Le strisce del Largo Carlo Felice [di Maria Antonietta Mongiu]

carlo felice

Quando nel 2014 il Nobel per la Medicina fu assegnato a tre studiosi che si erano occupati di come ci si orienta nello spazio, chissà a quanti provenienti da società tradizionali sarà sembrata una stravaganza. Una delle capacità, non solo cognitive, più riconosciute era infatti  la memoria dei luoghi, oggetto di intensive pedagogie famigliari e comunitarie.

Pur indirizzate non solo ai maschi solo questi, in contesti agropastorali, erano sottoposti  a prove di orientamento. Quasi un’iniziazione che dava accesso all’autorità. Prioritario trasmettere i modi per individuare un luogo; posizionarlo in mappe, mentali prima che fisiche e circoscriverlo in uno spazio, determinato spesso da confini vegetali eppure tenacissimi. Sconfinare aveva conseguenze indicibili e non riconoscerli significava sradicarsi.

Ecco perché si mandavano a memoria nomi e odori, e tipologie di orme; si declinavano i corpi in differenti posture a seconda che i sentieri fossero in discesa, in  salita o in piano; si evitavano pozze d’acqua perché abitate da bestiari, più immaginari che reali. Una specializzazione di millenni, denominatore di tutte le culture e di tutte le geografie. Una cassetta degli attrezzi per sopravvivere fino a qualche decennio fa.

Ma forse anche oggi da quando quei premi Nobel vi hanno  fondato una teoria basata su una “cellula a griglia”, che consente all’individuo di orientarsi nello spazio e di sviluppare funzioni quali memoria e progettualità. L’uomo non può vivere senza mappe dei luoghi e senza conoscerne la matrice. Ecco perché l’Alzheimer collettivo è una tragedia più di quello personale perché l’uomo ha imparato a materializzare, prima dei linguaggi verbali, le forme dell’ambiente.

Lo ha spiegato a Cagliari Louis Godart,  attraverso il Disco di Festòs, capolavoro cretese contemporaneo dei primi nuraghi. Gli architetti-costruttori di questi iniziarono allora a sovrapporre i definitivi orientamenti alle dominanti ambientali e quando i Micenei e, più tardi, i Fenici solcavano il mare, davanti alla futura Via Roma,  e la laguna di Santa Gilla avevano già consolidato nomi e direttrici della futura città.

Ne persistono tracce indelebili. Persino involontarie, bizzarre, nell’orientamento delle strisce

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