Dopo il 4 marzo: eguaglianza o barbarie? Il M5S e la necessaria mossa del cavallo [di Paolo Flores d’Arcais]

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MicroMega.net 6 marzo 2018. Oggi in Occidente, e soprattutto in Italia, ci sono solo due politiche possibili: per la barbarie dei capri espiatori o per l’eguaglianza. Anche il M5S dovrà scegliere: al governo con la Lega o con quanto resta di Pd e LeU. Da Zagrebelsky a Davigo, ecco i nomi della società civile a cui il Movimento, se avrà lungimiranza e coraggio, dovrebbe guardare per un governo davvero contro diseguaglianze, corruzione ed evasione.

Ha vinto Salvini, che umilia Berlusconi con oltre 3 punti di vantaggio. Ancora di più ha vinto Di Maio e il Movimento 5 stelle. Che ha il diritto di governare, e soprattutto non può ora sottrarsi al dovere di governare.

I numeri azzardano solo due possibilità: una maggioranza di governo con la Lega e una maggioranza che inglobi quanto resta di Pd e LeU. L’alleanza con la Lega sembra la via più facile, propiziata anche da corrispondenze di amorosi sensi sia programmatiche che umorali. Per il Movimento 5 stelle sarebbe però investire la vittoria in titoli tossici e preparare l’harakiri. Salvini diventerebbe il vero protagonista, per la coerenza con cui vellica l’intero armamentario di pregiudizi, capri espiatori, spurghi emotivi del cittadino malpensante, anche razzista, ma con rosario e crocefisso.

La moneta cattiva, come diceva il banchiere Thomas Gresham oltre mezzo millennio fa, scaccia quella buona, ma in politica anche quella così così. Il lepenismo sfrontato di Salvini metterebbe nell’angolo gli alleati cinque stelle con i loro ammiccamenti titubanti verso sovranismi e basta tasse. Di Maio premier dovrebbe subire Salvini come vicepresidente del governo e un terzo di ministri leghisti, capaci di oscurarlo con overdosi di demagogia.

A prima vista l’alleanza con Pd e LeU sarebbe per il M5S ancora più difficile. Renzi ha un gruppo parlamentare suo e catafratto, le finte dimissioni indicano che vuole lo stallo/sfascio per andare alla rivincita elettorale. Un vice premier e alcuni ministri Pd (con uno strapuntino per Grasso o D’Alema) risulterebbero indigeribili. L’unica possibilità per Di Maio resta perciò sarebbe la mossa del cavallo: una scelta inaspettata, spiazzante, al limite del temerario.

Proporre al capo dello Stato un governo con gli elementi portanti del programma dei cinque stelle, che per trovare in parlamento i voti per il 51% sia affidato a una personalità fuori dei partiti, che scelga ministri tutti della società civile. Per i deputati Pd, anche se renziani, sarebbe difficile dire no a una proposta che il Presidente Mattarella presentasse con intensa e inesausta moral suasion come la soluzione migliore per l’interesse generale (in effetti lo sarebbe).

Mossa temeraria, perché per i dirigenti 5 stelle vorrebbe dire comportarsi per la prima volta da statisti, rinunciando al narcisismo identitario (e anche personale) pur di realizzare contenuti importanti del loro programma. Lasciando sconcertata fino all’ostilità la base e probabilmente anche “Beppe”. Convincerli sarebbe la prova del fuoco per conquistare un’autorevolezza politica non effimera e con futuro.

Quali aspetti del programma? Quelli, radicalissimi, che picconino l’hybris di diseguaglianze, taglino artigli alle prepotenze finanziarie e marchionnesche, straccino i ponti sugli stretti, concentrino le risorse su ricerca scientifica e cultura, sistema idrogeologico e paesaggio (contro la speculazione edilizia, ovviamente), e non più dichiarino ma realizzino guerra permanente ai grandi evasori recuperando pacchi di miliardi, e senza quartiere la facciano a mafie e corruzione.

I nomi di governo non si devono fare, sostiene chi vuole la politica come “arcana imperii”, e invece sono il banco di prova di un voltar pagina nella trasparenza. Su MicroMega li abbiamo sempre fatti, nella mia generazione di terza età Gustavo Zagrebelsky e Salvatore Settis, in quella successiva Tomaso Montanari (del resto a Davigo e Montanari Di Maio si è già rivolto). Diranno sempre di no, fino a che la prospettiva di un governo di svolta egualitaria e civile non venga proposta con convinzione, e non come ripiego, dai cinque stelle.

L’alternativa sono nuove elezioni a breve. Ma è ragionevole tornare alle urne senza una nuova legge elettorale (su cui l’accordo è improbo) mentre ovviamente la speculazione finanziaria non resisterà a focalizzarsi sull’Italia anello debole? E come reagirebbero gli elettori se dovessero votare proprio in tale temperie?

L’establishment sembra ormai cieco di fronte a quanto è da tempo ovvio (si leggano le annate di MicroMega), in Europa, anzi in Occidente, e in modo particolarissimo in Italia, ci sono solo due politiche possibili, entrambe radicali: per l’eguaglianza o per la barbarie dei capri espiatori. Un po’ di ragionevolezza sarebbe sperabile nel “potere d’opinione”, che dell’establishment non dovrebbe essere parte (il giornalismo “persegue una missione estremamente utile, estremamente grave e faticosa, quella d’una censura continua sugli atti del potere” diceva il grande Jules Michelet centosessant’anni fa).

L’obbrobrio di diseguaglianze sfrenate (Valletta guadagnava cinquanta volte un operaio, Marchionne mille, e c’è di peggio) per fortuna non viene sopportato più da ondate tumultuose di cittadini, sempre più decisi ad aggredirlo. La protesta può assumere la bandiera del razzismo, dell’intolleranza, dello sgangherato plebeismo, oppure delle misure egualitarie, che per gli happy few risulteranno evidentemente dolorose. Storicamente la borghesia ha sempre scelto la prima strada, sacrificare le libertà pur di impinguare i profitti.

Eguaglianza o barbarie, oggi nessun tertium è dato. I pannicelli caldi che il pensiero “ragionevole” o di “buon senso” degli Scalfari o dei Severgnini ha continuato (e temo continuerà) a propinarci, non sono nemmeno callifugo contro un’epidemia, ormai sono l’Lsd che spinge a credere di poter volare e, posseduti dalle proprie visioni psichedeliche, a convincere tutti gli altri perché si buttino dalla finestra.

 

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