Le Ong possono forzare i blocchi negli altri porti [di Milena Gabanelli]

cagliari

Il Corriere.it 13 luglio 2017. La dichiarazione universale dei diritti umani prevede per ogni cittadino il diritto ad uscire dal proprio Stato, ma non quello di entrare in un altro, l’ingresso è una concessione. In anni più recenti è stato introdotto l’obbligo di accogliere chi sta fuggendo da una persecuzione. Dove va tracciato il confine per attivare tale obbligo? Un problema complicato con il quale tutti stiamo facendo i conti.

L’Italia è di fatto l’hub d’Europa da anni e lo sarà per decenni, e negli ultimi mesi il 90% non sono richiedenti asilo. Per impedire le partenze possiamo mettere un blocco navale davanti alla Libia? Sì. Può deciderlo il nostro Governo? No, serve l’esplicita richiesta di Tripoli. Potrebbe farlo? Forse, ma solo il giorno in cui le agenzie dell’Onu, che hanno già intascato dall’Ue 90 milioni, saranno in grado di allestire campi di accoglienza e identificazione.

Per fare questo servono condizioni di sicurezza che ora non ci sono. Solo il nostro Ministro dell’Interno sta provando a farsi in quattro per costruire dialoghi e accordi con fazioni e tribù, formando e pagando (con i soldi dell’Ue) guardie costiere e di frontiera. Per il momento l’unica organizzazione che funziona è l’industria dei trafficanti di uomini, e il nastro trasportatore umanitario verso la Sicilia.

Per frenare le partenze bisognerebbe ritirare le navi di soccorso. Opzione difficile da praticare. Possiamo invece chiudere i nostri porti alle Ong che battono bandiera non italiana? Sì, usando la stessa modalità con cui gli stati membri si rifiutano di accogliere le loro quote di richiedenti asilo, in violazione degli accordi Ue, senza che l’Ue abbia attivato alcuna sanzione.

Alternativa: le Ong stesse potrebbero «forzare» la mancata condivisione delle responsabilità da parte degli Stati membri, poiché vivono di azioni «dimostrative» che sono all’origine del fundraising. Cosa accadrebbe se la Prudence di MSF, che è ben attrezzata, entrasse nel porto di Nizza con un carico di 500 migranti?

Cosa farebbe Macron? Per saperlo bisognerebbe osare. Lo scenario è prevedibile: centinaia di volontari andrebbero in soccorso dei migranti a bordo, con cibo, indumenti, medicinali. Più l’attesa si prolunga e più il caso si allarga alla stampa mondiale. La stessa cosa si può replicare a Barcellona o a Malta. Alla fine qualcosa sui tavoli di Bruxelles succederà!

Alle Ong converrebbe «diversificare» le destinazioni, anche per non correre il rischio di contribuire, inconsapevolmente, ad una crisi sistemica, che qualche Fondo speculativo capitalizzerà. Crisi inevitabile, poiché sulla terra ferma si va avanti con il volontariato, le cooperative e associazioni, senza un progetto complessivo e controllato che solo una gestione pubblica può garantire.

Il Prof Sciortino scrive: «L’immigrazione è un problema da gestire, al pari di tanti altri. Dove i buoni (o malvagi) sentimenti non potranno mai sostituire la competenza e la buona amministrazione».

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