Mala-università: un’associazione per combattere i privilegi e le impunità dei “baroni” intervista a Gianbattista Scirè [di Andrea Menegazin]

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MicroMega.it 20 febbraio 2018.  Nasce l’associazione non-profit “Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo”, a denuncia del malcostume accademico, degli accordi sottobanco e delle irregolarità concorsuali. Tra minacce e isolamento subiti da chi ha reagito a episodi di mala-università, emergono rinnovati l’imperativo della trasparenza e l’invito inderogabile rivolto alle istituzioni a una pubblica censura e condanna degli episodi di malagestione dei concorsi, a tutela della ricerca e dei suoi protagonisti.

Il tema della mala-università nelle procedure di assunzione e progressione del personale docente è al centro di un’attenzione senza precedenti da parte della stampa e dell’opinione pubblica. Le ripetute denunce e le inchieste che hanno reso note irregolarità ricorrenti in materia di reclutamento e di avanzamento di carriera – un habitus, si direbbe, tipicamente nostrano – hanno esasperato una già aperta ferita culturale, che non tollera che la “dimora della cultura” per eccellenza, su cui un Paese scommette la preparazione e la rettitudine della futura classe dirigente, si macchi della colpa di “educare” i propri giovani alla frustrazione per meriti non riconosciuti, e di assolvere i cattivi maestri.

La realtà del “baronaggio” – termine che in origine indicava l’alta nobiltà e dignità di uomini liberi e guerrieri insigniti direttamente dal sovrano – non si circoscrive a qualche isolata “mela marcia” di un sistema perfettamente funzionante. Non ne rappresenta nemmeno la fotografia più esaustiva: la corruzione non approssima la totalità dei problemi dell’accademia italiana, diversamente da parziali analisi offerte all’opinione pubblica, talvolta in funzione assolutoria dei continui tagli all’istruzione universitaria.

Il Rapporto 2017 del Public Funding Observatory dell’European University Association[1] assegna all’Italia il bollino arancione – pericolosamente tendente al rosso – per i finanziamenti pubblici nel periodo 2008-2016, con profilo in via di peggioramento (assieme a Spagna e Lettonia). Nell’infografica l’Italia viene collocata tra i paesi che nell’arco di tempo considerato hanno tagliato la spesa pubblica di una percentuale tra il 5 e il 20% (con tendenza italiana al limite superiore). Ma L’Italia rimane il paese di un irriducibile paradosso[2], un fanalino di coda negli investimenti in R&D (Research and Development) tra le grandi economie, e al contempo uno dei più prolifici al mondo in termini di pubblicazioni scientifiche, con output di riconosciuta eccellenza in diversi campi.

È dunque in favore di tali eccellenze che l’imperativo etico e le denunce di plateali abusi di potere – un monito generato in seno all’università stessa – assumono la valenza di una contestazione costruttiva, che esprime la volontà di un superamento definitivo di alcuni storici meccanismi che frenano l’accademia italiana dal dispiegare il proprio vero potenziale.

“Trasparenza e Merito. L’Università che vogliamo”[3] è un’associazione non-profit nata dall’iniziativa di un gruppo di ricercatori che si propone come interlocutore con le competenti sedi politiche su temi concernenti il reclutamento e l’avanzamento di carriera, con proposte di riforma dell’attuale sistema.

Uno strumento realizzato da e per coloro che in gergo inglese vengono chiamati whistleblowers, soggetti che si trovano a essere testimoni di comportamenti illegali di interesse pubblico entro un istituto o un’organizzazione di cui fanno parte, e che rendendo pubbliche fischiate su episodi di corruzione si espongono al rischio di minacce, ripercussioni in ambito professionale, isolamento e perdita del posto di lavoro. Di questo e delle irregolarità nelle procedure di assunzione negli atenei italiani parliamo in un’intervista con Giambattista Scirè, ricercatore universitario di storia contemporanea, amministratore e portavoce dell’associazione.

M = Andra Meneganzin per MicroMega – la Mela di Newton

GS = Giambattista Scirè – ricercatore universitario, portavoce di “Trasparenza e merito. L’università che vogliamo”

M: Ci racconti come è nata “Trasparenza e merito. L’Università che vogliamo”, e quali sono gli obiettivi dichiarati e gli strumenti messi a disposizione dall’associazione per tutelare chi denuncia irregolarità nelle procedure concorsuali.

GS: Il gruppo di studiosi che il 10 novembre 2017 a Roma ha dato vita all’associazione è nato dall’iniziativa di alcuni di noi, in particolare mia e di Giuliano Grüner (attuali amministratori e portavoce, conosciutici in seguito alla divulgazione pubblica dei casi più significativi ed eclatanti), di avviare un collegamento e coordinamento, prima virtuale (attraverso un gruppo in rete), poi telefonico, e infine dal vivo, con un incontro. Dopo un pubblico appello (a questo proposito rimando a: http://www.glistatigenerali.com/giustizia_universita-scienze/universita-concorsi/ ), e dopo un contatto con alcuni giornalisti di “Repubblica” e del “Fatto quotidiano”, è nata finalmente l’associazione. Abbiamo subito riscontrato un grande interesse e fermento, a dimostrazione della profondità del fenomeno, e siamo stati contattati da tantissimi colleghi provenienti da quasi tutti gli atenei italiani e dai più diversi settori scientifico-disciplinari.
Il gruppo nasce con l’intento di far conoscere all’opinione pubblica le violazioni della legge e gli abusi in materia di reclutamento e concorsi in ambito universitario. Invita tutti i partecipanti e i candidati, a denunciare tali violazioni di legge (anche penalmente, se sussistono le condizioni e gli elementi). Intende dare supporto, tramite pressione mediatica, a chi non vede riconosciuti i propri diritti anche nel caso di sentenze favorevoli emesse dalla giustizia amministrativa. Vuole rappresentare, dunque, un punto di riferimento e di ascolto, sulla base della esperienza e della conoscenza diretta di singoli casi con precedenti di irregolarità (senza mai sovrapporsi e tanto meno sostituirsi agli avvocati esperti in materia di diritto amministrativo e di ricorsi).

Fornisce, in alcuni casi –  precisi e limitati, e particolarmente rappresentativi di palesi e ripetute irregolarità –  anche un supporto legale in ordine alle meno dispendiose e più efficaci iniziative da intraprendere per la risoluzione del contenzioso con l’ateneo (promuovendo, se necessario, il crowdfunding). Vuole svolgere, infine, una attiva funzione di sollecitazione e incentivo nei confronti delle competenti autorità politiche e istituzionali, invitandole ad assumere chiare e nette prese di posizione che censurino, sul piano dell’etica pubblica, certi comportamenti in materia di reclutamento.

M: Lei è stato protagonista di uno dei casi più estremi e noti alla stampa di reclutamento universitario anomalo. Brevemente, come è nata e come si è risolta la sua vicenda?

In estrema sintesi: nel 2011 una commissione per un concorso in Storia contemporanea bandito dall’ateneo di Catania per la sede di Lingue di Ragusa attribuì il posto per ricercatore (t.d. 3+2) ad una studiosa laureata in architettura, senza il titolo di dottore di ricerca e con un profilo accademico non congruo al settore, perché incentrato su titoli e pubblicazioni in progettazione urbana e storia dell’architettura.

Sentenze definitive della giustizia amministrativa (Tar nel 2014 e Cga nel 2015, il corrispettivo regionale siciliano del Consiglio di Stato) hanno accertato le irregolarità, annullato gli atti, mi hanno dichiarato vincitore di quel concorso, hanno disposto un risarcimento a mio favore ed hanno allertato la Corte dei conti per danno erariale, ma nonostante ciò, per ottenere l’esecuzione della sentenza, ho dovuto ricorrere nuovamente ai giudici con un ricorso per ottemperanza, e solo con anni di ritardo (ed ulteriore danno alla mia carriera) l’ateneo con decreto rettorale , il 7 novembre 2017, mi ha dichiarato vincitore.

Sono stato costretto, peraltro, a fare anche una denuncia penale che ha portato, con decreto del tribunale, al rinvio a giudizio della commissione per il reato di abuso di ufficio in concorso tra loro (il processo inizierà a breve, ma è a rischio prescrizione).

M: Negli ultimi anni si è sensibilmente intensificata la presenza sulla stampa di casi di mala-università e episodi di corruzione tra le cattedre. Riesce a fornirci una mappatura realistica del fenomeno e suggerire, anche in prospettiva storica, le origini degli attuali problemi nel sistema di reclutamento dei docenti nelle università italiane?

GB: Negli ultimi anni, a partire soprattutto dal 2010 (anno della cosiddetta “riforma Gelmini”), sono aumentati i casi di contenziosi, di ricorsi e di denunce alla giustizia amministrativa sul versante del reclutamento universitario (in ambito di concorsi locali e di procedura di abilitazione scientifica nazionale).

Basta fare una semplice ricerca sul sito Istituzionale della Giustizia amministrativa, con le parole chiavi “ricorso”, “commissione”, “università”, per rendersene plasticamente conto. C’è stato un picco di crescita soprattutto dal 2014 in poi. In prospettiva storica[4] , va detto che l’utilizzo del meccanismo della “cooptazione”, mascherata da concorso pubblico  – in molti casi irregolare –  da parte delle commissioni sul reclutamento, c’è sempre stato: si è passati però dal baronaggio (e conseguente vassallaggio) “aristocratico”, cioè delle cosiddette scuole accademiche (dagli anni cinquanta agli anni ottanta del Novecento), a quello “meritocratico” (della legge Gelmini), fino ad arrivare al più recente baronaggio del nuovo millennio, quello “tecno-bibliometrico” (dell’ ANVUR[5] e dell’ASN[6]).

Il metodo, fondamentalmente, è sempre lo stesso nel corso del tempo, cambiano solo gli scenari e le risorse a disposizione (diminuite drasticamente e tali da rendere necessaria, dunque, la ribellione al sistema). Il punto è che il sistema del reclutamento universitario italiano, secondo le risposte fornite alla domanda posta ad un “campione” numerico di docenti della stessa classe accademica italiana (riporto dati derivati dall’indagine internazionale Changing academic profession – CAP – qui discussi https://www.roars.it/online/una-comparaz…), è deciso per il 25,3% dei casi – la seconda percentuale più alta del campione considerato – direttamente da singoli docenti, che influenzano e condizionano, concretamente, le decisioni sui bandi di reclutamento della “governance” di ateneo a vario livello (quindi di dipartimenti, consigli di facoltà, senato accademico, consigli di amministrazione e rettori, ai quali organi è affidata la gestione dell’attribuzione della vincita ai concorsi per il 71,9 %). Nei paesi europei considerati le decisioni in materia di reclutamento sono risultate essere l’esito di una negoziazione tra vertici intermedi e organi collegiali, con un significativo intervento nel caso italiano di singoli docenti dotati di potere.

M: Baronaggio “tecno-bibliometrico”: quindi è possibile tracciare un legame diretto tra il deficit etico riscontrato in sede concorsuale e le attuali pratiche di valutazione della ricerca?

GB: Se ci atteniamo ai dati, non si può che constatare l’aumento (anzi il picco esponenziale) di ricorsi su concorsi locali e ASN seguiti alla riforma Gelmini, alla creazione dell’ANVUR e dei più recenti meccanismi di valutazione. Anche le numerose segnalazioni giunte finora all’associazione confermano questa tendenza [per un approfondimento sull’operato di ANVUR si rimanda alla lettura delle analisi [7] ROARS in nota]

M: Una precisazione per i nostri lettori. Sulla base delle testimonianze raccolte dagli iscritti all’associazione, quali sono le forme più frequenti assunte dall’abuso di potere nei nostri atenei?

GB: Alla luce delle tante iscrizioni – in due mesi abbiamo superato le seicento sulla pagina Facebook e il centinaio sul sito dell’associazione – e soprattutto a seguito delle molte segnalazioni fatte, finora, in almeno una cinquantina di casi (che rappresentano, come capite, solamente la punta dell’iceberg, visto che l’ambiente universitario, al momento, appare decisamente poco disponibile alla messa in discussione del sistema attraverso la denuncia), è possibile già indicare quali siano (e in che percentuali) le forme più frequenti di irregolarità sul reclutamento: 1) il cosiddetto bando “sartoriale” o “fotografia” costruito ad hoc dalla commissione per il vincitore predestinato si ripropone nel 75% circa dei casi segnalati; 2) il “conflitto di interessi” tra candidato e commissario (dovuto, ad esempio, a pubblicazioni in comune valutate o sopravvalutate) è presente nel 45% circa dei casi; 3) la commissione (anche più di una) che riconferma i punteggi irregolari e non tiene conto delle sentenze dei giudici che in precedenza hanno accolto ricorsi, avviene in circa il 35% dei casi; 4) le denuncia penale, a seguito di procedimenti amministrativi già attivati, è presente nel 25% dei casi; 5) l’autocertificazione falsa da parte di candidati (sia per concorsi locali, sia per ASN “pilotata”) presa per buona dalla commissione, avviene in circa il 20% dei casi segnalati; 6) l’esclusione arbitraria da bandi di concorso avviene per circa il 10% dei casi; 7) infine, la non esecuzione da parte di atenei di sentenze della magistratura avviene nel 5% dei casi.

M: Nell’ultima classifica SCImago, relativa al 2016[8], l’Italia occupa l’ottavo posto al mondo per numero di articoli scientifici prodotti, il sesto per numero di citazioni e il settimo per H-index. Il nostro Paese sembra dunque conservare un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale, nonostante due attriti fondamentali: il fenomeno delle baronie e il ritardo accumulato dagli investimenti in Ricerca e Sviluppo rispetto alla media UE. Se l l’errata immagine di una ricerca italiana scarsamente efficiente non giustifica i tagli alla spesa pubblica, l’imperativo della trasparenza, per le gravi opacità che denuncia, non deve tradursi in uno scoraggiamento dei finanziamenti alla ricerca. È forse un incentivo dei finanziamenti stessi la terapia per sbloccare anche le procedure di reclutamento e ricambio nelle università?

GB: Assolutamente no. O meglio, è chiaro che un maggiore afflusso di fondi e risorse da attribuire al sistema universitario non può che permettere un maggior numero di accessi, di posti banditi e quindi dare, teoricamente, più possibilità e spazio al cosiddetto turnover. Ma se questo aumento dei finanziamenti avviene senza toccare in alcun modo l’attuale meccanismo di reclutamento, fondato, come si è visto, su pratiche poco trasparenti, in alcuni casi, fortemente illegali, i fondi stessi finirebbero per essere gestiti in modo clientelare e comunque utilizzando risorse pubbliche per finalità e scopi personali e interessi privati, aggirando bandi e regolamenti.

M: Un punto conclusivo. Lo scorso 16 gennaio Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, è stato ospite dell’Università di Padova nel contesto di un incontro – “Università. Casa di vetro”[9] – tenuto con gli atenei di Verona, Venezia Ca’ Foscari e Venezia IUAV per discutere del ruolo delle università in materia di autonomia, trasparenza e legalità. Il Presidente ha dichiarato che “la legislazione attuale, uscita dalla legge Gelmini, è oggettivamente punitiva per l’università, nel senso che parte dall’idea di una università come soggetto da sospettare”. E ha aggiunto: “Noi partiamo da una legislazione che ha scelto l’iper-regolamentazione, assumendo un’incapacità dell’università di darsi delle regole molto chiare”, incoraggiando la logica di “un’autoregolamentazione trasparente” (il Piano Nazionale Anticorruzione). Lei come valuta l’efficacia di questa prospettiva?

GB: Quello che posso dire è che, alla luce degli ultimi decenni, appare evidente che l’università ovvero la classe accademica da sola non sia riuscita ad auto-riformarsi, e non ha fatto altro che reiterare e moltiplicare i soliti fenomeni di reclutamento cooptato, pilotato e in molti casi apertamente irregolare (rispetto agli stessi bandi e ai criteri di selezione). Per migliorare e riformare il sistema universitario non può che essere fondamentale l’azione di ricorso e denuncia dei casi di irregolarità, in modo da creare un precedente giuridico che possa incentivare alla modifica delle legislazioni universitarie e dei regolamenti. A questo va però aggiunto, in parallelo, il dibattito pubblico, attraverso la stampa e i media, in modo da poter agire alla luce del sole e sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Solo da questo insieme di elementi potrà venir fuori una seria e significativa azione di riforma del sistema di reclutamento universitario italiano.

Previsto per sabato 24 febbraio a Roma un convegno tra associati fondatori e iscritti a Trasparenza e Merito: “Raccontateci la vostra storia” (Centro Congressi Cavour, qui [10]il programma).

 NOTE

[1] Il report 2017: http://www.eua.be/Libraries/governance-a…

[2] http://www2.cnrs.fr/en/1588.htm

[3] Il sito dell’Associazione: http://www.trasparenzaemerito.org/

[4] Un approfondimento storico sul reclutamento nelle università dalla nascita dello stato italiano ad oggi è disponibile al link: http://www.linkiesta.it/it/blog-post/201…

[5] n.d.r. Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, ente pubblico vigilato dal MIUR, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

[6] n.d.r. Abilitazione Scientifica Nazionale

[7] https://www.roars.it/online/dura-sentenza-del-tar-lazio-su-anvur-vqr-e-accesso-agli-atti/

https://www.roars.it/online/abusi-accademici-analisi-e-proposte/

https://www.roars.it/online/miccoli-unanatra-zoppa-alla-presidenza-dellanvur-per-cercare-di-salvare-lagenzia/

[8] La classifica, basata su dati Scopus, è disponibile al link: http://www.scimagojr.com/countryrank.php…

[9] Al link è disponibile il filmato integrale dell’incontro: https://www.youtube.com/watch?v=DBxlJxvy…

[10] http://www.trasparenzaemerito.org/wp-con…

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