Italia divorata dal cemento: in 50 anni urbanizzata un’area come la Valle d’Aosta [di Corrado Zunino]

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R.it 4 dicembre 2017. Lo rivela uno studio congiunto di Wwf e Università dell’Aquila. Gli ambientalisti: “Già occupato il 10% del territorio, e manca ancora una legge per il consumo del suolo”. Domani è la giornata contro il consumo del suolo e il Wwf, tecnicamente supportato dall’Università dell’Aquila, ci dice che in mezzo secolo – 1951-2001 – l’urbanizzazione in Italia è cresciuta del 300 per cento e che solo negli ultimi dieci anni sono stati costruiti altri 180mila edifici.

Sono le quattordici aree metropolitane a divorare territorio e il dossier si occupa esattamente di queste città con confini sempre più lontani istituite, sul piano amministrativo, nel 2014. In media, nelle aree metropolitane italiane la percentuale delle superfici urbanizzate, dagli Anni ‘50 a oggi, è triplicata passando dal 3 per cento al 10. A Milano e Napoli, dove la densità abitativa è dieci volte superiore la media nazionale, i terreni asfaltati sono quadruplicati, passando dal 10 al 40 per cento.

Le 14 aree metropolitane italiane coprono 50mila chilometri quadrati del Paese e inglobano 1.300 comuni (il 16 per cento del totale). Ospitano, però, 21 milioni di abitanti, il 40 per cento della popolazione italiana. Bene, in poco più di 50 anni nelle quattordici metropoli sono stati convertiti ad usi urbani 3.500 chilometri quadrati di suolo, una superficie superiore all’estensione della Valle d’Aosta.

Le città sono Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia e in cinquant’anni hanno fatto registrare un aumento di 12 milioni di persone: 2,5 milioni in più ogni decade anche se nel decennio dal 2001 al 2011 la crescita si è fermata a 600mila nuovi abitanti.

Rallenta la corsa a costruire. Come rilevato dall’Istat, tra il 1946 e il 2000 su queste aree sono stati costruiti oltre due milioni di edifici ad uso residenziale, cifra corrispondente a 100 edifici al giorno. Negli ultimi dieci anni presi in considerazione (2001-2011, appunto) l’energia del fenomeno si è attenuata e si sono registrati 180.000 nuovi edifici (contro i 400.000 mediamente realizzati per ogni decennio precedente). Gran parte di questi nuovi involucri edilizi sono concentrati nell’area metropolitana di Roma (35.000) e di Torino (21.000).

Il gruppo di ricercatori dell’Università dell’Aquila, coordinati dal professor Bernardino Romano, membro del comitato scientifico del Wwf, sottolinea alcune peculiarità locali del periodo 2001-2011: nel territorio della città metropolitana di Messina, a fronte di un aumento di 200 abitanti, sono stati realizzati oltre 8.300 nuovi edifici, trentasette per ogni nuovo residente. A Napoli sono sorti tre edifici per ogni abitante perso, Cagliari ne ha realizzati due per ogni neo-domiciliato.

L’analisi dell’indice di non occupazione delle abitazioni nei singoli comuni del Paese (ovvero il numero di abitazioni vuote rispetto al totale) denota un valore medio basso, pari al 16 per cento. L’indice inferiore si registra nell’area metropolitana di Milano: solo il 6 per cento delle abitazioni risulta non occupato. I valori più elevati sono stati riscontrati nei territori di Reggio Calabria, Messina e Palermo.

Negli Anni ’50 un terzo dei municipi italiani aveva un indice di urbanizzazione inferiore all’1 per cento e solo otto comuni risultavano asfaltati per oltre la metà del territorio. La situazione post 2000 si è modificata radicalmente: sono solo ottanta i comuni che continuano ad avere un tasso di urbanizzazione inferiore all’1 per cento e ben settantacinque hanno oltre il 50 per cento del territorio solettato.

Si stringe il cerchio minimo senza insediamenti. Come ha certificato l’Ispra, il consumo del suolo in Italia viaggia al ritmo di 30 ettari al giorno. Nel nostro Paese, è invece la conclusione del lavoro dell’Università dell’Aquila, non è possibile tracciare un cerchio del diametro di dieci chilometri senza intercettare un insediamento. La superficie urbana pro-capite è passata dai 115 metri quadrati del 1950 a quasi 350 metri quadrati nei primi anni del 2000.

Otto associazioni ambientaliste lo scorso 10 ottobre hanno portato 82 mila firme al presidente del Senato, Pietro Grasso, per spingere l’approvazione della legge sul consumo del suolo – già passata alla Camera – entro la fine della legislatura.

Il Wwf Italia ora ricorda che con le leggi in vigore si possono realizzare cinque cose utili sul tema: in tutti i Piani paesaggistici regionali (come si è iniziato a fare in Toscana, Puglia e Sardegna) devono essere indicati obiettivi e misure di contenimento del consumo di suolo, quindi i nuovi piani urbanistico-ambientali comunali possono individuare e progettare aree verdi libere per garantire la resilienza dei sistemi naturali, ancora le bonifiche delle aree industriali dismesse devono perseguire l’obiettivo della salute ambientale del suolo.

Oggi, quarto punto, si possono realizzare insediamenti a tendenziale autosufficienza energetica e infine sarebbe cosa utile la diffusione di pratiche civiche come i giardini condivisi e gli orti urbani “per far respirare e decongestionare le aree urbane”.

L’appello del WWF: subito una nuova legge. Dice Donatella Bianchi, presidentessa del Wwf Italia: “Un’altra legislatura volge al termine e ancora l’Italia non ha una legge per limitare il consumo del suolo. È ormai evidente che gli appelli per approvare un provvedimento fermo da mesi al Senato sono caduti nel vuoto. Non solo il 10 per cento del nostro territorio è già occupato da insediamenti urbani o infrastrutture, ma quotidianamente s’impoverisce la qualità del patrimonio naturale, dei nostri paesaggi.

Come si evidenzia nel lavoro del gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila la polverizzazione delle edificazioni in aree vaste ha portato alla frammentazione degli habitat naturali più preziosi del nostro Paese: nella fascia chilometrica in immediata adiacenza ai Siti di interesse comunitari in cinquant’anni l’urbanizzazione è salita da 84mila ettari a 300 mila”.

 

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