Così hanno tentato di depistare l’inchiesta sulle tangenti Eni [di Fabio Albanese e Edoardo Izzo]

Eni CEO Claudio Descalzi stands prior to the Eni investor meeting, in Milan, Italy, Wednesday, March 15, 2017. (ANSA/AP Photo/Antonio Calanni) [CopyrightNotice: Copyright 2017 The Associated Press. All rights reserved.]

La Stampa, 7 febbraio 2018. Avvocati di grido, magistrati, giornalisti, aziende. Un meccanismo perfetto, che si è inceppato solo ieri, quando in cinque sono finiti in carcere e altri dieci ai domiciliari, con ordinanze delle procure di Roma e Messina eseguite dalla Guardia di finanza. Piero Amara, Giuseppe Calafiore (ieri ancora a Dubai) e Fabrizio Centofanti sono tutti avvocati, alla guida di studi prestigiosi; Giancarlo Longo è il magistrato, ex pm di Siracusa e ora al tribunale di Ischia dopo un trasferimento disciplinare; Giuseppe Guastella è il giornalista che scrive per il periodico locale di Siracusa, “Diario”; le aziende, piccole e grandi, beneficiano dell’attività degli indagati, in grado di ottenere benefici fiscali e anche di fare uscire dalle inchieste i clienti degli avvocati.

Tra gli indagati c’è un ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio (accusato di aver aggiustato una ventina di sentenze), che avrebbe scampato l’arresto solo perché in pensione. Proprio a Virgilio deve la sua «fortuna» il gruppo Sti, riconducibile all’imprenditore Ezio Bigotti (finito ai domiciliari).

Bigotti, legato al senatore di Ala Denis Verdini, è tra le 21 persone che rischiano il processo nell’inchiesta Consip, quella dove sono indagati tra gli altri il ministro dello Sport Luca Lotti e Tiziano Renzi, papà dell’ex premier e attuale segretario Pd. Secondo le ipotesi dei magistrati romani, Virgilio avrebbe «aggiustato» tre sentenze per favorire proprio Bigotti, e una di queste è proprio una gara da 388 milioni bandita dalla Centrale acquisti della pubblica amministrazione.

L’imbarazzo dei magistrati L’inchiesta è partita nel settembre 2016 da un esposto presentato da 8 degli 11 sostituti della procura di Siracusa che scrivono ai pm di Messina, al ministro della Giustizia, alla Corte di Cassazione, alla procura generale di Catania: «È con profondo imbarazzo – è l’inizio dell’esposto – che i sottoscritti sostituti procuratori rappresentano di aver osservato fatti e situazioni tali da ingenerare grave preoccupazione per le sorti dell’amministrazione della giustizia».

Il pm in carcere Stando all’inchiesta della procura di Messina, Giancarlo Longo per anni avrebbe «svenduto la funzione giudiziale», in cambio di soldi e viaggi, per favorire i clienti dei due avvocati siracusani Amara e Calafiore, con la creazione di fascicoli “specchio”, che il pm «si autoassegnava al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi»; ma anche con fascicoli “minaccia”, in cui «finivano per essere iscritti soggetti “ostili” agli interessi dei clienti di Calafiore»; e infine col metodo dei fascicoli “sponda”, tenuti in vita per «creare una legittimazione formale al conferimento di consulenze, il cui reale scopo era quello di servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara».

In questo contesto, Longo avrebbe aperto un’inchiesta su un presunto complotto contro l’Eni e il suo ad Claudio Descalzi, dopo un presunto esposto anonimo in cui si chiamava in causa il banchiere di Carige Gabriele Volpi. Secondo i pm messinesi, questa “inchiesta” serviva a Longo per accedere agli atti e depistare un’altra indagine: quella sull’Eni e gli affari in Nigeria, avviata dalla procura di Milano che ieri ha fatto perquisire gli uffici di un alto dirigente indagato, Massimo Mantovani, sospetto «depistatore» con Amara, uno dei difensori dell’Eni. Temendo di essere intercettato, Longo cercava nel suo ufficio microspie: quando ne scova una chiede la bonifica ai tecnici della procura. L’avvocato di Longo, Candido Bonaventura, dice che «Longo offrirà alla valutazione del gip trancianti elementi a propria difesa».

L’indagine di Roma L’indagine che coinvolge il magistrato Virgilio, nasce dall’analisi dei flussi finanziari delle società di Centofanti. I pm individuano 751 mila euro in Svizzera riconducibile a Virgilio. Denaro che il magistrato non ha dichiarato, poi finito su una società maltese legata agli avvocati Amara e Calafiore, che avevano proposto a Virgilio di investire garantendolo con una loro fidejussione.

L’investimento riguardava una società dell’imprenditore Andrea Bacci (non indagato nel procedimento), ex socio di Tiziano Renzi. Nella stessa inchiesta, risultano indagati anche il consigliere di Stato Nicola Russo, l’ex presidente della giustizia siciliana, Raffaele De Lipsis e l’ex direttore del Consiglio di Stato, Antonio Serrao.

La fuga di notizie L’inchiesta ha rischiato di essere stoppata da pesanti anomalie. Ad esempio, l’imprenditore Giuseppe Calafiore è partito per Dubai sottraendosi all’arresto in seguito a una soffiata. A Siracusa, poi, si sapeva con netto anticipo che Roma avrebbe fatto delle intercettazioni. E ancora: indagando su un magistrato del Consiglio di Stato e su uno della Corte dei Conti, gli investigatori hanno scoperto che erano stati avvertiti delle intercettazioni dall’avvocato Amara.

Un dipendente del Mef, infine, avvertì l’imprenditore Ezio Bigotti di una richiesta avanzata dall’Antitrust per la sua società in corsa per appalti Consip. Lo stesso funzionario si era attivato per far sapere a Bigotti dell’esistenza di un’indagine penale avviata dalla procura di Roma.

 

 

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