Matteo Renzi e la Qatar connection [di Vittorio Malagutti]

mater olbia

L’Espresso 20 marzo 2017 .Aerei. Armi. Ospedali. Alberghi di lusso.
 Visite ufficiali e incontri riservati. C’è uno stretto legame tra l’ex premier italiano e la casa reale dell’emirato. Matteo Renzi con l’emiro del Qatar, Tamim al-Thani, a Villa Madama Chiamatela, se volete, Qatar connection. Un’attrazione fatale, scandita da coincidenze che si fatica a considerare casuali. Sta di fatto che Matteo Renzi, il suo percorso di statista, di uomo politico, di privato cittadino, negli ultimi mesi ha incrociato con grande frequenza la rotta del ricchissimo emirato, una monarchia assoluta governata dalla dinastia Al Thani.

Banche, alberghi, armi, navi da guerra, compagnie aeree, sport, cultura: da mesi l’Italia è il fronte più avanzato dell’offensiva lanciata dal Qatar. Un’offensiva a suon di affari e pubbliche relazioni annaffiata da abbondanti dosi di denaro. Miliardi di euro che, come sempre accade, aprono molte porte, spalancano l’ingresso di palazzi altrimenti inaccessibili. E Renzi, in un modo o nell’altro, si trova al centro di questa ragnatela, tra politica, alta finanza e diplomazia. Lo raccontano le cronache. Lo confermano i dettagli di alcune operazioni che collegati tra loro formano una trama che porta dritta nella penisola arabica.

Cominciamo dalla fine. Da un viaggio lampo segnalato dal sito Dagospia. Il 19 gennaio, l’ex presidente del Consiglio è sbarcato in Qatar per poi rientrare in Italia dopo poche ore. Non si conoscono i motivi della trasferta, che non è mai stata smentita dal diretto interessato. A questo proposito, nei palazzi romani si sprecano congetture e pettegolezzi, ma senza avventurarsi in ipotesi azzardate va ricordato che solo pochi mesi fa Renzi fu lo sponsor più autorevole dell’intervento dell’emiro Tamim bin Hamad al-Thani per salvare dal crack il Monte dei Paschi di Siena.

Il sovrano del piccolo Stato arabo, 2,6 milioni abitanti su una superficie di poco superiore a quella dell’Abruzzo, controlla un fondo d’investimento capace di muovere decine di miliardi di euro. E in Europa, anche attraverso altre holding o società personali delle più importanti famiglie locali, l’emirato con capitale Doha possiede già quote rilevanti di colossi bancari come Deutsche Bank (10 per cento) e Credit Suisse (17 per cento).

Per Mps si ipotizzava un investimento di un miliardo. Poca cosa, vista e considerata la dotazione finanziaria del Qia, una sigla che sta Qatar Investment Authority. Così, tra ottobre e novembre dell’anno scorso, sui giornali rimbalzarono a lungo le indiscrezioni sull’imminente entrata in scena degli arabi nell’inedito ruolo di salvatori del Monte. L’arrivano i nostri, però, è rimasto ben chiuso nel libro dei sogni. A dicembre nessuno ha più evocato il fantasma dell’emiro e adesso, per coprire i buchi nel bilancio di Siena, sarà necessario l’intervento pubblico, sempre che Bruxelles dia via libera agli aiuti di Stato.

«Avevamo creato le condizioni per un investimento estero importante – il fondo del Qatar – che ha detto no il giorno dopo il referendum per l’instabilità politica». Nell’intervista a la Repubblica pubblicata lo scorso 15 gennaio, l’ex premier ha ricostruito in questi termini la vicenda Mps. E allo stesso tempo ha rivendicato in modo esplicito il suo ruolo nel vagheggiato affare con l’emiro.

Un affare che per giorni e giorni si è gonfiato come un soufflé per effetto dei boatos provenienti dai palazzi romani. Per poi sparire improvvisamente dai radar una volta passata la boa del referendum. Nel frattempo, però, da Doha non è mai arrivato un solo cenno di conferma dell’interesse dell’emiro per Mps. E, ovviamente, non è stato spiegato neppure il dietro front.

A giochi fatti, Renzi se l’è presa con «l’instabilità politica» seguita alla sconfitta (la sua) nel referendum. Una versione di parte, che non pare sorretta da dati di fatto. A differenza da quanto paventato da alcuni, la vittoria del No al referendum non ha innescato nessuna catastrofe economica. Vien quindi da pensare che l’offerta sia stata ritirata per altri motivi, magari legati ai conti disastrati del Monte dei Paschi. Oppure, più semplicemente, la soluzione targata Qatar non era altro che un’ipotesi, una cornice ancora tutta da riempire di fatti concreti.

D’altra parte non pare proprio che di recente l’emiro Tamim al-Thani, 36 anni, sul trono dal 2013 dopo l’abdicazione del padre Hamad al-Thani, si sia fatto granché impressionare dal precario stato di salute dell’economia italiana. E lo stesso Renzi si trova in una posizione privilegiata per confermare la passione dei sovrani del Qatar per il Belpaese. Dall’inizio dell’anno, infatti, l’ex premier ha più volte ricevuto amici e interlocutori politici in un ufficio ricavato all’interno dell’hotel Four Seasons di Firenze, un cinque stelle lusso che quattro anni fa è stato comprato proprio dalla famiglia al-Thani.

Sborsando una somma stimata intorno ai 150 milioni, i sovrani del Qatar si sono così aggiudicati Palazzo delle Gherardesca, il capolavoro dell’architettura rinascimentale che ospita l’albergo. La proprietà, che comprende anche quattro ettari di parco a pochi minuti a piedi dal centro città, era stata messa in vendita da Corrado e Marcello Fratini, legati a Renzi per via del comune amico Jacopo Mazzei, l’uomo d’affari che gestisce le attività immobiliari dei due fratelli fiorentini.

L’operazione Four Seasons non è che una tappa, e neppure la più importante, del lungo filotto di acquisizioni messe a segno in questi ultimi anni nel nostro Paese dai sovrani del Qatar. Ci sono gli alberghi, per esempio, collezionati come trofei da esibire al mondo. Oltre al già citato Four Seasons, gli investitori dell’emirato hanno comprato a Firenze il Baglioni e il St Regis Florence, il Gallia a Milano, Westin Excelsior e Grand Hotel St Regis a Roma, Palazzo Gritti a Venezia.

Tutti cinque stelle o cinque stelle lusso, in posizione centralissima. La campagna acquisti, cominciata nel 2014 è costata oltre un miliardo di euro. Ma non è solo questione di hotel. Ci sono per esempio i grattacieli di Porta Nuova a Milano, quelli che tra l’altro ospitano la sede di Unicredit, comprati dal Qia nel 2015 per una somma ben superiore al miliardo. A gestire quella transazione fu il manager Manfredi Catella, un renziano militante, tanto da organizzare eventi e cene già nel 2014 per raccogliere fondi per il Pd dell’allora premier. Ora Catella guida una società quotata in Borsa, la Coima Res, che ha come principale azionista proprio il fondo sovrano del Qatar.

A meno di sorprese clamorose, è invece atteso per fine mese il via libera dell’Antitrust europea all’acquisto del 49 per cento della compagnia aerea Meridiana da parte di Qatar airways. La quota di maggioranza resterà a una holding dell’Aga Khan, ma la gestione di Meridiana, da tempo in grave difficoltà, passerà alla società dell’emirato, che invece è in forte espansione.

Di recente, tra l’altro, Qatar airways ha inaugurato una nuova rotta dall’Italia verso Doha. E qual è l’aeroporto prescelto per questi voli supplementari che vanno ad aggiungersi a quelli in partenza da Roma, Milano e Venezia? La risposta porta ancora in Toscana e, indirettamente, a Renzi. Da agosto dell’anno scorso, infatti, gli aerei con le insegne delle compagnia araba decollano e atterrano a Pisa, lo scalo controllato dalla Adf, la società Aeroporti di Firenze quotata in Borsa e presieduta da Marco Carrai, l’uomo d’affari grande amico dell’ex presidente del Consiglio.

L’acquisto di Meridiana, che ha Olbia per base principale, rientra in un disegno strategico più ampio. Già nel 2012 il Qatar si è preso la Costa Smeralda. Nel senso che il fondo sovrano del Paese arabo ha rilevato il complesso di alberghi e spiagge esclusive che in trent’anni, sotto il controllo dell’Aga Khan (lo stesso di Meridiana), è diventato un marchio globale del turismo per ricchi e ricchissimi. A vendere, in questo caso, è stato il fondo Colony del finanziere americano Tom Barrack, ma cinque anni dopo lo sbarco in Gallura, l’emiro corre in salita per completare un altro progetto.

Niente lusso, questa volta. Il crack del gruppo San Raffaele, quello di don Verzè, ha lasciato a metà il cantiere del Mater di Olbia e una fondazione del Qatar si è presa l’impegno di completare la costruzione dell’ospedale, annunciato come un centro d’avanguardia in grado di garantire cure di altissimo livello e anche 600 nuovi posti di lavoro in una regione come la Sardegna ad alto tasso di disoccupazione.

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