La Catalogna si proietta in una dimensione statuale nel momento di massima crisi degli stati nazionali [di Franco Mannoni]

Bastioni_Alghero

La Catalogna oggi sente di essere alla vigilia della positiva conclusione del suo percorso storico verso l’indipendenza dalla Spagna e la conquista della sovranità nazionale. Siamo davanti a una secessione unilaterale di una componente forte dello stato spagnolo, partecipe della formazione della costituzione democratica post franchista del 1978, dotata, come Comunità, di uno Statuto approvato con apposito referendum del 2006.

Credo sia difficile trovare un difetto di autodeterminazione a carico della comunità Catalana. La rivendicazione di indipendenza sempre presente e sostenuta con particolare forza e coerenza dalla Sinistra Repubblicana, ma anche dai socialisti e dal partito di Pujol, non ha impedito a quest’ultimo, di partecipare, e in maniera determinante, al governo della Spagna, specialmente a sostegno di Aznar.

Catalogna, ricordiamolo, è regione con circa sette milioni di abitanti, la metà dei quali nella area metropolitana di Barcellona. Notoriamente Barcellona è la punta avanzata dell’economia spagnola.

Aggiungasi  che la Costituzione vigente in Spagna non consente la secessione regolata di una parte dello stato, ergo vieta un referendum catalano per l’indipendenza.

La metamorfosi del mondo in corso registra, fra i suoi aspetti principali, così li esaminava U. Beck nel suo libro postumo, La Metamorfosi del Mondo, appunto, la crisi di ruolo degli stati nazionali, umiliati dalla globalizzazione e dalla perdita di potenza che ne è derivata, a vantaggio di centri di decisione finanziaria sfuggenti all’autorità statale. Ciò non di meno, la spinta  verso nuove statualità si manifestano, spesso come aspirazioni di regioni forti e dei relativi gruppi dirigenti, che vorrebbero giocare in proprio le carte dello sviluppo e della ricchezza, come la Scozia, o come fuoruscita da un regime di soggezione colonialista, come in altri numerosi casi.

Resta tuttavia, a mio parere, l’incongruenza di una battaglia per l’indipendenza di una Comunità come la Catalogna, che esercita già un ruolo di forte polarità nel quadro internazionale soprattutto per la leadership che la città di Barcellona ricopre nella reti delle metropoli sempre più funzionale e attiva.

Occorrerebbe un’analisi politica ben più penetrante di queste brevi note, onde valutare la composizione sociale delle forze trainanti verso l’indipendenza. C’è sicuramente un disegno dei gruppi dirigenti catalani, della potente borghesia imprenditoriale, ci sono forze che esercitano un ruolo egemonico e accarezzano un disegno di potere civile e economico. Sarebbe improbabile il contrario.

In sostanza la Spagna, se non interverranno volontà e fatti nuovi, corre l’avventura di una disgregazione, mentre la Catalogna si proietta in una dimensione statuale proprio nel momento di massima crisi di potere degli stati nazionali.

Trema tuttavia la Spagna e trema l’Europa, perché la fragile e complessa tecnocrazia senza democrazia che la governa rischia di traballare se l’esempio catalano, come è certo, troverà delle repliche. Il governo di Rajoy ha gravi responsabilità nell’aver lasciato marcire il problema in questi anni. Come se non fosse noto e la Catalogna non avesse alle spalle una storia nella quale l’aspirazione all’indipendenza è dato centrale. Poi nell’aver impugnato la clava per impedire ai catalani di riaffermare la loro aspirazione.

Credo che , al punto in cui stanno le cose, sarà molto difficile fermare una valanga dalle imprevedibili conseguenze. Il tema, in Spagna e in Catalogna, è percorrere una via democratica per trovare un sistema di maggiore autogoverno delle comunità in un assetto di federalismo. Speriamo non sia una chimera.

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