Il valore dell’“Anno Gramsciano”, a 80 anni dalla scomparsa dell’intellettuale sardo [di Annalisa Bottani]

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Ytali, 21 febbraio 2017. “Io non parlo mai dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché così hanno essi stessi voluto consapevolmente“. Lettera alla madre, 24 agosto 1931

L’“Anno Gramsciano” è appena iniziato. In tutta Italia sono già in tanti ad aver colto questa preziosa occasione per organizzare iniziative ed eventi dedicati al pensatore italiano più studiato e tradotto al mondo.  Uno dei primi importanti eventi dell’“Anno” è la mostra “Antonio Gramsci e la Grande Guerra”, ideata e realizzata dalla Fondazione Gramsci. Dal 15 febbraio al 10 marzo sono esposti all’Archivio Centrale dello Stato anche i trentatré “Quaderni del carcere” compilati da Gramsci dal 1929 al 1935.

Intellettuale e dirigente politico, la sua tormentata e dolorosa esperienza di prigioniero di Mussolini ebbe inizio l’8 novembre 1926, alla vigilia dell’approvazione delle “Leggi eccezionali fasciste”. La sua vicenda carceraria e la prematura scomparsa lo hanno reso un martire e un eroe. Egli stesso, tuttavia, aveva rifiutato queste etichette: lo dimostra la lettera del 12 settembre 1927 rivolta al fratello Carlo in cui affermava di non voler fare «né il martire né l’eroe». «Credo», proseguiva nella sua missiva, «di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo».

Gramsci morì il 27 aprile 1937 presso la Clinica Quisisana di Roma a causa di un’emorragia cerebrale che l’aveva colpito due giorni prima: «il giorno stesso in cui il giudice di sorveglianza del Tribunale di Roma», ricorda il professor Giuseppe Vacca, «gli aveva comunicato che, terminato il periodo della libertà condizionata, veniva sospesa ogni misura di sicurezza nei suoi riguardi.»

Togliatti gestì direttamente l’eredità culturale e politica di Gramsci all’indomani della sua scomparsa. Secondo Giuseppe Cospito, docente di Storia della filosofia moderna presso l’Università degli Studi di Pavia (“Introduzione a Gramsci”, Il melangolo, 2015), Togliatti è «l’artefice fondamentale, nel bene e nel male, delle letture del suo pensiero nei primi decenni successivi alla morte» non solo per il ruolo di “editore degli scritti”, ma anche per aver voluto «rivendicarne per sé e il proprio Partito l’eredità politica e culturale.» Un “difensore”, sempre secondo Cospito, dell’«originalità della posizione del capo della classe operaia» in grado di “trascendere la vicenda storica” del Partito, senza mettere in discussione l’ortodossia marxista e leninista, da interpretare, di volta in volta, in modo diverso, anche a costo di “inevitabili forzature”, per “adattare” il suo pensiero all’epoca contemporanea.

La Fondazione Gramsci, dal 1950, per volontà di Togliatti, custodisce il lascito di “Nino”, come Gramsci veniva chiamato in famiglia, ed è attivamente impegnata nella valorizzazione della sua figura in Italia e all’estero. Ma, concretamente, com’è stato preservato questo patrimonio composto non solo dai “Quaderni del carcere” (29 di note e quattro di traduzioni) e dalle lettere, ma anche da libri, documenti d’archivio, giornali, riviste e altri manoscritti di Gramsci?

Lo abbiamo chiesto a Francesco Giasi, Direttore della Fondazione Gramsci, che ci ha accolto nella stanza in cui è conservata la maggior parte dei libri che Gramsci leggeva mentre si trovava in carcere.

Direttore, in questi 67 anni la Fondazione ha portato avanti il compito che Togliatti le aveva affidato. Come ha gestito questa importante “missione”?
L’idea di una Fondazione dedicata a Gramsci nacque in occasione del decennale della sua morte, nel 1947. Venne poi istituita nel 1950 quando tornarono in Italia i libri appartenuti a Gramsci, che, assieme ai “Quaderni” e alle “Lettere”, erano stati portati a Mosca dalla cognata Tania Schucht.

Le “Lettere dal carcere” avevano già avuto uno straordinario successo editoriale e si stava concludendo la prima edizione dei “Quaderni”. Togliatti non aveva mai pensato di ridurre Gramsci ad un santino. Il suo ingresso nel pantheon nazionale era avvenuto già all’indomani della Liberazione quando la sua figura politica era stata solennemente accostata in Parlamento a quella dei padri della patria. Accadde nel giugno del 1945, quando furono commemorati anche Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola, gli altri due deputati vittime del fascismo. Prima della caduta di Mussolini, il volto e il nome di Gramsci avevano accompagnato le lotte antifasciste, assieme a quelli dei fratelli Rosselli, di Gobetti e di altre vittime e perseguitati politici. Gramsci, quindi, era già un’icona.

A Togliatti si deve la volontà di farlo conoscere attraverso i suoi scritti. C’è da dire che nei primi anni l’attività della Fondazione fu molto limitata. I manoscritti di Gramsci erano custoditi a Botteghe Oscure, presso la Direzione nazionale del PCI, dove aveva sede anche l’ufficio di Felice Platone che curò la prima edizione delle “Lettere” e dei “Quaderni”. Anche la pubblicazione degli scritti giornalistici fu avviata sotto la supervisione di Togliatti e il ruolo della Fondazione in questa impresa fu, inizialmente, marginale. Si trattava di un’impresa molto complessa che fu, peraltro, portata a termine solo molti anni dopo la morte di Togliatti.

Perché complessa?

Complesso è l’intero lavoro di edizione degli scritti. Gramsci è un autore che non ci ha lasciato “opere”, cioè libri, ma una grande mole di appunti (i 33 “Quaderni del carcere”), lettere non destinate alla pubblicazione e molte centinaia di articoli giornalistici. Questi ultimi non recano quasi mai la sua firma e sono dispersi in un gran numero di giornali e di riviste. C’è da individuarli e da riconoscerne la paternità. Ciò non è sempre agevole. In molti casi non è possibile stabilire con certezza che Gramsci ne sia l’autore, anche se il corpus dei suoi scritti principali non è mai stato in discussione. Gli articoli più brevi, quelli nati dalla collaborazione con altri redattori o che paiono più da lui ispirati che usciti dalla sua penna restano attribuibili con margini di incertezza. Un lavoro delicato iniziato da curatori che erano anche stati stretti collaboratori di Gramsci all’Avanti! di Torino, al Grido del popolo, all’Ordine Nuovo e all’Unità.

E quando la Fondazione iniziò ad occuparsi direttamente del lascito di Gramsci?
A partire dal 1957. In occasione del ventennale della morte, l’Istituto Gramsci, come venne ridenominata la Fondazione, organizzò il primo importante convegno internazionale di studi. L’iniziativa poté tenersi solo nel gennaio del 1958, a causa degli impegni politici di Togliatti. L’Istituto Gramsci era presieduto da Ranuccio Bianchi Bandinelli e diretto da Franco Ferri. Al convegno parteciparono figure di spicco della cultura nazionale e internazionale e una larga schiera di giovani filosofi e storici.

Da allora l’Istituto prese in mano anche l’edizione degli scritti e divenne un vero centro di studi su Gramsci. Gli originali delle “Lettere” e dei “Quaderni” furono acquisiti nel 1963 e, poco dopo, l’archivio cominciò ad arricchirsi di altre carte, tra cui le lettere della cognata Tania. Togliatti affidò all’Istituto Gramsci la seconda edizione delle “Lettere dal carcere” che poté uscire solo nel 1965. Dopo la sua morte i convegni organizzati a cadenza decennale segnarono le tappe degli studi su Gramsci. Nel 1967 si tenne a Cagliari un convegno che impegnò una parte significativa del mondo accademico italiano. Nel 1977, a Firenze, vi fu una prima riflessione sulle novità portate dall’edizione critica dei “Quaderni del carcere” promossa già a metà degli anni Sessanta e pubblicata due anni prima. Ma ormai da vent’anni l’Istituto Gramsci non limitava la propria attività alla promozione degli studi gramsciani.

Gramsci ignorato in Italia e studiato all’estero. Un’idea che negli ultimi anni si è profondamente radicata nel nostro Paese. È davvero così?

Sfatiamo un mito. Gramsci è letto e studiato in Italia indipendentemente dalle ricorrenze. Basterebbe dare uno sguardo alle pubblicazioni degli ultimi vent’anni e a ciò che è stato prodotto tra gli ultimi due convegni gramsciani tenutisi a Cagliari nel 1997 e a Bari nel 2007. Decine di opere monografiche, innumerevoli contributi sulla sua vita e sul suo pensiero. Ricerche innovative in larga parte sollecitate dall’Edizione Nazionale degli scritti istituita dal Ministero dei Beni Culturali nel 1996. Un’enorme produzione di articoli, di saggi che alimentano una discussione vivace che appassiona gli studiosi delle più diverse discipline: storici, filosofi, linguisti, critici letterari, pedagogisti e antropologi. Questo avviene in Italia e non solo all’estero. In più, solo in Italia viene adeguatamente studiata la sua biografia politica e intellettuale.

Quando il pensiero gramsciano attraversò una fase di declino?
Vi fu solo un momento in cui la figura di Gramsci subì in Italia un temporaneo declino: all’inizio degli anni Ottanta. Già Hobsbawm, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, aveva sottolineato che la crescente attenzione internazionale per Gramsci contrastava con la profonda “emarginazione” del suo pensiero in Italia. Proprio avvertendo questa discrasia tra fortuna all’estero e declino in Italia, Giuseppe Vacca, divenuto direttore della Fondazione, decise di organizzare un convegno che desse conto degli studi internazionali. L’iniziativa si tenne a Formia nel mese di ottobre del 1989, pochi giorni prima della caduta del Muro di Berlino.

Questo Convegno fu molto importante perché vide la partecipazione di studiosi europei, americani, asiatici e africani che illustrarono il percorso degli studi gramsciani nei Paesi di provenienza. La Fondazione da allora ha continuato a rappresentare un collegamento tra gli studiosi di tutto il mondo. A Formia, tra l’altro, si costituì l’International Gramsci Society e sono innumerevoli gli accordi con università e centri di ricerca per pubblicazioni e progetti congiunti. Da oltre un decennio curiamo la pubblicazione di volumi dedicati agli studi gramsciani nel mondo, l’ultimo dei quali si intitola “Gramsci in Gran Bretagna”. I prossimi saranno dedicati a “Gramsci in Francia” e a “Gramsci nel mondo arabo”.

In questo contesto rientra anche la decisione del Parlamento italiano di dichiarare la Casa Museo di Antonio Gramsci di Ghilarza “monumento nazionale”?
Certamente la decisione è un ennesimo riconoscimento dell’importanza di Gramsci per la storia e la cultura nazionale. Peraltro, la Fondazione Gramsci, l’International Gramsci Society e la Casa Museo di Ghilarza organizzano già dal 2013 una Summer School, una vera e propria scuola internazionale di studi gramsciani. Vi partecipa, di volta in volta, una quindicina di giovani studiosi provenienti da ogni parte del mondo, selezionati per concorso. Anche la Casa Museo si è data una nuova struttura e ha in calendario importanti iniziative.

Quali progetti e iniziative sta mettendo in campo la Fondazione per l’Ottantesimo?
Nel corso del 2017 lo celebreremo nel modo dovuto. La prima grande occasione – se ne è parlato prima – è la mostra “Antonio Gramsci e la Grande Guerra” allestita all’Archivio Centrale dello Stato. Il 27 aprile vi sarà una commemorazione organizzata con la Presidenza della Camera dei Deputati a Palazzo Montecitorio, nella sala della Lupa. Nei giorni seguenti, fino al 7 giugno, saranno esposti a Montecitorio i “Quaderni” e i libri del carcere. Durante i giorni della mostra si terrà – nella Sala Aldo Moro – un ciclo di lezioni destinato al largo pubblico. Dal 18 al 20 maggio si terrà poi il convegno intitolato “Egemonia e modernità. Il pensiero di Gramsci in Italia e nella cultura internazionale”, organizzato assieme all’International Gramsci Society e all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, che è anche l’editore dell’Edizione Nazionale.

Il convegno conferma l’importanza del pensiero gramsciano all’estero. Gramsci è uno dei cinque italiani presenti nell’elenco dei duecentocinquanta autori della letteratura più citati al mondo e sono circa ventunomila i titoli delle opere di letteratura critica pubblicate in quasi tutte le lingue moderne.
E tanti artisti e intellettuali hanno visto nel pensiero di Nino un possibile riscatto per la rinascita del proprio Paese, grazie all’adozione di modelli sociopolitici gramsciani, sicuramente da attualizzare.
Nel Bronx, ad esempio, nel 2013 l’artista svizzero Thomas Hirschhorn ha creato l’installazione “The Gramsci Monument”, un luogo di aggregazione che ha ospitato – in un’area della città particolarmente problematica – reading, lezioni, corsi per bambini, concerti e seminari.

Quali sono i Paesi in cui il suo pensiero ha avuto particolare risonanza e, soprattutto, ritiene sia difficile per un intellettuale straniero studiare e interpretare i suoi testi?
I “ventunomila titoli” che lei ha citato sono quelli che registra la Bibliografia gramsciana fondata da John M. Cammett, il decano degli studi gramsciani negli Stati Uniti. Oggi la Fondazione Gramsci la aggiorna costantemente grazie ad una rete di corrispondenti presenti nei cinque continenti. Le lingue sono ormai 41. La banca dati è consultabile online dal sito della Fondazione. Negli Stati Uniti vi è una grande attenzione per Gramsci, soprattutto nelle accademie. In Giappone la penetrazione del pensiero gramsciano è stata significativa, soprattutto negli anni passati.

Crescente è, invece, l’interesse verso Gramsci nei Paesi latinoamericani, in particolare in Brasile. Ma in Messico, Cile e Argentina vi è una solida tradizione di studi su Gramsci che risale agli anni Settanta. In Europa spicca da qualche anno il caso della Francia, dove si sono messi all’opera studiosi giovani e qualificati. È importante ricordare che Gramsci è un autore molto difficile da studiare e interpretare all’estero. Per comprendere a fondo i suoi scritti è necessaria una conoscenza approfondita della cultura del suo tempo.

E in Russia, che rappresenta quasi la seconda patria di Nino, il pensiero gramsciano è diffuso?
In Russia Gramsci non ha mai avuto una grande fortuna. Sono state pubblicate alcune antologie dei suoi scritti, ma non vi è un’edizione integrale dei “Quaderni del carcere”. Dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta il suo pensiero non si poteva valorizzare accanto agli autori che costituivano la costellazione dei filosofi marxisti-leninisti. Dai cataloghi delle edizioni statali si ricava una significativa marginalità di Gramsci e si può affermare che la sua biografia e i suoi scritti siano stati oggetto di interesse da parte di pochi studiosi, anziché di enti o istituzioni pubbliche.

Dopo la fine dell’Unione Sovietica non vi è stato nessun interesse significativo, nonostante la presenza di giovani che avvertono la rilevanza del pensiero di Gramsci nella cultura internazionale. Un caso a sé rappresenta il Centro russo che gestisce gli archivi dell’Internazionale comunista con il quale la Fondazione ha mantenuto importanti rapporti istituzionali e che, in alcuni casi, ha favorito il collegamento con università e altri centri culturali russi. 

Torniamo in Italia. Dal 1950 ad oggi ritiene si sia creato un network culturale gramsciano trasversale diffuso sul territorio?
In questi decenni la Fondazione ha mantenuto il collegamento con gli istituti gramsciani, autonomi e attivi in molte regioni italiane. Sono nati nel frattempo Laboratori interdipartimentali in alcune prestigiose università che promuovono ricerche in vari ambiti disciplinari. Non sarei in grado di enumerare le iniziative organizzate a livello locale dai soggetti più disparati: scuole, associazioni culturali, biblioteche e centri di studio sparsi in tutta Italia.

La Fondazione non può certo raccordare tutte queste attività. Per noi la valorizzazione del lascito di Gramsci è attività quotidiana. Garantiamo agli utenti del nostro archivio e della nostra biblioteca l’accesso alle carte di Gramsci e la possibilità di consultare la letteratura scientifica proveniente da tutte le parti del mondo. E la nostra attività non si limita a Gramsci. La Fondazione conserva importanti archivi per lo studio della storia politica, sociale e culturale dell’Italia nel Novecento. Archivi di partiti, a cominciare dalla documentazione prodotta dal Partito Comunista Italiano dal 1921 al 1991, e di persone: dirigenti politici, intellettuali e artisti italiani. Vi è poi la nostra attività di ricerca che si articola attorno a temi e problemi della storia contemporanea. 

Parliamo degli scritti. Nel 1975 fu pubblicata da Einaudi la prima edizione critica dei “Quaderni”, curata da Valentino Gerratana, che comprendeva 29 “Quaderni” (senza i quattro di traduzioni), disposti in base alla data di stesura e non per raggruppamenti tematici. Negli anni Novanta una nuova pubblicazione, a cura di Gianni Francioni, avvenne, nell’ambito dell’Edizione Nazionale degli Scritti, partendo dall’edizione di Gerratana e dal lavoro filologico di Francioni stesso. A partire dal 2009 è possibile avere accesso ai manoscritti riprodotti integralmente in un’edizione anastatica in cui ogni “Quaderno” è preceduto da una premessa ai fini della contestualizzazione del contenuto.
Quali sono i nuovi progetti della Fondazione?

Stiamo lavorando a un’edizione integrale e critica di tutti gli scritti. Una sezione è dedicata agli scritti giornalistici e politici e, qualche mese fa, ha visto la luce il volume che raccoglie gli articoli pubblicati nel 1917, anno cruciale della biografia di Gramsci.

I “Quaderni” saranno pubblicati distinguendo quelli di traduzioni – già pubblicati, come lei ha ricordato – quelli miscellanei e, infine, gli “speciali”, così denominati da Gramsci perché concepiti per includere note dello stesso argomento. L’epistolario include anche le lettere indirizzate a Gramsci. Ne sono usciti due volumi. Il primo contiene la corrispondenza dal 1906 al 1922, mentre il secondo è relativo esclusivamente al soggiorno moscovita di Gramsci nel 1923. Accanto a queste tre sezioni vi è quella dei documenti inaugurata con la pubblicazione della dispensa universitaria del corso di glottologia di Matteo Bartoli curata da Gramsci nel 1912. L’Edizione è frutto di un lavoro collettivo.

Un’ultima domanda. È nota la profonda vocazione pedagogica di Gramsci che ha trovato piena espressione nelle lettere ai due figli, Delio e Giuliano, in cui racconta storie di briganti e di animali, della sua infanzia e della Sardegna, raccolte poi nel testo “L’Albero del riccio”. La sua opera ha avuto un impatto sulla letteratura per l’infanzia?
Direi che Gramsci ha avuto fortuna anche tra i giovanissimi lettori. L’“Albero del riccio” ha avuto innumerevoli edizioni con tirature molto elevate. Era un libro illustrato concepito per i ragazzi. Molte sue lettere ai figli Delio e Giuliano sono poi finite nelle antologie scolastiche. L’ultima edizione della sua traduzione delle fiabe dei Fratelli Grimm è stata realizzata sulla base dell’Edizione Nazionale che potrà offrire i testi anche per future antologie tematiche. D’altronde, l’edizione critica è destinata principalmente agli studiosi, ma, come dimostra il caso delle fiabe dei Fratelli Grimm, potrà essere la base di svariate iniziative di raccolta dei suoi scritti.

Lasciamo la Fondazione con l’auspicio che il pensiero di Antonio Gramsci, figura di primo piano della cultura italiana, possa contribuire con la sua “ricchezza e vitalità” a contrastare l’avanzata delle destre e dei movimenti nazionalisti che stanno caratterizzando questa difficile fase sociopolitica.

Finito di redigere in data 19 febbraio, alle ore 14.

 

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