Il referendum catalano pone domande fondanti [di Nicolò Migheli]

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Al di là di come la si pensi, il Referendum catalano del 1° di ottobre, si tenga o no, abbia validità o meno, diventa la cartina di tornasole sullo stato della democrazia in Europa; e di quanto il desiderio di partecipazione e di cambiamento che i cittadini vorrebbero esprimere con il voto abbia ancora un senso. Dopo due secoli, a quarant’anni dalla scomparsa in Europa occidentale dei regimi autoritari, gli interrogativi sulla partecipazione dei cittadini alle grandi scelte, la loro capacità di incidere in modo libero sul loro futuro sembrano messe in discussione.

La Catalogna ha aspirazioni indipendentiste almeno dal 1714, anno che con la conquista di Barcellona da parte dei Borboni con i decreti di Nueva Planta sancirono la scomparsa della Corona di Aragona e l’imposizione del castigliano come lingua ufficiale.

Il rapporto tra Madrid e Barcellona non è mai stato facile. Joaquín Baldomero Fernández-Espartero Álvarez de Toro reggente del trono di Spagna dal 17 di ottobre 1840 al 23 giugno 1843 ebbe a dire “Hay que bombardear Barcelona cada 50 años para mantenerla a raya”  (Bisogna bombardare Barcellona ogni 50 anni per tenerla a bada). Il 15 ottobre del 1940 i franchisti fucilarono Lluís Companys presidente della Generalitat catalana durante la guerra civile, e dopo che questa era terminata. Fatti che non si dimenticano e che costituiscono memoria ed identità.

La democrazia del post franchismo e la nuova costituzione spagnola plurinazionale e con ampie autonomie, sembrava potesse superare i reciproci rancori.

L’indipendentismo catalano era minoritario anche se di anno in anno accresceva i suoi consensi. Quando il Tribunale Costituzionale spagnolo nel 2010 dichiarò anticostituzionali alcuni articoli del nuovo statuto approvato dalla Generalitat, dalle Cortes, sancito con un referendum, il desiderio di disconnessione raggiunse la maggioranza dei catalani. Anche perché gli stessi articoli cassati sono presenti negli statuti delle regioni governate dal Partido Popular come la Comunidad di Valencia. Questo venne vissuto come un’ ingiustizia irreparabile. E pensare che Il Pais il 1° agosto del 2006, quando i popolari presentarono opposizione allo statuto nel Tribunale Costituzionale, intitolò El PP recurre al Constitucional el Estatuto catalán para impedir ‘un daño irreparabile’.

Ma al danno irreparabile quell’atto ha contribuito tantissimo. La destra spagnola, ma la sinistra non è stata da meno, ha lasciato che la crisi istituzionale precipitasse. Una incapacità a trattare della classe dirigente spagnola che ha precedenti storici nella perdita delle colonie americane. Una coazione a ripetere di chi si sente nel giusto ed è incapace di capire le ragioni altrui.

È di questi giorni il tentativo di impedire il voto con tentativi di sequestro di urne e schede, con lo spegnimento del sito della Generalitat  dedicato al referendum, con la minaccia di arresti per il governo catalano, per 700 sindaci che si sono impegnati per il voto, per i dipendenti pubblici che dovessero facilitare il processo referendario. Jean-Claude Junker, presidente della Commissione Europea intervistato dal giornale barcellonese La Vanguardia, richiesto di un parere sui fatti risponde:

Il Tribunale Costituzionale, ha preso alcune decisioni che sono state votate precedentemente dal Parlamento. Chi sono io per dire che gli atti espressi dalla massima istanza giuridica spagnola e dal Parlamento sono irrilevanti? Tutto questo non ha niente a che vedere con la libertà di espressione e di coscienza. Nella UE tutti sono liberi di dire ciò che si vuole purché non si superino le leggi fondanti e i valori della democrazia. Questi sono i termini del contendere. È un conflitto che riguarda la Spagna. Ma se la Catalogna si dovesse separare dalla Spagna- non dico che sia una ipotesi di lavoro, o che non lo sia, perché su quel tema non ne ho nessuna- tutti debbono sapere che se si lascia uno stato membro, per realizzarne un altro, quest’ultimo dovrà sottomettersi alle norme e alle procedure abituali. Bisognerà negoziare l’adesione. A nome della Commissione Europea, ci tengo a ribadire quello che abbiamo già affermato in passato. Abbiamo studiato e discusso del tema con i commissari in varie occasioni. [trad. dell’estensore dell’articolo]

Il riferimento del presidente Junker è al referendum scozzese di qualche anno fa. Dalle supreme autorità europee – anche Tajani presidente del parlamento europeo si è espresso non diversamente – non ci può aspettare parole differenti. La Ue è un club di stati-nazione storici. Le indipendenze degli stati baltici e delle repubbliche balcaniche sono avvenute dopo sconvolgimenti che hanno portato alla scomparsa dell’Urss e della Jugoslavia. Nell’ultimo caso dopo una guerra sanguinosa. Sono potute avvenire perché vi era un appoggio internazionale e un interesse politico dell’Occidente. La disconnessione catalana pone però problemi per la democrazia.

La costituzione spagnola preserva l’unità dello Stato, non diversamente da altre, compresa quella italiana. Che io sappia solo quella svizzera prevede una eventuale secessione. La stessa Unione Europea trova la sua legittimità nella legittimità degli stati che la compongono garantita dalle costituzioni. Queste costruzioni giuridiche alla fine si possono tradurre in un blocco rilevante all’esercizio della democrazia e del diritto dei popoli.

Può la Legge Fondante dello Stato impedire ad un paese di sette milioni di abitanti di esprimersi; se continuare o no in quel legame statuale o intraprendere altre strade? È in ballo il diritto a decidere, come lo definiscono i catalani, o è un abuso? Il diritto all’autodeterminazione, sancito nelle supreme istituzioni internazionali vale solo quando esiste una convenienza politica di altri stati e potenze o è un diritto del cittadino e delle comunità? Quanto la partecipazione ai processi politici determinanti per il futuro degli individui e della propria comunità non ha limiti, o è condizionato?

Sono domande che ci interrogano, e a cui per ora non ho risposta. Vorrei però che se ne discutesse, se non altro perché sono determinanti per il futuro di tutti.

 

 

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