L’Europa degli spiriti e delle coscienze deboli [di Anthony Muroni]

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L’Unione Sarda.it 25 giugno 2016.  L’esito del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Ue ha suscitato tali e tanti isterismi che non è azzardato paragonare l’opinione pubblica contemporanea – tutta social e rimasticature economiche, socio-politiche, costituzionali – a quei bambini in età prescolare che non riescono a farsi una ragione del fatto che il gelato sia finito e che il pallone sia caduto oltre la siepe.

Se il frugoletto si dispera perché pensa che non ci sia un domani e che sia una perfida ingiustizia la momentanea rinuncia a quel che soddisfaceva i suoi bisogni primari, il popolo “alfabetizzato” del 2016 urla, strepita, si dispera, cianciando di nuovi check point armati ai confini e di tutta un’altra serie di disastri imminenti.

«Vi rendete conto? Forse ci toccherà tornare al passaporto e ai controlli dei documenti all’ingresso in Uk». Più o meno quanto già accade in questi giorni – causa allerta terrorismo – a chi ha la ventura di raggiungere la Francia da qualsiasi altro Paese dell’area (o ex area) Schengen. «Ora saliranno i costi dei biglietti aerei, non si potrà più fare l’Erasmus, Wimbledon diventerà un torneo extracomunitario, l’Inghilterra cosa ci fa agli Europei di calcio?» e così via delirando.  Abbiamo una coscienza talmente debole che tutto può essere manipolato con una frase a effetto, andando a toccare i bisogni primari di certi adulti che, in quanto a spirito critico, non si differenziano poi molto dai piccoli angeli in età prescolare di cui sopra.

Cominciamo col dire che, allo stato e per almeno qualche anno, sia per i cittadini di Sua Maestà che per gli altri europei che interagiscono col Regno Unito non cambierà nulla di pratico. Come ha brillantemente spiegato il professor Paolo Savona su queste colonne, al di là della tempesta finanziaria scatenata dai soliti noti, quel che accadrà è solo nelle mani dell’Europa. E, insospettabilmente, non si può a questo proposito che essere d’accordo col primo ministro italiano Matteo Renzi: «L’Europa è la nostra casa ma così com’è evidentemente non funziona bene. Dovremo lavorare tutti per cambiarla dall’interno».

Il punto è questo. È inutile bollare – a meno di non sfociare nel ridicolo, insultando la Storia – come ignorante, razzista e oscurantista la maggioranza del popolo britannico. La verità è che la Brexit è arrivata perché milioni di persone perbene hanno unito la loro strada a un’esigua e fisiologica minoranza composta da xenofobi insoddisfatti. Il fatto che gli anziani o i più maturi abbiano scelto di dare questo segnale – diversamente da quel che ci si vuole far credere – è quanto di più consolante possa accadere.

Chi ha esperienza, chi ha costruito il Regno Unito moderno – passando dai sacrifici lacrime e sangue imposti dalla Thatcher alla classe operaia negli anni ’70, alla riorganizzazione della società inglese, la più multiculturale (e per questo la più ricca) dell’Occidente europeo – sa bene che l’Europa dei banchieri e delle astruse costruzioni burocratiche non ha dato le risposte che aveva promesso. I giovani, che quelle trasformazioni sociali non hanno vissuto, hanno certamente altre priorità e bene fanno ad auspicare un’Europa unita. Unita nei popoli, nel sentimento di cooperazione, nella giustizia e nelle opportunità. Tutto quello che oggi non c’è.

Dunque, si torna al punto di partenza del ragionamento. Il segnale forte che soprattutto gli inglesi si sono assunti la responsabilità di dare, potrebbe e dovrebbe generare una reazione positiva, un cambiamento virtuoso e dunque una inversione di tendenza. Se, invece, le forze della conservazione, aiutate in maniera certo inconsapevole da chi si straccia le vesti gridando all’Europa tradita, riuscissero a scollinare questa prova, allora sì che potremo dirci davvero avviati verso il baratro.

Avremo forse internet libero e la possibilità di continuare a fare i camerieri o i ricercatori senza prima mostrare il passaporto, ma ci troveremo ancora a essere prigionieri di decisioni astruse, prese da gente che non ha necessità di mettersi i problemi della vita quotidiana. Le bollette da pagare, il lavoro da inventare, la spesa da fare e, appunto, i figli da mantenere agli studi, magari in un multiculturale Paese dell’Eurozona.
L’Europa morirà solo se non saprà riformarsi, imparando dalla lezione della Brexit.

Finché serviranno 29.611 parole per il regolamento sul commercio dei cavoli (a fronte delle 66 che compongono il Padre Nostro, le 179 sufficienti per enunciare i 10 Comandamenti, le 286 che bastarono a Lincoln a Gettysburg), finché per poter decidere di utilizzare la politica degli incentivi nei Trasporti aerei (per fare un esempio nostrano) occorrerà attendere una sentenza da Bruxelles, i cittadini non potranno sentire come loro un’istituzione fredda, monocorde e sostanzialmente antidemocratica.

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