Giovani e operai: ecco i nuovi elettori del M5S. E al Sud cresce il consenso [di Ilvo Diamanti]

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La Repubblica 3 giugno 2017. Il sondaggio. Radiografia del movimento che si candida alla guida del Paese. Estremisti di centro, ai cui elettori piacciono i leader internazionali forti: Putin e Trump su tutti. E sull’immigrazione preferiscono i respingimenti all’accoglienza.

Il M5s si avvia alla prossima, imminente stagione elettorale con molte incertezze e molte attese. Non potrebbe essere diversamente. Nelle intenzioni di voto degli italiani, contende il primato al Pd di Renzi, da anni. Almeno dalle elezioni politiche del 2013, quando ottenne il 25% e divenne, in modo sorprendente, il primo partito in Italia. (E, dunque, escludendo il voto degli italiani all’estero). Secondo le ultime rilevazioni, è sempre lì. Fra il 28 e il 30%. Come il Pd, appunto. Anche se propone un’identità specifica. Particolare.

D’altronde, ha una storia molto breve e recente. Non ha radici che lo tengano ancorato a un contesto locale, sociale, culturale. Territoriale. E ciò ha sempre giocato a suo favore e, al tempo stesso, a suo sfavore. Perché, non ha vincoli da rispettare, con settori specifici di elettorato. E, al tempo stesso, ne ha molti. Perfino troppi. Così è “spinto“, costretto a muoversi di continuo in direzioni diverse e talora contrastanti. Anche perché, per citare il titolo di un saggio di Fabio Bordignon, non è un “partito del Capo“. Un partito “personale“. Anzi, lo è meno di altri. Basta osservare il grado di fiducia espresso dagli elettori 5S verso i leader.

Non si coglie grande distanza fra Di Maio, Grillo e Di Battista. Ma se si considera la figura scelta per guidare il “partito” Di Maio supera tutti, con il 45% delle preferenze, (in)seguito da Di Battista (32%), che appare, però, in sensibile crescita. Mentre Beppe Grillo viene “indicato” da una componente molto limitata: meno del 10%. Non perché conti meno degli altri. Al contrario: non è un semplice “segretario” espresso dal voto digitale. È, invece il Garante. Che ha l’ultima parola.

Di certo il M5s è un (non) partito “di massa“. Perché, nonostante l’ampiezza della base elettorale, non ha “specificità specifiche“. I suoi elettori, infatti, sono presenti e distribuiti dovunque, senza squilibri eccessivi. Sul piano territoriale, anzitutto: da Nord al Centro fino al Sud, dove hanno fatto osservare la crescita maggiore. Non si tratta, tuttavia, di un fatto nuovo. Semmai, è una costante, fin dalle elezioni del 2013, quando si imposero come primo o secondo partito in quasi tutte le province italiane. Ma il loro elettorato non presenta specificità specifiche neppure sul piano delle categorie professionali. Le attraversa tutte: lavoratori autonomi e operai.

E poi: studenti, disoccupati e impiegati. Fanno eccezione alcune componenti: i pensionati, le casalinghe e i liberi professionisti. Riflesso di alcuni tratti, comunque, specifici, del profilo sociale, peraltro coerente con quello della popolazione. I suoi elettori sono, anzitutto, “giovani“. Anzi, “i più” giovani. Ad eccezione, non per caso, del “partito del non voto“. Dove confluiscono quelli che non hanno idee precise. I “decisamente indecisi“. Oppure gli incerti – se votare o no. È il partito degli “scettici competenti”. E militanti. Non per caso presentano indici molto superiori alla media per quel che riguarda la partecipazione (anti)politica e, ancor più, l’attivismo im-mediato, mediante le nuove forme di comunicazione. In primo luogo, il digitale.

Sul piano degli atteggiamenti, gli elettori del M5s mi sembrano “estremisti del senso comune“. Che accentuano – ed estremizzano – alcuni orientamenti dell’opinione pubblica “media“. Maggiormente euroscettici, sfiduciati verso le istituzioni politiche e di governo, ancor più verso i partiti. Sul piano internazionale, apprezzano gli “uomini forti“, come Putin e Trump. Leader “populisti“, come Marine Le Pen. Mentre verso i leader moderati ed europeisti, come Macron e la Merkel, si dimostrano più freddi, in rapporto agli altri elettorati.

La maggioranza di loro pensa che la democrazia possa funzionare meglio “senza i partiti”. Non per caso il M5s sostiene e pratica il valore della democrazia diretta, anzi “im-mediata“, senza mediazioni. La rete al posto dei partiti e delle istituzioni rappresentative. Anche se, alla fine, sono anch’essi un partito. Presente alle elezioni con proprie liste e propri candidati. Attivo in Parlamento, con i propri eletti e i propri gruppi.

Ma gli elettori del M5s riflettono ed enfatizzano anche le paure dell’opinione pubblica “media“. L’immigrazione e gli immigrati, in particolare. Per questo prediligono la logica dei respingimenti rispetto a quella dell’accoglienza. Ma sostengono anche – con grande convinzione – la legittimità dell’autodifesa “armata” dei privati contro le minacce allo spazio domestico. “Estremisti del senso comune“. Ed “estremisti di centro“, come si è detto nel passato per altri soggetti politici, peraltro molto diversi.

Dai Repubblicani neoliberisti, in Francia, fino a CL e alla Lega, in Italia). Nel caso del M5s questa definizione riflette, anzitutto, la posizione politica degli elettori. Al tempo stesso: al Centro e – ancor più – Fuori. Dallo spazio politico fra Destra e Sinistra. E, più di ogni altro soggetto politico e partito, distribuiti in modo (abbastanza) equilibrato: a Destra come a Sinistra.

Così si spiegano le scelte, talora contrastanti, espresse dalla leadership. Riflettono il tentativo di seguire e talora in-seguire sentimenti e risentimenti di differente e perfino opposta matrice politica. E sociale. La domanda di partecipazione e la paura degli altri. La mobilitazione a favore dei “beni comuni” e l’attenzione verso il “senso comune“. D’altronde, oggi la base del M5s è largamente convinta della capacità dei propri “eletti” di governare. Le città ma anche il Paese. Per questo esprime fiducia verso i Sindaci eletti, a Torino e soprattutto a Roma.

Naturalmente, il resto della popolazione la pensa in modo molto diverso. Molto meno ottimista. Ma questo è un altro discorso. Per governare il Paese, infine, gli elettori del M5s si dicono disposti ad alleanze diverse e alternative. Insieme al PD (circa il 40%), ma, in misura perfino maggiore (47%), insieme alla Destra. D’altronde, si sentono egualmente lontani da tutti. L’accordo è solo un problema di necessità. E di opportunità. Perché loro si sentono e si collocano al Centro. Meglio: all’Estremo Centro del Mondo. Politico.

 

 

 

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