Bombe fabbricate in Italia sullo Yemen: la denuncia penale delle associazioni [di Giampaolo Cadalanu]

Speleoclub Domusnovas

La Repubblica.it18 aprile 2018. La Rete Italiana per il Disarmo e il berlinese Centro europeo per i diritti umani e costituzionali Ecchr si sono rivolti alla Procura di Roma perché sia avviata un’indagine sulle responsabilità penali dell’Uama, l’Autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti e degli amministratori di Rwm Italia, produttrice degli ordigni.

Sul cappuccio metallico con le sigle tecniche e i numeri di matricola il sangue non si vede. Ma i resti rintracciati fra le macerie della casa di Husni Al-Ahdal dicono comunque che si tratta di una MK83, ordigno prodotto in Italia da un’azienda di proprietà tedesca. E se i frammenti bastano per risalire alla provenienza, grazie a essi si può ricostruire anche le responsabilità: di chi l’ha lanciata, ovviamente, ma anche di chi l’ha assemblata, di chi l’ha venduta, di chi ne ha autorizzato l’esportazione.

Il sangue di Husni Ali Ahmed Jaber Al-Ahdal, di sua moglie Qaboul e dei figli Taqia, Fatima, Sarah e Mohammed è stato versato al di là di ogni esigenza militare. Le MK83 GBU Paveway sganciate dai caccia sauditi sul villaggio di Deir al-Hajari, Yemen, alle tre del mattino dell’8 ottobre 2016 erano ordigni teleguidati, moderni e precisi: molti, sfidando la logica e l’esperienza, li definiscono bombe intelligenti. Il margine di errore, dicono gli esperti, è nell’ordine di un metro se sono guidate dal laser, dieci metri se a guida satellitare. Eppure hanno distrutto una famiglia di civili, molto lontani dai militari più vicini, che erano impegnati in un posto di blocco a oltre 300 metri.

Di chi è la responsabilità? Non è solo un problema politico: secondo la Rete italiana per il Disarmo e il berlinese Centro europeo per i diritti umani e costituzionali Ecchr, è anche una questione da Codice penale. Le due organizzazioni hanno affiancato l’associazione yemenita Mwatana – che da mesi ricostruisce le violazioni dei diritti umani nel paese e raccoglie le testimonianze – presentando assieme una denuncia alla Procura di Roma perché sia avviata un’indagine sulle responsabilità penali dell’Uama, l’Autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti, e degli amministratori di Rwm Italia, produttrice degli ordigni. L’ipotesi di reato è ovviamente l’omicidio, colposo o magari anche doloso.

La scelta di una denuncia penale per casi specifici, dice il portavoce della Rete Disarmo Francesco Vignarca, si affianca a un’iniziativa analoga che sta per partire in Germania. Le leggi europee vietano l’export di armamenti in Paesi con rischio di violazione dei diritti umani, l’Europarlamento auspica un embargo totale ai Paesi coinvolti nella guerra dello Yemen, le Convenzioni di Ginevra proibiscono in modo esplicito gli attacchi ai civili. Ma poi ogni Paese decide autonomamente, e con gli interessi commerciali in ballo, gli scrupoli sembrano pochi. “Per noi yemeniti l’Europa era un luogo fiabesco, abitato da gente buona. È stata una delusione terribile scoprire invece che ha una parte nei massacri”, dice Bonyan Jamal, attivista di Mwatana.

I Paesi della coalizione anti-sciita che agisce in Yemen, e l’Arabia Saudita soprattutto, sono dei grandissimi acquirenti di armi. L’Italia vi esporta bombe, anche se l’anno scorso le vendite di armamenti a Riad sono crollate, con un calo dell’88 per cento nel 2017, come ha detto all’Ansa il direttore dell’Uama Francesco Azzarello.

Altre bombe arrivano da Spagna, Regno Unito, e Usa, ma per i venditori la famiglia Saud è un cliente favoloso: secondo i dati dell’istituto Sipri di Stoccolma, compra il 5 per cento di tutte le armi vendute nel pianeta ed è al secondo posto nel mondo come acquirente, subito dietro l’India. Molte sono utilizzate proprio in Yemen, nella guerra ai ribelli sciiti Houthi, ma con gravissime perdite fra i civili. Gli analisti lo considerano uno scontro “fra proxies”, cioè la lotta tra due potenze regionali, Sauditi sunniti e iraniani sciiti, attraverso protagonisti locali. “Dunque il mio Paese dovrebbe essere un campo dove si combattono i rappresentanti di Riad e Teheran. Bene, non è necessario che muoiano gli yemeniti: abbiamo un sacco di zone desertiche, sono i benvenuti per battersi lì”, taglia corto Bonyan Jamal.

“La situazione umanitaria in Yemen è disastrosa. Una guerra feroce e senza regole va avanti nel quasi totale silenzio internazionale. Invece di altre armi, le parti in causa dovrebbero garantire il rispetto dei civili e degli operatori umanitari. Ci aspettiamo che l’Italia dia il buon esempio”, dice Francesco Rocca, presidente della Federazione internazionale della Croce Rossa. Intanto il flusso di armi continua.

Finora non esiste una prassi che permetta di considerare responsabili produttori ed esportatori, soprattutto se c’è un’autorizzazione di Stato, per cui, dice Linde Bryk dell’Ecchr, “i mercanti si nascondono dietro le licenze”. Ma l’azione avviata è solo il primo passo: “Chi lavora in settori così delicati, ha doveri di diligenza in più”, sottolinea l’avvocato Francesca Cancellaro, che segue la campagna in Italia. E ipotizza anche richieste di risarcimento per le vittime. Come dire: se non basta la coscienza, si può colpire il portafoglio.

*Foro. Speleoclub Domusnovas

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