Senza la destra spagnola i catalani sarebbero arrivati a questo punto? [di Nicolò Migheli]

epa04396000 Thousands of people attend a rally to support the referendum on Catalonia's independence planned for the upcomig 09 November, in Barcelona, Catalonia, Spain on 11 September 2014 on the ocassion of the celebration of the 'Diada' or Catalonian Day. EPA/ALEJANDRO GARCIA

Ogni processo di autodeterminazione ha la sua storia. Le lezioni che altri popoli senza stato possono trarre dalle vicende altrui sono sempre limitate. La Catalogna non è Scozia e non è Sardegna. Il giornale della destra spagnola filofranchista ABC questi giorni ha pubblicato la recensione di uno sceneggiato dedicato alla figura di Simon Bolivar, il libertador dell’America Latina.

In quel pezzo giornalistico quel personaggio storico definito libertador tra virgolette, viene apostrofato come el traidor criollo. Duecento anni dopo Bolivar viene tacciato di tradimento. Ha ragione chi sostiene che gli spagnoli non stipulano mai trattati di pace, ma solo armistizi. Sono sempre pronti a riprendere la guerra ogni volta che le condizioni storiche lo consentano.

L’impero multinazionale di Carlo V fu messo in discussione già dal figlio Filippo II. Non certo nella forma ma nei fatti, quando chiuso nell’Escorial si circondava solo di consiglieri castigliani, imponendoli in tutto l’impero sia come viceré che come vescovi. Il separatismo catalano ha radici antiche, nella parità delle corone di Castiglia e Aragona tradita. La prima repubblica catalana è del 1641, detta di Pau Claris, politico ed ecclesiastico. Fondata a seguito della rivolta dell’anno precedente contro la corruzione delle oligarchie latifondiste castigliane e catalane, quando i soldati spararono contro la folla che pretendeva la liberazione dei suoi capi, e repressa duramente dal viceré il Conte di Santa Colomna.

Durante la guerra di sucessione spagnola, i catalani appoggiarono Carlo d’Asburgo contro Filippo V di Borbone, il quale con i decreti di Neuva Planta del 1709 e 1716 abolì il Consiglio della Corona di Aragona,  conquistando nel sangue Barcellona l’11 settembre del 1714. Questo cambiamento portò delle conseguenze gravi alla cultura catalana con l’abolizione della lingua nelle scuole e negli atti pubblici. Lo spirito di Pau Claris non tramontò nelle coscienze e nel 1873 la borghesia catalana- quella non coinvolta nel traffico degli schiavi in America e Africa- e le classi popolari, diedero vita con Baldomer Lostau ad una repubblica dentro la più ampia repubblica federale spagnola.

Un tentativo di cambiare la Spagna e di modernizzarla. La proclamazione avveniva dopo due guerre civili terribili dove la Catalogna fu vittima. Finì nel dicembre del 1874, insieme alla repubblica spagnola con il ritorno dei Borbone. Ci furono ancora due tentativi nei primi decenni del Novecento. Il colpo di stato militare del 1923 portò nel 1925 alla eliminazione della Mancomunitat de Catalunya, una associazione delle provincie costituita nel 1914.

Un colpo di stato fatto dalla cosiddetta triade capitolina: il re Alfonso XIII, i generali Primo de Rivera e Milans del Bosch. Nel 1931, dopo l’esilio del re venne proclamata la repubblica di Catalogna da Francesc Mascià, a cui seguì quella spagnola dove venne riassorbita come Generalitat.

Questo però non venne accettato dai movimenti indipendentisti che vedevano nella repubblica spagnola il proseguimento de justo derecho de conquista borbonico. Tanto che il 6 di ottobre del 1934 Lluís Companys proclamò ancora una volta uno Stato Catalano dentro (dentro e non fuori) la Repubblica Spagnola che si voleva federale. Ma il governo di Madrid diede ordine ai militari di intervenire, i  Mossos de Esquadra resistettero, ci furono 80 morti, Company e i suoi vennero arrestati. In seguito il presidente della Generalitat andò in esilio in Francia, venne catturato dai tedeschi, consegnato a Franco e da questi fatto fucilare a Barcellona nel 1940 a guerra finita.

Gli ultimi tre tentativi di autonomia esperiti dentro il quadro delle istituzioni spagnole. Il franchismo però sarà una ulteriore cesura nei rapporti ispano-catalani fino al divieto di usare in pubblico la lingua, pena la galera. Nel 1975 alla morte del dittatore, iniziò il processo di Transizione verso la democrazia. La costituzione del 1978 è figlia di un clima che per prima cosa doveva garantire che gli autori dei crimini franchisti, 100.000 morti dopo la guerra, non venissero incriminati e così fu.

Nessuno ha mai pagato per i lager, le fosse comuni, gli assassini di massa. Quella costituzione se da una parte garantiva autonomia alle nazionalità della Spagna dall’altra ha imposto i militari come guardiani dell’unità dello stato. L’unica costituzione europea che abbia simili articoli.

Costituzione che ha funzionato per quarant’anni ma che non ha resistito alla richiesta di modifiche statutarie da parte dei catalani. La prima stesura venne emendata dalla Corte Costituzionale di 14 articoli. Quel testo approvato dai parlamenti catalani e spagnolo, approvato da un referendum – i voti favorevoli  furono minori di quello indipendentista del 1° di ottobre- venne poi impugnato nella Corte Costituzionale dai politici del Partido Popular e nel 2010 bocciato.

La Corte Costituzionale Spagnola composta da giudici,  nominati dai partiti e quella del 2010 era composta in maggioranza da uomini del PP. Ma anche il PSOE, non è da meno, in tutta la sua storia si è dimostrato nazionalista spagnolo come altre forze politiche. Le dichiarazioni di Alfonso Guerra e di Suarez, che minacciano l’uso dei militari contro la Generalitat lo confermano.

Il risultato uno statuto che comprime diritti già acquisiti ripristinando un neo centralismo. Il resto è storia di questi giorni. Madrid che si rifiuta di trattare. Che opera in tutti i modi per impedire un referendum che molti giuristi spagnoli non ritengono incostituzionale; lo è il separarsi non l’esprimere la volontà. Un clima terribile dove il portavoce del PP minaccia il presidente della Generalitat di fare la fine di Company.

Pujgdemont nel suo discorso del 10 ottobre nel Parlament, sostiene che tutte le strade costituzionali erano state esperite, tutto nasce con la bocciatura dello statuto, Con un discorso moderato, figlio di mediazioni continue con la sua maggioranza di governo, dichiara l’indipendenza della Catalogna, e la sospende per ulteriori trattative. Non si vuole lo strappo con la Spagna. Chiama in aiuto l’Unione Europea e L’Onu. Vuole internazionalizzare la sua decisione, anche se la Ue poco potrà fare, la eventuale indipendenza catalana è ancora fatto interno spagnolo. Intanto si palesano già divisioni nel fronte indipendentista dove alcune forze politiche si attendevano una dichiarazione più impegnativa.

La risposta di Rajoy non tarderà e sarà probabilmente contundente come dicono gli spagnoli. Adotterà l’articolo 155 della costituzione e sospenderà la Generalitat? Può essere. Ma la legge fondamentale del regno ha strumenti più decisi come l’art. 116, la dichiarazione dello stato di allarme, di eccezione e di assedio. E le prime dichiarazioni informali del governo non lasciano presagire trattative. Tutti atti però che hanno bisogno di una approvazione parlamentare e Rajoy non ha la maggioranza, che è condizionata dal partito dei baschi, che forse atti simili non li voterà.

In questo panorama drammatico svanisce la figura del re davanti agli occhi dei catalani. Il suo non è solo ruolo di unità del regno ma anche di mediazione. Lui non ha voluto mediare. Borbone fino in fondo ha dimostrato di rispondere all’anima nigra della Spagna, quella dell’impero rimpianto, dei Tercios de Flandes. Quella dei suoi peggiori antenati. Quella che chiama ancora Simon Bolivar traidor criollo. La destra della Spagna eterna.

 

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