AAA Vendesi Sardegna, prezzo trattabile in privato [di Nicolò Migheli]

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La Nuova Sardegna del 2 di giugno di quest’anno ci ricorda l’ampiezza delle richieste di autorizzazione e di quelle ottenute per le ricerche di risorse geotermiche. Nel nord della Sardegna sono interessati 300 km quadrati nei comuni di Trinità d’Agultu e Vignola, Badesi, Viddalba, Valledoria, Castelsardo, Sedini, Santa Maria Coghinas, Bortigiadas, Bulzi, Nulvi, Laerru, Perfugas, Erula, Chiaramonti e Martis.

La Geoenergy ha ipotizzato di acquisire il permesso per la ricerca di risorse geotermiche  in un’area di 278,5 chilometri quadrati tra i comuni di Perfugas, Tempio Pausania, Erula, Tula, Laerru, Nulvi, Martis, Chiaramonti, Ploaghe e Ozieri.

La stessa impresa è interessata a ricerche nei comuni Perfugas, Tempio Pausania, Erula, Tula, Laerru, Nulvi, Martis, Chiaramonti, Ploaghe e Ozieri in un’area di circa 279 km quadrati e ancora nei comuni di Badesi, Trinità d’Agultu e Vignola, Aggius, Viddalba, Bortigiadas, Santa Maria Coghinas, Valledoria, Castelsardo, Tergu, Nulvi, Sedini, Bulzi, Laerru e Perfugas per ulteriori 296 km quadrati.

In provincia di Nuoro la Imi Fabi ha richiesto autorizzazione per prospezioni nei comuni di Orotelli e Orani per circa 7, 87 km quadrati. Tutti procedimenti ancora in attesa di approvazione.

Per quel che riguarda il sud dell’isola. Igia risorse geotermiche, una società del gruppo Saras, ha ottenuto il 26 giugno 2013 l’autorizzazione alla ricerca in un’area di 122 km quadrati nel cagliaritano e nella provincia del Medio Campidano.

La Tosco Geo, il 9 marzo 2015, ha ottenuto nel territorio del comune di San Gavino un’area di 84,70 km quadrati. La stessa società, il 4 febbraio del 2016, ha incassato il permesso di esplorazione dei 70,50 chilometri quadrati nel sud della provincia di Oristano con il progetto“Sardara”.

Per finire i toscani di Exenergia avrebbero voluto 122 kilometri per ricerche in Montiferru, in territorio di Cuglieri. Progetto ritirato per la totale opposizione dei sindaci di quei comuni. Dimostrazione che se le comunità sono contrarie ed unite, progetti così impattanti possono essere bloccati.

Il sacrificio del bene terra però continua tra l’eolico, il fotovoltaico, il termodinamico solare, l’allargamento della centrale a carbone del Sulcis, le centrali a biomassa, la chimica verde in Nurra e le canne in Sulcis.  Un disegno che si incardina bene con il DDL Urbanistica e con la delibera del 26 di marzo dove le aree industriali vengono sottratte al PPR permettendo lo stoccaggio qualsiasi cosa, anche le scorie nucleari. Chiunque sia contrario a questi interventi viene accusato di ecologismo integralista, di essere contrario al progresso.  Sì è vero, siamo contrari al progr – Esso!

Ma a voler essere laici e non ideologici come ci consigliano, e quindi  non contrari a queste iniziative, ci sarebbero alcune domande a cui bisognerebbe che Il Mise e la Regione dovrebbero dare risposta.

La prima: quanto del valore aggiunto resta in Sardegna? Siccome sono impianti a basso livello di occupazione, non è di posti di lavoro che si tratta, quanto di percentuali sui redditi che queste imprese forestiere ottengono tra vendita dell’energia e il Conto Energia.

Seconda: la perdita di ambienti e paesaggi rispettati, la marginalizzazione, in molti casi la scomparsa delle attività agricole e turistiche – anche potenziali- quanto viene compensato dalle nuove attività?

Terza: i posti di lavoro persi nelle attività tradizionali vengono almeno recuperati con quelle nuove?

Quarta: quale è il costo economico e sociale, dell’impermeabilizzazione dei terreni come nel fotovoltaico a terra. Il costo sanitario per le popolazioni esposte alle esalazioni degli impianti geotermici ad alta entalpia? Perché quest’ultima non è una attività indolore sulla popolazione circostante, come dimostra lo studio in due parti condotto dai ricercatori del CNR, università di Pisa e fondazione Monasterio, tra il 2009 e il 2013 su richiesta della Regione Toscana. Nell’allegato 6 della prima ricerca «individua 54 relazioni statisticamente rilevanti tra concentrazione degli inquinanti, patologie e decessi. Secondo noi è molto probabile che le centrali concorrano, insieme ad altre fonti di inquinamento, a generare le emissioni.» (La Stampa del 3/05/2015)

Quinta: se la Sardegna deve diventare una piattaforma energetica perché tutte queste iniziative nel settore non comportano un abbattimento del costo della bolletta alle imprese e ai cittadini?

Sesta ed ultima, ma quella di maggior impatto nell’immaginario nostro e della Sardegna nel mondo: quale è il costo in termini simbolici della compromissione di ambienti paesaggistici di pregio?

Domande a cui una classe dirigente degna del nome dovrebbe dare. Invece no, siamo alle solite èlite che usano il bene comune per i propri tornaconti. Perché non si spiega altrimenti tanto accanimento se non con un disinteresse a progettare una Sardegna differente. Si insegue ogni modernità che sia organica ai gruppi politici italiani con cui si è in rapporto.

Una coazione a ripetere che ha contrassegnato tutta l’esperienza dell’industrializzazione in Sardegna e i cui cascami velenosi sono cronaca di questi anni. Anche questa volta le premesse non sono diverse. Una forma 2.0 di Pinta la legna e portala in Sardegna. Tanto siamo di bocca buona, presi per fame, e per paga due perline.

Non c’è verso, non vi è alternativa, se non liberarsi da qualsiasi rapporto di dipendenza dai poteri romani, siano essi partiti, sindacati, associazioni.

A questo punto è legittima difesa.

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