Per fare crescere il turismo si possono aumentare le cubature nel Canal Grande? Per la giunta Pigliaru sulle coste sarde sì [di Sandro Roggio]

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Travolto da critiche argomentate e autorevoli, il Ddl Erriu perderà pezzi?  Chissà se reggerà il  famigerato art.  43, promotore dei “grandi programmi e progetti” a sportello. O se farà – com’è probabile –  la stessa fine dell’art. 6  della LR 23/93 sugli  “accordi di programma” fantasticati allora. Più difficile prevedere  la sorte dell’art. 31 del Ddl. Perché c’è chi ci crede  agli alberghi più 25%,  che “in fondo non fa così male”  – ci spiegano:  pure sommando deroghe a deroghe. E nonostante il PPR lo impedisca: senza alcun dubbio nella fascia di massima tutela (altrimenti  a che servirebbe l’art.31?).

Dirò alla fine sulle discutibili scappatoie pensate dagli azzeccagarbugli per  dare il via  alle giostra delle eccezioni. Mi  interrogo prima sul senso di questa  proposta, sul clima politico  nel quale è maturata (copyright Berlusconi&Cappellacci), e sul rilancio da parte della coalizione a guida PD che ne aveva preso le distanze. Le temibili larghe intese contro visioni progredite, in Sardegna, guarda caso, contro il PPR.

In  questo solco la deroga per gli alberghi, pure a due passi dal mare: nati al tempo della vacanza per pochi,  zero tutele e quindi in posizioni di grande privilegio. Poi il turismo di massa  e la coscienza di luogo, quindi  l’obbligo di fare altri conti. Le conclusioni nel Codice dei Beni Culturali, da cui discende pure il sardo PPR inaspettatamente all’avanguardia. Troppo intransigente crede il governo Pigliaru, convinto di contenere il malumore degli imprenditori azzoppandolo. Per quanto le attese degli operatori del turismo  siano altre ( più aerei, ad esempio); e sia forte l’impressione  che il  Ddl non piaccia  ai sardi preoccupati di mettere a rischio le coste più belle del Mediterraneo.

Ma non  solo gli ambientalisti  temono  per la risorsa paesaggistica,  come dimostrano le analisi intelligenti e coraggiose  di  Cgil (Michele Carrus)  e Cna (Francesco Porcu)  a proposito del nodo lavoro – ambiente.  Nello sfondo lo stupore che le disposizioni  dell’art. 31 non siano supportate da uno studio che assicuri il lieto fine: alberghi più grandi = stagione più lunga; o che spieghi almeno  com’è che albergoni superdotati aprano solo tre mesi all’anno.

I più informati attribuiscono ai litorali sardi un valore pari a quello delle città d’arte e non sbagliano, basta guardare l’attenzione verso gli habitat più intatti dell’isola. Ecco,  tra i  beni paesaggistici del Paese ci sono la fasce costiere sarde:  non solo perché lo dice la dura lex  (già le due leggi Bottai del 1939 riguardavano “bellezze naturali” e “cose d’arte”).  La Sardegna è nel cuore di tanti continentali che verrebbero ritrovare integri i suoi paesaggi in ogni dettaglio,  come dimostra l’interesse della stampa nazionale. Quindi c’è qualcosa che non torna se temerariamente si consentono protuberanze di un albergo nelle rive sarde.

Nessuno  ammetterebbe che per fare crescere il turismo a Venezia, Firenze, Roma si possano elevare di mezzo piano i palazzi adibiti ad alberghi nel Canal Grande, in via dei Calzaiuoli, in Campo dei Fiori.  Vale in questi casi  la consapevolezza che il vincolo paesaggistico e monumentale  prevale sull’interesse economico. E non solo perché lo ripete da un po’ la Consulta. Ma in quanto  il danno sarebbe insostenibile: assurdo che per migliorare gli standard ricettivi si possa modificare il profilo di una strada nei libri di storia.

E allora si tratta di spiegare  perché  gli alberghi negli scenari sardi più tutelati,  possano  crescere in altezza o allargarsi di lato, modificando la percezione di uno scorcio, straziando una duna, minando rocce o eliminando vegetazione;  e quindi alterando un assetto consolidato.

Nessuno stop all’impresa, però. Nei luoghi sottoposti a vincolo l’accoglienza si può migliorare riqualificando  l’ esistente, con le  integrazioni per assicurare standard di sicurezza e delle dotazioni impiantistiche. E la ricettività si può incrementare nelle aree urbane trasformabili, secondo il modello indicato dal PPR.

A queste conclusioni sono arrivati da tanto gli economisti più accorti e impegnati a mettere a punto  formule  per rafforzare le  ”motivazioni economiche per un uso conservativo della risorsa”. Tra gli studiosi più determinati, occorre riconoscerlo,  il prof. Francesco Pigliaru che già alla fine degli anni Novanta (UniCa- Crenos) scriveva a proposito del paesaggio richiamo di turisti. Esauribile ci avvisava, ricordandoci che “… ogni investimento effettuato per aumentare il grado di sfruttamento turistico della risorsa (strutture ricettive, per esempio), ne determina un ‘consumo’ irreversibile, e di conseguenza la qualità ambientale, l’attrattività del suo scenario naturale diminuisce“. Ero e sono d’accordo con lui e non con il presidente Pigliaru.

Gli aumenti di volume in deroga nella fascia costiera e addirittura nei 300mt dal mare  non hanno niente  che vedere con i principi dello sviluppo sostenibile  di cui si  disquisiva nel programma elettorale del centrosinistra. Una premessa  strutturale, accolta da tutto il movimento ambientalista sardo e  che oggi  giudica contraddittoria e fuorviante la tesi a sostegno della coerenza del DdiL con il PPR nella disposizione, appunto, dell’ art. 31.

Articolo che,  secondo la GR,  non sarebbe in contrasto con il PPR laddove consente di incrementare complessi alberghieri nelle aree tutelate dallo stesso PPR. È  anzitutto erroneo il presupposto, e cioè che la previsione di consentire aumenti di volume – in fascia costiera e nei 300 metri dal mare – sia già contenuta a regime nel Piano paesaggistico 2006. A sostegno di questa affermazione, si porta il nesso tra gli articoli 90, 20 e 11 delle Norme di attuazione del PPR, con l’ avventata  conclusione che le Intese ( art.11 NTA_PPR) sarebbero ancora in vigore e utilizzabili per derogare al PPR pure nelle aree tutelate e intrasformabili.

In realtà non è così: e basta scorrerle le norme richiamate per desumere la inesatta interpretazione. Tutto è più chiaro se si  mettono nello sfondo le ragioni per cui il PPR ha preso in considerazione  e accolto la necessità di ammettere per 12 (dodici) mesi l’applicazione della LR 45/89, ovvero la deroga ( art. 10bis comma 2h) per ampliare preesistenti strutture alberghiere nelle aree vincolate dalla stessa legge regionale.

Ha influito nella decisione di allora la paventata possibilità che alcuni titolari di alberghi, ubicati in aree inedificabili secondo il PPR, avessero pratiche avviate per ampliare le dotazioni ( + 25% ai sensi  della LR 45/89), atti in fase di espletamento con impegno di risorse (acquisto di terreni, progettazioni eseguite, finanziamenti concessi, ecc.).

Da ciò la ragionevole decisione di consentire la conclusione dell’iter autorizzativo. Mediante lo strumento dell’ Intesa, indicata dall’ art. 11 NTA_PPR ( tra Regione, province, comuni), per dare corso alle trasformazioni previste dagli articoli 20 e 90 delle stesse NTA, ossia l’ampliamento di attrezzature alberghiere (+25% del volume esistente cosi come ammesso dalla LR 45/89 ). In verità l’art. 20 comma 3 punti a, b, consentiva che gli interventi di cui all’art.90 comma 3, si potessero realizzare, pure nelle aree vincolate, “b) tramite intesa nelle more della predisposizione del PUC, e comunque non oltre i dodici mesi, o successivamente alla sua approvazione qualora non previsto in sede di adeguamento. L’intesa si attua ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), in considerazione della valenza strategica della fascia costiera”.

Palese il carattere di temporaneità della disposizione in deroga al PPR (inquadrabile nella finalità già richiamata di consentire, in via del tutto eccezionale, la conclusione rapida di progetti  di ampliamento di attrezzature alberghiere ai sensi della LR del 1989). Da cui il tempo massimo  di 12 mesi entro il quale perfezionare l’Intesa, esattamente coincidente, e non a caso, con quello assegnato dall’art. 107 NTA_PPR per adeguare i PUC al PPR da parte dei comuni.

Nè appare ragionevole che il richiamato comma 3 b dell’art. 20  fosse pensato per  consentire l’approvazione dei PUC differita oltre il tempo indicato dall’art. 107 NTA_PPR, conferendo un’ insensata  efficacia a tempo indeterminato a una disposizione che pone nello stesso articolo il limite di 12 mesi in premessa. Insomma era stata contemplata nell’ art.20 la  possibilità che l’adeguamento di un PUC potesse avvenire prima del tempo assegnato (12 mesi) senza il recepimento della previsione. Consentendo – appunto in caso di questa omissione nel PUC – di provvedere mediante l’Intesa.

Ma evidentemente nel tempo massimo stabilito  di 12 mesi. Nè è immaginabile che l’articolo 20 potesse implicitamente autorizzare uno slittamento dei tempi indicati dall’art. 107 NTA_PPR per l’adeguamento dei PUC provocando una cortocircuito. Questa previsione avrebbe consentito che da un rinvio dei tempi di adeguamento dei PUC al PPR si potesse guadagnare la perpetuazione di una deroga.

Al di fuori del tempo assegnato in art. 20 NTA_PPR, l’Intesa prevista dall’art. 11 comma2 NTA_PPR è strumento “in attuazione delle previsioni della pianificazione paesaggistica”, e quindi con nessun potere di deroga alla strumentazione sovraordinata. D’altra parte anche nelle disposizioni dell’art. 15 comma 4 NTA _PPR, si conferma il principio per una analoga fattispecie: secondo cui l’Intesa ( art. 11) deve perentoriamente concludersi “entro dodici mesi dall’entrata in vigore del Piano paesaggistico”.

Insomma l’argomento delle Intese sempiterne non è utilizzabile, quella previsione abbondantemente scaduta non è contenuta nel PPR.  Casca così tutto il presupposto secondo cui il DdiL non contrasta con la disciplina sul paesaggio 2006. Per cui occorre attenersi a quanto detto dalla Consulta più volte. Si veda la recente la sentenza Corte Cost. n. 189 del 20 luglio 2016, dove si  spiega che le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che “gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”.

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