Femminicidi. Per ogni madre uccisa c’è un figlio orfano [di Maura Manca]

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L’Espresso on line 24 luglio 2017.  Perché non parliamo anche dei figli della violenza? Riempiamo le cronache dei giornali di un femminicidio dietro l’altro e ci dimentichiamo delle vere vittime di questa mattanza. I figli, quando non vengono uccisi anche loro, per fortuna raramente, restano e devono fare i conti con una madre uccisa e un padre suicida o in carcere. E viceversa quando si tratta di una donna che uccide un uomo, anche se statisticamente parlando è un fenomeno molto più contenuto.

È uno dei traumi peggiori che un bambino possa subire, anche perché si arriva a commettere una tale atrocità dopo un percorso spesso corollato di litigate, separazioni, nervosismi che hanno alimentato quotidianamente la rabbia e l’aggressività.

Di chi ti puoi fidare dopo che vivi una esperienza simile? Come puoi credere negli affetti, nei sentimenti, nei legami, dopo che colui che ti ha generato ti ha portato via una madre e distrutto una famiglia?

L’impatto sulla psiche dei figli è devastante, lascia dei segni profondi che neanche il tempo potrà cancellare. Basti pensare che solo quando due genitori litigano i bambini sono terrorizzati dal fatto che gli possa succedere qualcosa e tendono a mettersi in mezzo a cercare di fargli fare pace. Hanno paura si possano far male, implorano il genitore più ragionevole di non provocare l’altro perché sanno che la rabbia spesso è associata alla violenza. Lo leggono, lo vedono, lo respirano e sanno che non porta a niente di buono.

Quando sentono urla, sbattere le cose, assistono alla violenza fisica pensano al peggio e sono letteralmente terrorizzati. A volte non hanno gli strumenti per fare da mediatori e si chiudono in camera, si tappano le orecchie per non ascoltare, si mettono le cuffiette e quando sono più grandi fanno apparentemente vedere che non gli importa, anche se non è proprio vero, soffrono hanno paura e spesso o si chiudono nel loro dolore o sfogano nel fumo, nell’alcol, in ciò che non li fa pensare e gli permette di dargli un attimo di evasione da quella paura.

Se queste sono le premesse, è facile pensare che una morte violenta per mano del proprio padre sia un dramma senza precedenti.

A parte tutti gli aspetti logistici e i cambiamenti da punto di vista di abitudini quotidiane, di casa, di scuola, di amici ecc… alcuni vengono affidati ai familiari più stretti e gli altri che fine fanno? Comunità, case famiglia, famiglie affidatarie, un subire ingiustamente una condizione di disagio non voluta e non richiesta perché un genitore che si assume di mettere al mondo un figlio, si dovrebbe assumere la responsabilità della sua vita e di farlo star bene per tutto il resto della vita o almeno fino a che non è autonomo ed indipendente.

È una questione di una delicatezza unica perché i minori subiscono traumi su traumi e il trauma cumulativo ha degli esiti psicopatologici a breve, e soprattutto a lungo termine, veramente importanti da un punto di vista clinico.

Ripartire per un figlio richiede una capacità e uno sforzo adattivo senza eguali. Per questa ragione si deve approfondire maggiormente questo discorso e questo aspetto legato a queste forme di omicidio, non si può non voler vedere il ruolo dei bambini e degli adolescenti, i figli della violenza fanno quotidianamente i conti con il loro dolore provocato da chi li ha messi al mondo e nel contempo ha deciso anche di togliergli il sorriso.

 

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