La memoria e lo tsunami [di Carlo Doglioni]

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L’Huffpost 23 dicembre 2018. È nei tempi di pace in cui, grazie alla memoria delle calamità, dovremmo investire in ricerca e prevenzione, per non farci cogliere impreparati come ieri in Indonesia.

L’engramma è quella struttura neurobiologica che, tramite un meccanismo neuronale, fissa nel nostro cervello la memoria di un qualsiasi evento o di un fenomeno: rappresenta la traccia molecolare scolpita dentro di noi. È la memoria che ci permette di pensare, ragionare, agire con cognizione di causa; senza memoria saremmo incapaci di qualsiasi azione.

Antonino Cattaneo ci spiega con grande efficacia come si immagazzinano nell’ippocampo e nella corteccia cerebrale le vicende della vita e le conoscenze che ci permettono di fare delle scelte specifiche. D’altra parte, il filosofo Remo Bodei ricorda come ognuno di noi porti dentro di sé l’inevitabile conflitto tra memoria e oblio: la nostra mente elabora in modo diverso gli eventi che ci danno gioia e che tendiamo a ricordare più facilmente rispetto a quelli che ci fanno rivivere il dolore, come le catastrofi che cerchiamo invece di dimenticare.

L’emozione che viviamo in occasione di un sisma, quando per i nostri neuroni specchio, scoperti da Giacomo Rizzolatti, ci immedesimiamo in una delle persone rimaste sepolte dal crollo della propria casa, segue una legge simile a quella dei terremoti, definita da Omori, dal nome del ricercatore giapponese che oltre cento anni fa descrisse come il numero e l’energia delle repliche di una forte scossa decadano rapidamente nel tempo.

Sono passati oltre due anni dall’inizio della sequenza sismica iniziata il 24 agosto 2016 ad Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, Visso, Norcia ed è evidente che gli italiani cerchino di rimuovere dai propri pensieri il ‘mostro’, così definito da chi ha vissuto il terremoto in prima persona nell’area epicentrale.

Eppure è proprio nei tempi di pace in cui, grazie alla memoria degli eventi calamitosi, dovremmo investire in ricerca e lavorare per la prevenzione, per non farci cogliere impreparati come è avvenuto ieri in Indonesia, dove uno tsunami ha travolto perfino una sala dove era in corso un concerto.

Il vulcano Anak Krakatau, il piccolo Krakatoa, è entrato in eruzione varie volte negli ultimi mesi. Nella tarda serata del 22 dicembre sui suoi fianchi si è verosimilmente attivata una frana o l’esplosione di una grande massa di materiale piroclastico che si è riversato in mare poco dopo una seconda violenta eruzione, forse in parte anche sottomarina, generando uno tsunami che ha falcidiato alcune centinaia di persone sulla costa. L’eruzione catastrofica del Krakatoa che offuscò i cieli del mondo il 26 e 27 agosto 1883 generò uno tsunami ben più gigantesco di quello recente: allora le vittime tra i due fenomeni furono oltre 36.000.

Le vibrazioni della crosta terrestre causate da un terremoto, ma ancor più la mobilizzazione di volumi di roccia generata dall’attivazione di una faglia che sposta il fondo marino, sempre per un forte terremoto, muovono masse d’acque che generano oscillazioni del mare. L’altezza dello tsunami si ingigantisce avvicinandosi alle coste, dove il fondo marino si rialza, amplificando perciò anche la dimensione delle onde. Così è avvenuto anche pochi mesi fa a Palu, nelle Filippine, o durante il terrificante tsunami indonesiano del 26 dicembre 2004 che uccise oltre 250.000 persone.

Tsunami sono generati anche da frane, come la caduta gravitativa di fette di margini continentali o di fianchi di vulcani. La pericolosità da tsunami esiste anche nel Mediterraneo e lungo le coste italiane; il rischio conseguente e la sua percezione non sono però ancora entrati a far parte della memoria collettiva, nonostante il terremoto-tsunami del 28 dicembre 1908 di Messina e Reggio Calabria che causò una delle più immani tragedie nazionali con circa centomila vittime, praticamente quasi una guerra.

Per questo l’Italia si è dotata di un Centro Allerta Tsunami presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) per tsunami generati da terremoti, in grado di fornire in pochi minuti alla Protezione Civile Nazionale la generazione di un maremoto potenzialmente pericoloso. L’Ispra è invece incaricato di fornire tramite il monitoraggio effettuato tramite boe e mareografi oscillazioni anomale che possono essere interpretate come generate da frane sottomarine. INGV e ISPRA, di concerto con la Protezione Civile hanno costituito il SiAM, sistema di allertamento nazionale per i maremoti.

Anche svelando i segreti dei terremoti, dei vulcani e degli tsunami, è praticamente impossibile pensare di poterli mai fermare. Tuttavia, conoscerne i reali meccanismi, ci potrà forse un giorno portare alla loro previsione, ma ancora più importante, la conoscenza di un fenomeno è la base della sua prevenzione. La prevenzione, oltre a salvare vite, rappresenta un investimento economico.

La ricostruzione da un terremoto costa in genere circa 10 volte di più che realizzare un adeguamento o un miglioramento antisismico. L’attuale insufficiente prevenzione è dovuta a una serie di motivi, primo fra tutti è appunto la mancanza di memoria dei terremoti, delle eruzioni e degli tsunami passati e quindi l’assenza di una cultura dei rischi naturali che porta inevitabilmente alla loro sottovalutazione. I tempi della geologia sono in genere sempre molto più lunghi delle testimonianze storiche e quindi anche del nostro bagaglio culturale.

Dobbiamo iniziare a educare i cittadini fin dall’asilo a un rapporto più efficace tra uomo e natura e a renderli consapevoli di vivere su una crosta instabile. La memoria degli eventi calamitosi naturali è, quindi, utile a mantenere viva dentro di noi quella necessaria paura che ci spinge ad azioni virtuose di prevenzione. Con questo fine, il 13 gennaio all’INGV verrà ricordato il terremoto della Marsica del 1915, circa 30.000 vittime, sempre per tenere viva la memoria e per contribuire all’alfabetizzazione sismica dei cittadini.

*Presidente Ingv; Socio Accademia dei Lincei

 

 

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