Gli 8 amici del G7 al Poetto [di Francesco Sechi e Luca Guala]

CA (2)

Una delle foto che circolano maggiormente sul G7 cagliaritano  vede immortalati il sindaco Massimo Zedda con i Ministri degli esteri che hanno partecipato al G7 Trasporti, mentre passeggiano in bici nel nuovo Lungomare Poetto. Non sarà sfuggito ai più attenti che il gruppo delegato percorreva il Lungomare in bicicletta, uno di fianco all’altro, senza rispettare la segnaletica che impone di procedere in fila incolonnati nella propria corsia, senza invadere le altre corsie dedicate a runners, pedoni e ciclisti che procedono in senso opposto.

Si dirà: bè erano da soli (e ben protetti dalle forze dell’ordine) per cui potevano occupare tutto lo spazio che volevano, e poi è stato un momento del tutto eccezionale durante il quale si può trasgredire. D’accordo, però, ciò non toglie che quello di procedere affiancati era l’unico modo in cui il gruppo poteva circolare e allo stesso tempo parlare, scambiare qualche battuta, qualche sguardo, come se in quel momento fossero una famiglia o un gruppo di amici.

Già, come se fossero una famiglia o un gruppo di amici, che tuttavia nella quotidianità non hanno questa possibilità, non ce l’hanno proprio nel Lungomare del Poetto il cui progetto di riqualificazione li costringe ad andare in fila indiana (al massimo affiancati per tre, se pedoni), possibilmente senza mai fermarsi, per non rompere l’accordo che oramai si è raggiunto tra i fruitori del Lungomare: dopo mesi di litigi e consultazione delle linee guida del Comune appese in ogni dove, ognuno rispetti lo spazio a lui o lei dedicato possibilmente evitando di fermarsi per non intralciare.

Può camminare, correre, andare in bici o in auto (ammessa nonostante si parli di pedonalizzazione) che vada purché vada…..in fila indiana, parallelamente alla spiaggia salvo i punti designati di accesso. Niente famiglie che passeggiano affiancate, niente genitori in bicicletta con i bambini che pedalano al loro fianco.

Molto interessante è stata l’intervista dell’architetto Yona Friedman riportato su Sardegnasopratutto a cura di Francesco Erbani. Per Friedman è fondamentale il processo di partecipazione delle persone che andranno a vivere un’opera architettonica, intesa come opera da vivere internamente e non da ammirare dall’esterno. Per questo, il loro coinvolgimento deve partire innanzitutto dal “lasciar decidere a loro quali problemi sono importanti” e devono poter sperimentare, nella concretezza, ciò che andranno a vivere.

Ne abbiamo parlato di recente con il prof. Maurizio Memoli (geografo) il quale sul tema della sperimentazione diretta ci ha esposto come oramai si stiano diffondendo diversi esempi in cui le amministrazioni, prima di prendere decisioni importanti che riguardano gli spazi pubblici, attuano delle procedure di partecipazione che prevedono addirittura la realizzazione parziale, ma contestuale, di progetti, alternativi tra loro, che consentono alla cittadinanza di poterli vivere esprimendo al contempo dei giudizi.

Al Poetto ci hanno provato, ma solo limitandosi a colorare con due tinte differenti la pavimentazione finita per due brevi tratti e dando così ai cittadini la possibilità di scegliere. Lodevole iniziativa ma purtroppo, la sostanza, l’uso degli spazi, era già stato deciso.

E allora viene in mente immaginare cosa sarebbe successo del progetto del Poetto se, una volta liberata la strada dalle auto, i cittadini l’avessero potuto vivere senza imposizioni alcuna degli spazi liberati. Probabilmente avremmo visto famiglie andare in giro affiancate in bici, gruppo più o meno grandi di persone fermi a parlare in certe parti del Lungomare, di più in alcune, di meno in altre. Variazioni dell’uso nel corso della giornata e delle stagioni.

Chissà quali spunti per gli urbanisti nel definire il progetto finale del Lungomare il cui fine non era l’eliminazione delle auto che rappresentava solo la condizione propedeutica alla realizzazione di un progetto urbanistico. L’eliminazione delle auto rende da subito gradevole qualsiasi progetto si faccia, perché l’impatto è molto forte, tra il prima e il dopo, ma poi il luogo va creato è vissuto.

L’urbanista olandese Hans Monderman, è considerato un pioniere dello “spazio condiviso”. Pioniere è una parola grossa, visto che non ha fatto altro che riproporre in chiave moderna il modo in cui le persone hanno utilizzato gli spazi pubblici da quando esistono le città, fino a quando l’arrivo delle automobili non ha costretto a far stare ognuno al suo posto, pena la menomazione fisica o la morte.

Basta guardare le vecchie foto di Cagliari, senza andare tanto lontano nel tempo, quelle dell’anteguerra: pedoni, ciclisti, carretti a mano e carri a trazione animale, condividono gli spazi con le poche automobili, senza che a nessuno sia assegnato uno spazio esclusivo. La sicurezza e lo spazio vitale di ciascuno si ottiene con la negoziazione, guardandosi negli occhi e interpretando il comportamento. La negoziazione reciproca, lo sguardo diretto, afferma Monderman, sono la più alta forma di socializzazione che esista.

Gli spazi esclusivi, come la segnaletica, dice ancora Monderman, sono un’imposizione che ha lo scopo di impedirci di negoziare e di ragionare: io sto qui e tu stai lì, lo dicono le regole, che ci evitano di perdere tempo a decidere, a negoziare, a trovare accordi. Alla divisione degli spazi si aggiungono altre imposizioni come non superare una certa velocità, non svoltare a sinistra, non attraversare col rosso, non oltrepassare la linea continua, non procedere in senso opposto…

Chi adopera lo spazio pubblico è guidato e comandato in ogni suo movimento e nulla è lasciato al caso, o alla decisione. Ma, afferma ancora Monderman, se trattiamo le persone da idioti, non dobbiamo meravigliarci se poi si comportano come tali.

*Ingegneri trasportisti

Lascia un commento