L’avvento dell’Orbán in vellutino può essere dietro l’angolo [di Nicolò Migheli]

maxresdefault

C’è poco da illudersi. L’Occidente, eccetto poche eccezioni, sta svoltando a destra. L’anno appena iniziato vedrà elezioni in Francia, Olanda e Germania. Nelle prime due la possibilità che partiti di destra, definiti genericamente come populisti, possano andare al governo è molto probabile. In Germania la quasi sicura vittoria della signora Merkel potrà essere condizionata dai movimenti di destra che ottengono consensi progressivi. È possibile che le svolte avvenute in Polonia e Ungheria si possano ripetere nel resto dell’Unione Europea.

Crisi economica, crisi sull’accoglienza dei migranti, il terrorismo jihadista, stanno producendo società impaurite e rancorose che per difendere il poco welfare rimasto si aggrappano a chi cavalca la protesta e che difficilmente risolverà il declino dei ceti popolari e delle classi medie impoverite. Il desiderio di uomo forte, caratterizzato da piglio decisionista affascina sempre di più. Un desiderio di fascismo si impadronisce dell’immaginario degli europei.

Tutti questi movimenti sono accumunati dalla categoria che la destra francese ha sintetizzato in destra dei valori e sinistra del lavoro. Ovvero: identità, intesa come salvaguardia dei caratteri distintivi di un popolo, spesso con la convinzione che Zygmunt Bauman ha definito retro utopia, considerare il passato come luogo mitico e sicuro, preferibile in ogni caso al presente incerto.

Un si stava meglio quando si stava peggio come concezione del mondo e approdo della propria esistenza. Sovranismo come rifiuto delle istituzioni internazionali, vissute sempre come illegittime anche quando elette come il Parlamento Europeo; rifiuto dell’euro in favore della sovranità monetaria nazionale, ripristino delle frontiere nazionali.

Ostilità nei confronti della comunità omoaffettiva, i cui diritti intaccherebbero la coesione sociale e sarebbero contrastivi nei confronti delle radici identitarie di un cristianesimo ideologico e poco evangelico. Rifiuto degli immigrati islamici che, secondo loro, avrebbero valori non integrabili nelle nostre società e di volta in volta accusati di: rubare il lavoro, essere portatori di contagi patologici, di essere potenziali jihadisti.

Diffidenze che si accrescono quando l’immigrato oltre che essere musulmano è anche nero. L’incubo di questi movimenti è il meticciato, la globalizzazione che diventa un mondialismo che cancella ogni singolarità. Un bel paradosso per chi fa dell’identità, e quindi dell’identico, l’asse portante del proprio ragionamento. Prima i cittadini del paese, il welfare ed i diritti solo per i nativi. Il Brexit ha fatto scuola.

Questa temperie che è culturale prima che politica, investe anche la Sardegna. Non potrebbe essere diversamente visto che la nostra isola soffre più di altri luoghi della crisi economica, della  mancanza di lavoro, dell’emigrazione dei giovani, l’invecchiamento della popolazione. Una terra che ha la sua anima colonizzata da immaginari estranei, che ha vissuto la modernità come devastante delle condizioni culturali originarie.

Il rifiuto dei migranti avvenuto a Monastir, Burcei e Buddusò sono i segnali allarmanti del risentimento e della paura che ci animano. Quelli sono stati casi limite, però basta entrare in un bar o salire su di un autobus per sentire discorsi che fanno accapponare la pelle. Le reti sociali sono l’amplificatore di questo disagio. Cittadini, che si immagina irreprensibili, non esitano ad augurare roghi e camere a gas ai pochi migranti che hanno l’avventura di capitare da queste parti.

Fino ad ora chi ha raccolto questi consensi sono stati Salvini e Fratelli d’Italia e in una certa misura anche il resto della destra parlamentare. Negli ultimi anni però il panorama politico sardo è cambiato. Sempre di più c’è un area identitaria per ora più culturale che politica. Sarebbe meglio però definirla dell’autodeterminazione.

Il termine identità porta con se molte ambiguità, è una categoria costruibile a posteriori. È  il soggetto ed il suo gruppo di riferimento che decidono cosa inserire e che cosa togliere, cosa la caratterizza e la rende singolare rispetto ad altro, cosa è sardo e cosa non lo è. L’autodeterminazione ha in sé caratteri più chiari, è presa di coscienza, desiderio di impadronirsi della propria esistenza, una conquista di libertà. Una concezione che può contemplare non solo l’indipendenza, ma anche il rimanere dentro lo Stato italiano in diverse condizioni; o come oggi se i sardi lo riterranno opportuno.

È il diritto di libera scelta. Un spazio culturale che fino ad ora non è riuscito da esprimere tutte le sue potenzialità politiche a causa della legge turca –  sì solo in Turchia ed in Sardegna c’è una legge con il blocco del 10% –  per essere eletti in Consiglio Regionale, ma che nelle ultime consultazioni ha dimostrato un bacino di circa il 40% dei votanti. Oggi potrebbe essere cresciuta di molto.

Uno spazio politico che fa gola. L’area dell’autodeterminazione, storicamente dai sardisti agli indipendentisti movimentisti, è stata uno spazio radicato nella democrazia, insensibile a richiami esclusivisti, per nulla incline nella demonizzazione dei diversi, anzi portabandiera dei diritti sociali ed individuali.

Oggi però la destra che faceva riferimento ai partiti italiani si trova in grande crisi, non ha più tanto appeal tra i sardi. Alcuni dei loro politici sono tentati di fare in modo che il lupo fascista si nasconda sotto la pelle dell’agnello indipendentista. I segnali ci sono. Sui muri dell’ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir sono comparse scritte che facevano riferimento non più all’identità italiana ma a quella dei sardi.

L’Orbán in vellutino, il fascista italiano travestito da sardo, sta per irrompere nella scena politica. Occorre che le forze politiche dell’autodeterminazione siano chiare, facciano riferimento alla propria storia, rifiutino quel fascismo che si traveste da sardo per poterci colonizzare ulteriormente. È una battaglia per la nostra dignità e civiltà, per una Sardegna accogliente e migliore.

Nelle ultime settimane i rumors sulle possibili dimissioni del presidente Pigliaru si fanno insistenti. Le elezioni regionali potrebbero essere concomitanti con quelle del parlamento italiano, entro l’anno o nella primavera del ’18. Non c’è molto tempo. Buon 2017 a tutti noi.

Lascia un commento