In Siria infuria la guerra del gas e la Sardegna vuole a tutti i costi il metano: come se niente fosse [di Vito Biolchini]

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Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna bombardano nella notte alcuni obiettivi militari in Siria, dove da sette anni è in corso una guerra tanto tragica quanto incomprensibile, soprattutto a chi, come noi italiani, ha smesso di leggere in chiave globale la crisi economica, militare, ambientale ed energetica che sta scuotendo il pianeta.

I sardi poi, tendono ad essere ancora più ingenuamente ottusi. Inconsapevoli del fatto che la loro isola sta al centro del Mediterraneo, e quindi protagonista in un modo o in un altro di rivolgimenti epocali, pensano di non dover fare i conti con nessuna delle crisi che attraversa questo mare.

“Siria, dietro il conflitto l’eterna guerra per le pipeline” spiegava sul Sole 24 Ore due anni fa Alberto Negri (e vi consiglio di leggere l’articolo). Perché sono due i progetti in competizione e che devono per forza passare per la Siria per portare il gas in Europa: uno (sostenuto dalla Russia) parte dall’Iran, l’altro (sostenuto dagli Stati Uniti) parte invece dal Qatar. Il Qatar: lo stato che ha deciso di fare della nostra isola il suo avamposto nel Mediterraneo.

Nelle stesse ore in cui precipitava la crisi siriana, nel corso di un convegno a Cagliari la giunta Pigliaru e i soggetti economici più direttamente interessati rilanciavano come se niente fosse il progetto della metanizzazione della Sardegna. Guardando, essenzialmente, al loro ombelico.

Perché in realtà, il progetto prevede soprattutto la realizzazione di depositi costieri, che dovrebbero essere realizzati non a beneficio dell’esiguo mercato sardo ma di quello internazionale, ben più vasto e promettente, depositi che consentirebbero ai grandi player dell’energia di stoccare il gas per poi rivenderlo in altri stati.

Depositi costieri che per essere realizzati hanno bisogno di essere inseriti in una nuova pianificazione territoriale (ed ecco allora che potrebbe arrivare a fagiolo la nuova legge urbanistica targata Vanini–Erriu–Pigliaru, pronta a favorire gli interessi dell’Eni e non solo quelli degli speculatori locali).

Con questo progetto di metanizzazione la Sardegna diventerebbe dunque un grande hub nel Mediterraneo, una piattaforma energetica inserita in un contesto internazionale e mondiale ben più vasto. E ben più instabile.

A fronte di questo scenario, a leggere le cronache dei nostri giornali e a sentire le parole dei nostri politici, l’unico problema sarebbe invece quello della dorsale sarda, cioè del collegamento tra i bacini costieri (Porto Torres e Cagliari in primis) e i vari territori isolani. In Siria si muore per il gas, noi ci interroghiamo sul futuro di Santa Giusta.

Senza entrare nel merito del senso complessivo dell’operazione (perché il metano tra meno di trent’anni sarà una risorsa obsoleta), sarebbe opportuno chiedersi: ma il gas destinato alla Sardegna da dove arriverà? E chi lo porterà? E poi a chi sarà rivenduto?

Per capire la Sardegna bisogna anche guardare a ciò che avviene attorno a noi, e in questo caso bisogna allargare lo sguardo a ciò che sta avvenendo nel bacino del Mediterraneo e chiedersi: in che misura la metanizzazione della Sardegna giova ai sardi, all’Eni e al Qatar? E in che misura la realizzazione dei depositi costieri ci inserisce in un gioco geopolitico più grande e di cui adesso il presidente Pigliaru sembra essere assolutamente inconsapevole?

Perché tra ciò che sta avvenendo ora in Siria e la metanizzazione della Sardegna c’è una relazione strettissima. Ma questo la nostra politica sarda e italiana non lo dice: o finge di non averlo capito.

 

 

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