Nel tempo della porno morte [di Nicolò Migheli]

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Sassari un giorno di maggio come tanti. Una donna di quarantacinque anni che pone fine ai suoi giorni gettandosi dal ponte Rosello. Due eroici passanti cercano in tutti i modi di salvarla. Un altro, o un’altra, non si sa, riprende tutto con un telefonino e posta il video su Facebook e Watsupp. Cinque minuti di orrore, ripetuti migliaia di volte, ogni qualvolta il video viene visto  o condiviso.

Non voglio giudicare, né condannare nessuno. Questo è un mondo che è ormai intossicato non solo alla violenza terribile delle guerre e del terrorismo, ma anche da quella verbale che i mezzi di comunicazione di massa propongono e ripropongono. Violenza esibita che ha anche perso il potere terrorizzante, è diventata banale, una componente della nostra vita quotidiana come altre.

Tutti ne facciamo parte, guardoni impenitenti, al sicuro nelle nostre case, dietro un monitor e davanti ad una tastiera, ad approvare, criticare, deplorare. Anche lo scandalo è diventato effimero. La pietra d’inciampo è quella di un attimo, non dura nel tempo. La time-line scorre, si passa alle immagini della creazione dell’ultimo piatto, al filmato dell’ultima festa o dell’ultima manifestazione, ai cuccioli che inteneriscono. Siamo diventati insensibili e mitridatizzati.

Anche i Je suis non sono quelli di qualche anno fa. Fino ad ora avevamo avuto la porno morte per guerra e terrorismo, oggi è arrivata dietro casa. L’avere in tasca uno smartpohone ci dà l’illusione di essere testimoni del tempo e vorremmo comunicarlo agli altri.  A noi però mancano la deontologia e i filtri dei professionisti, registriamo e mettiamo in rete in piena incoscienza, l’esserci è superiore al dolore che quelle immagini provocheranno in parenti ed amici della vittima.

Nessuna contraddizione con il gesto che avrebbe contribuito a salvarla. Sì è preferito l’essere guardoni. Come davanti allo schermo. Il rimorso, se ci sarà, verrà dopo. Siamo diventati peggio delle generazioni che ci hanno preceduto? È difficile dirlo, i nostri nonni non avevano a disposizione la tecnologia attuale però qualche tabù in più nei confronti della morte. Qualcosa di è rotto dentro di noi e la perdita di qualsiasi forma di rispetto alimenta un narcisismo in lotta con quello altrui.

Vorremmo uscire da quello che percepiamo come rumore comunicativo, dalle nostre monadi esistenziali, lasciare una traccia anche riprendendo la fine degli altri.  Siamo diventati gent‘e botu, ma il degrado non sembra preoccuparci molto.

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