Ingegneria dei trasporti, l’armatura dello sviluppo economico [di Francesco Sechi]

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Quando circa 30 anni fa decisi di iscrivermi nella Facoltà di Ingegneria avevo in mente principalmente “le strutture”. Vedevo la figura dell’ingegnere come quella di chi esegue dei calcoli matematici con il fine di far stare in piedi delle strutture. A ripensare ora a quel mio livello culturale ingegneristico fa un certo effetto ma, tant’è, era così.

Nei mesi precedenti la mia iscrizione già mi si presentò un mondo ben più articolato con un’offerta di studio che proponeva differenti e ben distinti indirizzi: l’indirizzo industriale (ingegneria meccanica, elettronica, elettrotecnica, chimica, mineraria), l’indirizzo Civile (edile, strutture, idraulica, trasporti), l’indirizzo Ambientale; tutti estremamente interessanti.

Così presi tempo e, sfruttando il fatto che le materie del biennio erano perlopiù comuni a tutti gli indirizzi, scelsi quello che mi avrebbe consentito di frequentare i primi due anni con alcuni compagni e amici del liceo, l’indirizzo meccanico; nel frattempo avrei indagato meglio sulle varie specializzazioni del successivo triennio.

Analizzando in seguito i diversi piani di studio mi imbattei nell’indirizzo Civile Trasporti nel quale una materia, in particolare, catturò la mia attenzione: Costruzione di Strade, Ferrovie ed Aeroporti. Già mi vedevo all’opera nel progettare strutture di una certa rilevanza e, così, decisi di intraprendere quella strada.

Passarono gli anni e, ovviamente, oltre al sopracitato esame, dovetti frequentare e sostenere gli altri esami di indirizzo, tra i quali Pianificazione dei Trasporti. In quel momento scoprii un mondo, quello della pianificazione, del tutto a me sconosciuto e che, anzi, facevo fatica a capire quale ruolo potesse svolgere la pianificazione all’interno del mondo dell’ingegneria.

Cosa c’entrava la Pianificazione con le strutture, con il calcestruzzo, con l’acciaio, con le forze e i carichi con cui l’ingegnere deve “far di conto” nei suoi calcoli. Tant’è che fu una materia che mi affascinò, tanto che decisi di fare una tesi proprio su uno degli strumenti fondamentali con il quale operano i pianificatori dei trasporti “i modelli di simulazione”.

Portai a termine il mio corso di studi e decisi di rimanere in contatto con quel mondo, il mondo della pianificazione dei trasporti, dapprima collaborando con l’Università, poi facendo due anni al Centro Studi dell’ARTS (a proposito che fine ha fatto?), infine presso una società milanese specializzata nella pianificazione e nei modelli di traffico ed ora con una società da me co-fondata.

Sono passati oltre vent’anni dalla laurea, tuttavia, al di là della passione che mi trasmetteva il mondo della Pianificazione, i primi anni di professione mi lasciavano senza risposta alla domanda che mi ero già posto durante il corso di studi: che cosa c’entra la Pianificazione con l’ingegneria? Che ingegneria è quella che non governa forze? Perché sono un Ingegnere?

Il compianto professor Muntoni mi avrebbe detto: non farti questa domanda non sei mica un “filosofo”. In realtà con il proseguo della professione, a furia di fare modelli di simulazione, analizzare dati quantitativi, effettuando studi di convenienza economico finanziaria, studiando le interazioni territorio trasporti, man mano trovai la risposta alla mia domanda.

Che cosa erano i calcoli degli investimenti infrastrutturali, di gestione delle infrastrutture, di costi operativi per i servizi di trasporto, di calcoli di tempi di viaggio, di energia consumata, di inquinamento prodotto se non delle forze? Mi resi conto che anche io avevo a che fare con delle forze, “come gli ingegneri veri!!”.

La differenza è che tali forze non sono forze di natura fisica ma forze di natura economica e che il compito dell’ingegnere pianificatore dei trasporti è quello di individuare quelle opere e politiche dei trasporti e della mobilità che siano in grado di far stare in piedi non una struttura fisica ma una struttura economica, quella del territorio che sta studiando.

E se questo territorio non investe ed organizza in maniera adeguata, efficace ed efficiente il suo sistema di mobilità, se non integra questo sistema con lo sviluppo urbanistico, si impoverisce, si indebolisce e collassa per deterioramento dell’“armatura”, in maniera analoga al collasso di una struttura in calcestruzzo armato per deterioramento o insufficienza della sua armatura in acciaio.

Purtroppo questa stessa consapevolezza che ho acquisito negli anni non è presente oggi nei decisori politici e in molte strutture tecniche che scelgono e realizzano infrastrutture e politiche di trasporto senza tener conto degli effetti sul sistema economico e territoriale, e non mi sto riferendo al tema della continuità territoriale ma alla mobilità di ogni giorno.

Il risultato è un sistema ad inefficienza crescente che significa impoverimento crescente e territori degradati dalle infrastrutture di mobilità che li attraversano realizzante senza alcuna analisi ex-ante sugli effetti trasportistici, economici ed urbanistici.

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