La droga sta sconvolgendo i centri maggiori della Sardegna ma anche gli insediamenti più piccoli [di Antonietta Mazzette]

droga in sardegna

La Nuova Sardegna 30 novembre 2018. In Sardegna la droga ha acquisito una centralità mediatica, anche perché i sequestri di stupefacenti sono ormai diventati quasi quotidiani. L’Isola appare come un vero e proprio crocevia del traffico internazionale, oltre che luogo di produzione locale, seppure le forze dell’ordine abbiano perfezionato e reso più efficaci le loro azoni di contrasto alla criminalità organizzata, com’è quella legata al variegato mercato degli stupefacenti.

Se leggiamo le ultime relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA) – Distretto di Cagliari, vediamo che la Sardegna è diventata “area di destinazione e consumo di ogni tipo di stupefacente”: circa 300 kg di hashish sequestrati nel febbraio del 2016 all’interno di un container della nave Tirrenia proveniente da Napoli; 500 kg di hashish, occultati in una imbarcazione giunta nel porto di Cagliari, nell’aprile dello stesso anno e due mesi dopo ne sono stati sequestrati circa 480 kg; prima ancora, nel luglio del 2014, all’interno di un TIR con targa spagnola sono stati trovati 245.000 Kg di hashish suddiviso in panetti da 100 gr.

Questi sono solo alcuni esempi che ci dicono che, per un verso, la posizione geografica della Sardegna la porta ad essere snodo centrale di “correnti di transito della droga, soprattutto per quanto riguarda gli stupefacenti provenienti dal Marocco e dalla Spagna, ma anche dal Sudamerica, e diretti verso altre Regioni o verso i paesi del Nord Europa”; per un altro verso, è diventata luogo di destinazione e consumo per le popolazioni locali.

A tutto ciò si aggiunge la produzione per così dire in loco. E se nel primo caso, sono soprattutto le vie del mare ad essere utilizzate; nel caso della produzione diretta, sono per lo più le aree rurali e periurbane ad essere coinvolte.

Se andiamo a vedere i protagonisti di questo traffico constatiamo che vi sono almeno tre tipologie di autori: stranieri (prevalentemente di nazionalità nigeriana, sudamericana e albanese), italiani di altre regioni, per lo più del centro-sud, autoctoni in molti casi originari della zona centro orientale della Sardegna, ossia l’area dove è nato il banditismo sardo di cui ha scritto Antonio Pigliaru.

In tutti i casi si tratta di una criminalità transnazionale che tiene i contatti anche con altre organizzazioni criminali, quali quelle campana e calabrese che, come riporta l’ultima Relazione della DNA, hanno una grande disponibilità di “risorse umane”, di corrieri della droga.

C’è uno stretto collegamento tra la criminalità sarda che fa affari con la droga (ma anche con le armi, i cui proventi della vendita vengono reinvestiti in stupefacenti) e quella organizzata da sardi trapiantati in altre regioni, per lo più provenienti dalla stessa zona centro orientale, e che hanno ramificato i loro traffici sia nei luoghi di nuova residenza, sia in diverse regioni del nord Italia.

Ad esempio, così come in Sardegna si è diffuso il fenomeno delle coltivazioni illegali di marijuana, lo stesso sta accadendo anche in Toscana e Umbria, ad opera di emigrati sardi, provenienti quasi sempre, per l’appunto, dalla zona sopra citata. Insomma, cambiano i luoghi, i protagonisti e le forme di criminalità, ma non cambiano “le regole di una società scomparsa”, come abbiamo rilevato nei diversi Report dell’Osservatorio sociale sulla criminalità in Sardegna.

Gli effetti sociali di questo mercato illecito sono sotto gli occhi di tutti e stanno coinvolgendo soprattutto i più giovani, persino adolescenti, in particolare dei centri maggiori di Cagliari, Sassari e Nuoro, ma non sono esenti neppure gli insediamenti più piccoli, dove la droga può essere anche motivo della violenza più estrema: basta leggere le dinamiche raccontate da Enrico Carta che hanno portato all’omicidio di Manuel.

Questo significa che le azioni di contrasto delle forze dell’ordine sono importanti, ma che è necessario costruire degli anticorpi sociali che proteggano le parti più vulnerabili della nostra società, a partire da quelle più giovani.

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