Anche ai pellerossa americani è stato riservato lo stesso trattamento dei sardi? [di Franco Annunziata]

carnevale

A proposito  della lettera aperta a Philippe Daverio, sui pastori sardi bisogna registrare che continuano ad esistere stereotipi, che si rafforzano durante l’estate, quando i turisti di  altre regioni fanno il verso ai residenti con espressioni dialettali e marcando l’accento.

Vivo in Sardegna dallo 01/08/1961 e la mia famiglia è sarda e tuttavia penso che una qualche responsabilità l’abbiano quelli che hanno esportato l’immagine di una popolazione che vive in costume: era questa l’immagine che arrivava a Milano anche sui libri di testo delle Scuole Medie, comprese alcune notizie/immagini sui latitanti.

Spiace molto ma non è condivisibile l’immagine che viene data della cultura della Sardegna con gli spettacoli folcloristici che vengono organizzati, ad uso e consumo dei turisti, nei villaggi turistici. Quegli spettacoli dovrebbero essere visti nei luoghi ove viene prodotta quella cultura e dove viene vissuta.

Ancor più spiace molto la rassegna delle maschere sarde di carnevale organizzata il 15 agosto (!) a Muravera e in altre località costiere, sempre ad uso e consumo dei turisti: ma quella cultura non dovrebbe essere goduta nei paesi e nel periodo di carnevale?

Tutto ciò è una scorretta rappresentazione delle culture locali, e quindi delle diverse identità della Sardegna. Ma l’osola ma non era quasi un Continente? La domanda cruciale allora da porsi è: ma non era stato riservato anche ai pellerossa americani  lo stesso trattamento?

 

One Comment

  1. Angelo

    Caro sig.Annunziata, lei ha ragione da vendere.
    Mi permetta di cogliere la sua come spunto per alcune riflessioni.

    Non voglio certo sollevare il prof.Daverio dalle responsabilità per lo scivolone commesso e nemmeno evitargli la vergogna che merita, il suo errore rimarrà negli archivi ed eventualmente ne risponderà in prima persona.

    Mi sembra però che per noi sardi sia molto più importante riflettere su noi stessi e sulle nostre colpe.
    Un avviso: se qualcuno si facesse sfiorare la mente dal ineluttabilità di questa situazione allora potrebbe tranquillamente accomodarsi di fianco all’ex assessore milanese, tanto varrebbe.
    Pensare alla storia come a uno svolgersi di avvenimenti l’uno consequenziale all’altro, pari allo srotolarsi delle immagini di una pellicola, allora questo sarebbe il modo migliore per avvalorare e moltiplicare gli stereotipi intorno alla sarda genia.
    Il destino non è prestabilito ed la storia delle nazioni la scrivono le nazioni stesse, volenti o nolenti.
    Volenti quando ci si assume la responsabilità, nolenti quando si subiscono gli eventi.
    La storia va avanti in ogni caso, occorre capire se vogliamo essere protagonisti o spettatori.

    Il fatto, cari connazionali, è che gran parte della responsabilità è di tutti noi sardi, nessuno può esimersi dall’accollarsi la propria parte di colpa.
    A che serve imbufalirsi per l’ennesimo sfottò quando siamo noi i primi ad avere poco a cuore la nostra terra e il nostro stesso popolo?
    Crediamo che dare addosso all’ennesimo “continentale” sia sufficiente a sedare la coscienza?

    Prima di arrivare a parlare di indipendenza (aspirazione del tutto legittima e che non può essere derubricata con una smorfia di sufficienza) occorrerebbe fare tutto un percorso che, è vero, ci è stato storicamente impedito perché è innegabile che certi meccanismi di stampo coloniale li abbiamo subiti e li stiamo pagando, ma è un percorso che è doveroso ed imprescindibile fare se non vogliamo apparire come dei sardi pavloviani.

    Vogliamo cominciare a farlo oppure vogliamo restare fermi a guardare?
    I giovani abbandonano l’isola, la nostra terra è fagocitata dal land-grabbing, i nostri raccolti e le nostre acque vengono avvelenate, le nostre coste privatizzate, sempre più gente crede che sia inutile dare un futuro alla nostra lingua, le terre e il mare sono preclusi dalle varie servitù, la nostra cultura viene ridotta a fenomeno da baraccone, la sanità pubblica sempre più malata, gli ospedali ceduti al miglior offerente straniero, eccetera…

    La spoliazione culturale e materiale va avanti con il nostro consenso, prima o poi sarà troppo tardi per tornare indietro.

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