Reciprocità è il concetto su cui fondare comunità in sintonia [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 9 gennaio 2018. La città in pillole. Chi non ricorda l’apologo di Menenio Agrippa raccontato da Tito Livio in Ab Urbe condita libri? Il politico, nel 493 a. C., veicolò il nuovo ordinamento sociale che avrebbe cambiato il mondo con la metafora del corpo, che, qualche tempo dopo, la Legge delle XII Tavole avrebbe  imposto di occultare, dopo la morte, fuori della città.

L’apologo è parte integrante dell’immaginario collettivo e lo stesso Livio, forse, se ne servì, tra il I° a.C. e il I° d. C., per legittimare la trasformazione della res publica, opera di Ottaviano, acclamato nel 27 a.C. princeps primus inter pares e Augusto; autocrate ma formalmente espressione di una compiuta democrazia. Nell’antico episodio, i plebei in rivolta contro i patrizi, abbandonate le loro funzioni, si confinarono sull’Aventino.

Per farli rientrare, Menenio paragonò l’ordinamento sociale al corpo umano che sopravvive solo se le parti che lo formano collaborano: ”senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute”. Vi si individuano i caratteri connotanti la romanità, differenti, nella pratica amministrativa, dal resto del  mondo antico: una solida idea di interdipendenza e di complementarietà, intrinseche al concetto di civitas che è il fondamento dell’urbs.

La città infatti – Cagliari non fa eccezione – è, nella fondazione e nella sua persistenza, un reticolo, strutturale e sovrastrutturale, dove, per dirla con Gramsci,  il pensiero politico precede l’azione. Consente di oltrepassare le mura e costruire relazioni con contado e territori lontani.

Il paradigma rese possibile a diversi continenti di condividere leggi e lingua che costruirono identità, immateriali e materiali, che persistono e le cui tracce, non solo quelle dell’infrastrutturazione stradale, che unì il mondo conosciuto, o di ponti, acquedotti, terme, templi, teatri, si rinvengono in Asia, Africa, Europa. La parola più opportuna per definire il senso della relazione fondante, allora e oggi, è reciprocità (recus – procus – cum: che va e che torna vicendevolmente).

La sua antica ascendenza la carica di potenza simbolica che impone nella polis che voglia essere contemporanea e continuare ad essere storica, di prendere decisioni in sintonia col corpo sociale, garantendo  interconnessioni e coesione tra le parti e nella comunità.

 

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