Migrante di Casteddu. Boucar Wade, senegalese: ambulante e scrittore [di Maria Francesca Chiappe]

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L’Unione Sarda 2/06/2016. La storia.”Non c’è razzismo ma la crisi economica crea diffidenza”. Nieddu. Sa benissimo cosa vuol dire. Nero. E non è un colore né un complimento. Se lo è sentito gridare alla spalle, e anche in faccia, ma solo «qualche volta», per lo più si trova a suo agio a Cagliari. «Nonostante alti e bassi. Mi sento a casa». È qui da 16 anni e ora ne ha 40. «Non sono arrivato coi barconi». No. Boucar Wade, diploma in ragioneria ottenuto nel Senegal, il suo Paese d’origine, è arrivato in Italia «legalmente. Avevo un visto per la Francia» e il trattato di Schengen gli ha consentito di muoversi per l’Europa.

Un suo cugino viveva a Quartu e gli aveva consigliato la Sardegna, «un posto tranquillo rispetto al resto d’Italia. Anche se sei clandestino, se non combini guai riesci a vivere». Boucar vende fazzoletti e accendini nei parcheggi del Policlinico di Monserrato, dalla mattina alla sera, orario continuato. Ma da qualche tempo ha un doppio lavoro: «Scrivo». L’ultimo libro, il quarto, autoprodotto, ha un titolo significativo: Is bonus malus, noi altri di Casteddu. Sottotitolo: tuffo nella realtà della comunità senegalese, in costante crescita numerica e, allo stesso tempo, in costante regresso esistenziale.

Non è un racconto vittimistico né pietistico: è una cronaca che in alcuni passaggi sfocia nella denuncia più verso i suoi connazionali immigrati che i residenti nella terra che li ospita. È una storia scritta in ottimo italiano, 86 pagine dalle quali emerge chiaramente il «grande inganno»: l’Europa. «I giovani nati in Senegal vogliono partire, tutti. Sentono le avventure di quelli che sono emigrati negli anni Ottanta: hanno guadagnato, sono tornati nella loro terra, hanno potuto comprare campi da coltivare, case dove abitare, animali da allevare, attività da gestire».  Perché, sottolinea, «da noi chi ha qualcosa è considerato». Non solo da loro.

Ma quei tempi sono finiti, per i senegalesi, per i sardi, per tutti: i suoi connazionali trent’anni fa vendevano la merce in spiaggia, e venivano accerchiati dai bagnanti interessati all’acquisto e i bambini «ci toccavano le braccia nere». Ora, invece, fanno fatica e anche la simpatia è decisamente scemata. Cosa è accaduto? «È tutto l’insieme», prova a spiegare l’ambulante-scrittore. «Noi siamo triplicati e qui è subentrata la crisi». Le prospettive non sono delle migliori: «I flussi migratori crescono, ora è un fenomeno biblico».

Ma, nonostante tutto, Boucar non percepisce razzismo a Cagliari: «No, quella è una parola forte, direi piuttosto che c’è una sorta di diffidenza, e comunque mi fa paura. Sui bus pubblici c’è una specie di apartheid, noi da una parte, i residenti dall’altra. Anche persone anziane o sofferenti preferiscono viaggiare in piedi pur di non stare a fianco a noi». L’ambulante-scrittore ne è convinto: si tratta di un comportamento legato alla paura che i migranti possano portar via qualcosa in questo momento di difficoltà: le sue parole pacate sembrano giustificare alcuni atteggiamenti.

«Le ondate di migranti e la diffusione di notizie distorte, come quella secondo cui a ogni rifugiato lo Stato versa 35 euro al giorno, ha creato animosità: la gente del posto si sente meno aiutata o per niente aiutata. Pensano: a loro vitto, alloggio e sigarette e a noi niente. Ma non è così». E com’è? «La realtà è che intorno ai fenomeni migratori c’è una torta gigantesca». In che senso? «C’è chi ci guadagna: basti pensare che sono stati resuscitati hotel moribondi, c’è lavoro nuovo per mediatori, interpreti e accompagnatori. È sempre così: la disgrazia di alcuni fa fare affari agli altri».

Persone, non numeri: lo ha detto anche il Papa e Boucar lo ribadisce. Ha pure un’idea su cosa si potrebbe fare: «Bisogna dare una formazione a questi ragazzi, insegnar loro a fare i pizzaioli, i porta pacchi, la raccolta differenziata, lavori che può fare chiunque e che servirebbero per inserire i giovani immigrati nella società. Vengono dalla Nigeria, dal Mali, dal Ghana, dal Burkina Faso, dall’Eritrea, hanno 15 -16 anni, tra dieci anni saranno adulti con altre urgenze, senza preparazione saranno preda facile della malavita».

Tutto vero, però: tanti migranti non vogliono sottoporsi alle regole italiane. Le impronte per esempio, si rifiutano. «C’è un motivo: se vengono improntati in Italia diventano rifugiati sottoposti al welfare italiano che è cinque volte inferiore a quello tedesco o del nord Europa. Ecco perché evitano il rilevamento delle impronte digitali: vogliono andar via».

E i senegalesi? Il rapporto coi cagliaritani sembra essersi spezzato. «I nostri giovani al semaforo, fuori dagli ospedali o nei parcheggi del centro, sono aggressivi, arroganti, prepotenti». Come mai? «Stanno tutto il giorno al lavoro per tornare a casa a mani vuote». Non è un buon motivo. «No, non lo è. Il fatto è che non tengono conto che anche i cagliaritani hanno i loro problemi. Non c’è lavoro: è addirittura capitato che qualcuno vicino alla stazione abbia chiesto soldi a me». Segno inequivocabile dei tempi.

Ma Boucar ha ormai svoltato, grazie ai suoi libri che promuove in giro per la città con serate e reading. «Quanto guadagno? Dipende, comunque riesco a campare». Non vivere: campare. L’ultimo libro è anche un atto di denuncia nei confronti dei suoi connazionali, soprattutto quando descrive gli anziani che in Senegal sono capi rispettati e qui si fingono mendicanti: «Non li capisco».

Sa benissimo che le sue parole attireranno critiche: «Certo, ho sfiorato alcune cose finora ignorate dal grande pubblico. La gente vede il senegalese sempre e comunque come un bisognoso, un morto di fame, ma la realtà può essere diversa». E poi attacca lo scarso spirito d’iniziativa, per non dire la pigrizia, del suo popolo: «Vendevamo fazzoletti e dopo trent’anni facciamo ancora quello. Cinesi, pakistani, arabi, le donne ucraine hanno conquistato piccole ma significative fette di mercato nella ristorazione, nel commercio, nella cura degli anziani. Noi ci accontentiamo».

Tutto sommato, però, Cagliari è una città accogliente. «Il sardo ha conosciuto l’emigrazione». Ed è sicuro l’ambulante-scrittore che i muri non servano: «L’Europa ha mostrato la sua debolezza, i flussi migratori non devono essere fermati ma governati». Per evitare che la diffidenza diventi razzismo e fare in modo che nieddu resti solo un colore.

One Comment

  1. marinella boi laconi

    bravo boucar, se tutti i migranti fossero saggi come te, non ci sarebbero sicuramente problemi. hai ragione, ci sono, in questi brutti tempi, tanti sardi che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, e giustamente si risentono del fatto che si spendano tanti soldi x l’immigrazione (in tanti si arricchiscono a buon mercato su questo fenomeno) auguro a tutti popoli che migrano di poter un giorno lavorare tranquilli nei loro paesi e in europa venire solo da turisti. in bocca al lupo a te, che possa presto vivere bene col tuo lavoro di scrittore.

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