L’Ufficio regionale del Referendum ha dichiarato illegittimo il quesito proposto dal Comitato per l’inserimento del principio di insularità nella Costituzione [di Comitato per l’inserimento del principio di insularità nella Costituzione]

carta di sardegna

L’Ufficio regionale del Referendum con una decisione incomprensibile ha dichiarato illegittimo il quesito proposto dal Comitato per l’inserimento del principio di insularità nella Costituzione.

Era di evidenza che il percorso verso il riconoscimento del principio di insularità sarebbe stato difficile, come tutte le scelte che rivoluzionano “su connotu”.

Mai si sarebbe immaginato tuttavia un’interpretazione burocratica di questo genere, che sostanzialmente nega il diritto dei sardi ad utilizzare lo strumento referendario, contraddicendo altre interpretazioni precedenti.

Forti del parere di illustri costituzionalisti ed amministrativisti impugneremo questa discutibile scelta che violenta la sovranità popolare espressa da 92.000 sardi e che ritarda un percorso di autocoscienza e di assunzione di responsabilità sul proprio destino.

I sardi vogliono avere le stesse opportunità di qualsiasi cittadino  e cittadina europei pur stando in un’isola che è non è uno svantaggio a patto di non dover subire una serie di servitù di cui quella della mobilità è una delle tante.

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Ecco di seguito la Deliberazione dell’Ufficio regionale del Referendum

Deliberazione del 26 gennaio 2018, n. 1

Oggetto:  Richiesta di referendum popolare regionale consultivo avente ad oggetto iniziative istituzionali per richiedere allo Stato il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità mediante l’inserimento di detto principio nella Costituzione.

In data 26 gennaio 2018, presso la Direzione generale della Presidenza della Regione, in Cagliari, viale Trento n. 69, secondo piano, si è riunito l’Ufficio regionale del Referendum, costituito, ai sensi della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20, con decreto del Presidente della Regione autonoma della Sardegna n. 82 del 15 settembre 2017, e composto dai signori

dott.ssa Giovanna Alda Osana    Presidente

dott. Massimo Costantino Poddighe    Componente

dott. Francesco Scano     Componente

dott. Antonio Contu     Componente

dott. Alessandro De Martini     Componente

e con l’assistenza del dott. Fabrizio Taormina, in qualità di segretario e della dott.ssa Valentina Spiga in qualità di segretario supplente

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L’Ufficio regionale del referendum

Vista la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e successive modificazioni;

Vista la legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), e successive modificazioni;

Vista la nota prot. n. 184 dell’8 gennaio 2018 della Cancelleria della Corte d’Appello di Cagliari, con la quale sono stati trasmessi n. 3 plichi contenenti la documentazione relativa alla richiesta di referendum popolare regionale consultivo recante il seguente quesito:

“Volete voi che la Regione Autonoma della Sardegna  intraprenda le  iniziative  istituzionali necessarie a richiedere allo Stato il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità mediante l’inserimento di detto principio nella Costituzione in coerenza con l’art. 174, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea?”

Atteso che nei giorni 16 e 22 gennaio 2018, come risulta da separati verbali, l’Ufficio Regionale del Referendum, chiamato a deliberare in ordine all’ammissibilità del sopra indicato referendum, ha posto in essere gli adempimenti previsti dalla legge regionale 17 maggio 1957, n. 20, Rileva quanto segue

  1. La richiesta del referendum in esame è stata depositata, ai sensi dell’articolo 5 della citata legge regionale n. 20/1957, presso la Cancelleria della Corte d’Appello di Cagliari il 28 dicembre 2017, e quindi entro il termine di quattro mesi dalla data (11 settembre 2017) del verbale di cui all’articolo 4, comma 1 della predetta legge.
  2. Con la proposta referendaria in esame, il Comitato promotore intende chiedere agli elettori di decidere se dare, oppure non, mandato ai competenti Organi della Regione Autonoma della Sardegna di intraprendere le iniziative istituzionali necessarie a richiedere allo Stato di novellare la Carta costituzionale, con l’inserimento, nel corpus delle norme che la compongono, del riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità del territorio della Regione medesima.

Ad avviso dell’Ufficio, la richiesta di referendum, così come formulata, non rientra in alcuna delle categorie delineate nell’art. 1 della l.r. 17 maggio 1957, n° 20, e, per quanto in particolare interessa, non in quella di cui alla lett. f), implicitamente richiamata dal Comitato promotore.

Tale ipotesi di referendum, difatti, prevede che gli elettori possano essere chiamati a esprimere “un parere su una questione”, cioè a dare esclusivamente un giudizio, positivo o negativo, sulla specifica soluzione, a loro proposta col quesito referendario, di un certo problema, sul quale si registrano opinioni non concordanti.

La richiesta in delibazione, invece, come emerge dalla disamina del quesito che si vorrebbe sottoporre agli elettori stessi, non ha affatto a oggetto una questione controversa -essendo del tutto palese e da nessuno contestabile che l’insularità comporti una serie di gravi e permanenti svantaggi alla popolazione- ma tende, piuttosto, in via principale, a orientare, in una certa direzione, le scelte politiche dei competenti Organi della Regione.

La differenza tra il referendum proposto e lo schema tipizzato nella lett. f) della l.r. n° 20, cit., si coglie anche ponendo a raffronto gli esiti che ciascuno di essi è idoneo a produrre: in questo, una manifestazione di scienza (e, precisamente, di giudizio) su una situazione incerta, suscettibile di differenti valutazioni; in quello, una manifestazione di volontà, sotto forma di mandato (seppure, va da sé, non vincolante), diretta agli Organi della Regione affinché pongano in essere gli atti necessari al conseguimento del risultato auspicato dai promotori.

Ora, pare indubitabile, da un lato, che pure un semplice parere, espresso su una determinata questione dal corpo elettorale, possieda l’attitudine e, anzi, sia normalmente destinato, a influire sulle opzioni che si  presentano agli amministratori della cosa pubblica e, dall’altro, che un atto d’indirizzo presupponga, in capo a chi lo pone in essere, il previo scioglimento di un tema suscettibile di diverse soluzioni.

In questa sede, tuttavia, le caratteristiche marginali, così come, del resto, le opinabili qualificazioni giuridiche, non assumono rilievo decisivo, perché il parametro da tenere in considerazione è fornito in via esclusiva dal tipo di referendum descritto nella legge e, nel caso, quest’ultima non ha genericamente previsto la possibilità di indire una consultazione popolare purchessia, ma ha ammesso soltanto il referendum che abbia a oggetto “un parere”, che non può certo essere confuso con un atto d’indirizzo.

Deve pertanto ribadirsi che la richiesta in esame non è affatto sussumibile, vuoi sotto il profilo strutturale, vuoi sotto quello funzionale, nella fattispecie descritta nella lett. f) della l.r. n° 20, più volte citata.

Com’è risaputo, i referendum regionali, al modo degli altri istituti di democrazia diretta, sono tutti tipici e non possono svolgersi con forme diverse da quelle fissate nelle norme costituzionali o nelle leggi che ad esse danno attuazione.

La richiesta stessa, pertanto, non può che essere dichiarata inammissibile.

  1. Ad abundantiam va rilevato che ulteriore motivo di inammissibilità del referendum consultivo richiesto è costituito dall’individuazione della fonte normativa nella quale si chiede l’inserimento del principio del grave e permanente svantaggio derivante dall’insularità, così come sancito dall’art. 174, comma 3^ del TFUE.

E’ noto, infatti, come la Costituzione non ha delineato l’ambito di autonomia delle singole Regioni a Statuto speciale, ma all’art. 116, comma 1^, ha previsto che queste “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”. Invero, gli Statuti speciali, adottati e modificati con legge costituzionale (si veda l’art. 3 della legge costituzionale n. 2 del 31 gennaio 2001, che ha apportato modifiche allo Statuto speciale della Sardegna), secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza costituzionale, si pongono ad un livello di pari rango di quello della Costituzione e subordinato solo ai princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale (Corte costituzionale, n. 1146/1988).

In questo senso, dunque, l’art. 116 della Costituzione individua nella “materia statutaria” la definizione delle “forme e condizioni particolari di autonomia”, che non possono essere disciplinate da fonti di rango inferiore, ma non trovano la loro sede naturale nemmeno nella Costituzione che, come precisato, sotto tale profilo, rinvia proprio agli Statuti speciali.

È evidente, infatti che, laddove fosse possibile l’inserimento nella Carta costituzionale del principio voluto dal quesito referendario, ciò aprirebbe la strada ad ulteriori modifiche volute da altre Regioni a statuto speciale, con evidente disallineamento rispetto al disegno del Costituente, che – come sopra precisato – con l’art. 116, comma 1^, ha creato una “riserva statutaria” per disciplinare tali forme di autonomia speciale.

  1. Le argomentazioni sopra esposte sono ulteriormente corroborate dalla giurisprudenza anche recente dellaCorte costituzionale, posto che con la sentenza n. 118/2015 la Consulta ha affermato che “i referendum regionali, inclusi quelli di natura consultiva, non possono coinvolgere scelte di livello costituzionale (sul punto richiama le precedenti sentenze n. 365 del 2007, n. 496 del 2000, n. 470 del 1992)” e che “i referendum popolari regionali, anche quando hanno natura consultiva, sono istituti tipizzati e debbono svolgersi nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione o stabiliti sulla base di essa”.

In particolare, sebbene nel caso di specie la Corte abbia ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale riguardante una disposizione di legge della Regione Veneto relativa allo svolgimento di una consultazione del corpo elettorale regionale finalizzata all’attribuzione a tale Regione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, si deve rilevare che in quel caso l’iniziativa referendaria si è ritenuto si collocasse nel “quadro della differenziazione delle autonomie regionali” prevista dall’articolo 116, comma 3 della Costituzione e che fosse compatibile con il procedimento ivi previsto.

L’iniziativa referendaria in esame, di contro, oltre a non essere contemplata dalla normativa regionale che disciplina la materia dei referendum popolari regionali, appare, effettivamente, rivolta a modificare la Carta costituzionale – anziché lo Statuto speciale – preludendo così al determinarsi di sviluppi relativi all’autonomia della Regione Sardegna che eccedono i limiti costituzionalmente previsti.

Per le ragioni che precedono, letto l’art. 6, comma 7, della L.R. 17 maggio 1957, n. 20 e successive modifiche ed integrazioni,

– che la richiesta referendaria è illegittima ed il referendum non può essere ammesso.

Dispone che la presente deliberazione venga pubblicata entro 15 giorni sul Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna e sul sito istituzionale della Regione.

Cagliari, 26 gennaio 2018

Il Presidente        Osana

I componenti

Poddighe

Scano

Contu

De Martini

Il Segretario   Taormina

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