Il razzismo di oggi è figlio di quello di ieri [di Nicolò Migheli]

Faccetta nera

In ogni paese esiste una piccola frangia razzista; una patologia che può essere minimizzabile, ma non eliminabile. Ogni società tende a produrre individui che si sentono superiori ad altri per ragioni di pelle, di credenze religiose o di reddito. Anche le democrazie più compiute covano dentro di sé i germi della differenziazione peggiore.

I popoli scandinavi, ad esempio, nonostante l’alto livello di rispetto dei diritti umani vedono crescere il neonazismo. Un criminale come Andres Breivik è nato e cresciuto nella civilissima Norvegia. L’assassinio di Emmanuel Chidi Namdi, il profugo ucciso a Fermo, ha riaperto l’ennesima discussione se gli italiani siano razzisti o no. Se l’atteggiamento di ostilità per chi sbarca sulle nostre coste sia solo frutto di paura del diverso, del terrorismo jihaidista, e in questo simili a tutta Europa.

Oppure vi è qualcosa di più, connaturato all’ideologia italiana, al: fatta l’Italia, facciamo gli italiani. Questo paese ha avuto ruolo coloniale in Africa durato cinquant’anni, con in più il mandato Onu dal 1950 al ’60 in Somalia. L’Italia ha combattuto guerre feroci di conquista, subendo anche sconfitte pesanti come quella di Adua nel 1886; ha operato stragi di massa in Libia ed Etiopia, sotto gli ordini del generale Rodolfo Graziani.

Le leggi razziali del 1938 non furono solamente anti ebraiche, ma sancivano la superiorità degli italiani sui sudditi delle colonie, proibivano i matrimoni misti descritti come degenerati. Il fascismo, secondo Mussolini, era intrinsecamente razzista fin dal suo esordio sansepolcrista. Il periodico La Difesa della Razza, fu uno degli strumenti di formazione dell’etica fascista.

Rivista che ebbe come collaboratori intellettuali e politici che proseguirono le loro carriere durante la Repubblica. Nell’Italia nata dalla Resistenza, eccetto pochi come lo storico Angelo Dal Boca, nessuno ha mai affrontato in maniera critica le vicende coloniali italiane.

Il film Il Leone del Deserto di Mustafà Akkad del 1981 venne censurato perché si raccontava della resistenza e deportazione dei libici, della impiccagione del loro leader Omar al- Muktar; la Rai lo trasmise solo nel 2009. Nessuno dei governatori coloniali o i militari che compirono le stragi vennero processati da un tribunale. Una ventina di anni fa, una studentessa dell’università di Cagliari, mentre scriveva la tesi di laurea sul gerarca fascista Francesco Maria Barracu giustiziato a Dongo nel 1945, trovò che il suo stato di servizio nel Regio Esercito, era coperto da omissis.

Cosa abbia combinato realmente Barracu in Libia ed Etiopia era ancora segreto di stato, nonostante per la sua partecipazione alla guerra nel Corno d’Africa ebbe la Medaglia d’Oro. L’Italia del dopoguerra, forte del suo status di cobelligeranza e dell’inserimento nelle alleanze dell’Occidente, non ha mai proceduto ad una defascistizzazione delle istituzioni come è avvenuto in Germania. L’amnistia del 1946 che doveva essere pacificatrice dopo il conflitto mondiale, ha rimesso i funzionari, i militari, i professori e i magistrati ex fascisti nei posti e nei ruoli che occupavano durante il regime.

Sulle vicende coloniali operò invece la contro narrazione. Nacque il mito degli italiani brava gente. Le conquiste coloniali raccontate come il posto al sole, la missione civilizzatrice dell’uomo bianco. Le opere pubbliche e le bonifiche in Africa come regalo ai selvaggi e non per quel che erano: opere al servizio di centinaia di migliaia di italiani, coloni nei luoghi altrui. Anzi, La grande proletaria trovava così il suo spazio vitale e una presenza tra i Grandi. Canzoni come Faccetta nera, derubricate in un erotismo esotico, nascondendo che migliaia di soldati italiani si accompagnavano a ragazze appena puberi.

Lo stesso Indro Montanelli, raccontava nei suoi diari di aver avuto una “fidanzata” etiope di appena dodici anni. Nessuna vergogna per questo, anzi normalità, la preda del vincitore. Per anni i discorsi razzisti sui Bingo Bongo, le scimmie, gli urango, su petza niedda brou saboridu, sono continuati imperterriti nei bar e nei luoghi di ritrovo e lavoro, fino all’arrivo della Lega di Umberto Bossi che li ha portati nei comizi ed in TV.

Chi provava vergogna e scandalo veniva deriso e accusato di essere buonista; un ipocrita del corretto politicamente. La retorica del Prima gli Italiani, si è nutrita durante il berlusconismo, di accenti palesemente razzisti. Siamo oltre la xenofobia e i giornali di destra lo sanno e propagano questa lectio facilior sulle migrazioni. Si dirà che questa è una regressione comune a tutto l’Occidente, che negli Usa è peggio.

Sarà, ma noi viviamo qui. Oggi l’Italia è un paese in piena deriva morale, dove un parlamentare può accusare una ministra di essere un orango ed essere assolto dal parlamento stesso. Un luogo dove puoi sentir dire da un senatore del PD: cosa c’entra l’omicidio di Fermo con la politica?  Per tutti questi decenni di repubblica si è rimosso il problema; lo si è considerato ininfluente nella costruzione della cittadinanza, lo si è nascosto nelle scuole.

Questo è il risultato. Per favore però, smettiamola con la solfa che tutto questo non appartenga all’Italia. I fatti di questi giorni dimostrano ancora una volta, che il fascismo è una componente fondante dell’ideologia italiana.  Si è operato perché lo diventasse. Piaccia o no.

One Comment

  1. Claudio Piga

    Assolutamente d’accordo. Se posso aggiungere, la contro-narrazione degli “Italiani Brava Gente” è servita a coprire l’esteso uso di armi chimiche fatto sulle popolazioni civili in Etiopia. Barracu deve averne avuto responsabilità diretta.

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