenzo. Ho iniziato a lavorare a Sesto Fiorentino e ho girato mezzo mondo”.

Alla domanda su cosa ha significato per lui Barbiana risponde di getto: “Io sono la scuola di Barbiana”. L’utopia di Don Milani vive ancora? “Certamente. Vive in papa Francesco che gli assomiglia tanto. Non a caso quando due anni fa ha ricevuto gli studenti ha citato solo Don Lorenzo come uno dei maggiori educatori italiani. E ‘tra parentesi prete’, così ha detto”. È rivoluzionario, basti pensare che “quando le classi erano divise in maschi e femmine a Barbiana le otto bambine sedevano sugli stessi nostri banchi e stiamo parlando di 60 anni fa. D’estate per approfondire la lingua, andavamo in Francia, in Inghilterra in autostop, zaino e tenda in spalle, e ragazze più piccole avevano solo tredici anni”.

Giancarlo, si è mai sentito una tuta blu diversa dalle altre? “No. Ma i miei compagni di lavoro lo scoprivano da soli. Don Lorenzo ci ha insegnato ad essere umili trasparenti e seri: “Vedrete – ci diceva – che la gente si accorgerà che siete diversi e verrà a chiedervi perché. Imparare ad imparare, quando uno ha imparato ad imparare, significa essere un gradino sopra gli altri”. Come imparare ad osare. Al cardinale di Palermo Ruffini, che non voleva che i giornalisti scrivessero della Spagna franchista, perché averla amica “potrebbe esserci di validissimo aiuto contro il comunismo, Don Milani rispose: “Compito d’ogni cristiano è quello di informare il proprio vescovo che sbaglia, anche a costo di essere perseguitato oppure esiliato in vetta al monte Giovi”.

I ragazzi di Barbiana sono sparsi per l’Italia: “Abbiamo anche idee diverse, così come voleva Don Milani. Avrebbe considerato un fallimento la ‘costruzione’ di quarantadue ‘lorenzini’, perché ognuno doveva pensare con la sua testa e possedere la capacità di confrontarsi con l’altro”.

Un educatore aperto alla diversità di opinioni, di culture di religioni. “A Barbiana invitava personaggi famosi di estrazione politica e religiosa diversa. Si mettevano a nostra disposizione e noi li bombardavamo di domande perché, come ci ripeteva sempre: non è il cartoncino che fa grande un uomo. Mi raccomando non vi fate imbavagliare dal numero dei cartoncini che hanno”.

Barbiana volutamente è rimasta un luogo poverissimo dove ancora si respira l’aria pulita di un riscatto sociale che non è morto ma tarda solo ad arrivare.

 

 

 

 

 

 

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