Perché è necessario che le donne ci mettano la faccia in prima persona senza mediazioni maschili [di Rita Dedola]

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L’Unione Sarda 13 gennaio 2019. Ho letto più volte l’editoriale di Maria Antonietta Mongiu pubblicato il tre gennaio sull’Unione Sarda, anche nella sua integrale edizione di Sardegna soprattutto, dal titolo “La negazione delle donne”, e mi sono chiesta se non debba rappresentare un manifesto di intenti, o meglio di azioni, per il prossimo futuro.

Federica Ginesu sul Sole 24 ore del 31 dicembre ha scritto che ricorderemo il 2018 come l’anno delle donne che “sono scese in piazza a ogni latitudine per difendere i loro diritti, per chiederne di nuovi per tutti. Si sono indignate, sono state una marea inarrestabile che continuerà ad avanzare, non può essere che così, anche nel 2019.”.

Negli Stati Uniti iI Movimento #Metoo, la Women’s March, sono stati determinanti nell’anno appena trascorso, perché hanno contribuito a rivoluzionare il linguaggio e le forme della politica creando le condizioni per un cambiamento epocale che ha letteralmente sovvertito il sistema; è sufficiente per affermarlo vedere quante e quali sono le donne elette al Congresso nelle elezioni di medio termine.

Sono fenomeni che hanno visto le donne “metterci la faccia” in prima persona, senza mediazioni maschili più o meno paternalistiche, senza imprinting preconfezionati in laboratorio dal leader di turno, perché sono nati dal bisogno collettivo ineludibile e improcrastinabile, di cambiamento per non soccombere alla negazione dei diritti di tutti, alle intolleranze, alle disuguaglianze, alle povertà estreme, all’inquinamento, allo spreco del territorio e delle risorse, alla violenza.

Le donne insomma, si sono manifestate nella loro migliore forma di espressione del se’ e hanno saputo interpretare in maniera dirompente le esigenze di una vasta fetta dell’elettorato americano, anche femminile, riuscendo ad esercitare un loro potere istituzionale.

Perciò quando Maria Antonietta Mongiu afferma che solo “un diffuso femminismo che oltrepassi il ruolo di genere consente protagonismo e rappresentanza”, deve essere prima che ascoltata, compresa, alla luce dei fenomeni americani che hanno illuminato il 2018.

Anche qui in Sardegna occorre un cambio di passo che presuppone quindi nuove consapevolezze, se vogliamo uscire  dai paternalismi dei partiti e smetterla di rappresentare figure gregarie  – cui la doppia preferenza di genere offre un generoso fianco – per  acquisire quel  ruolo da  protagoniste consapevoli, la cui autorevolezza è frutto delle azioni sul campo delle proprie competenze e non generosamente concessa da chi si fa poco più in là solo per contingenti esigenze elettorali.

La scarsa presenza di donne nei luoghi ove si decide, dalle segreterie di partito alle istituzioni democratiche, è inversamente proporzionale alla capacità e alle competenze che contraddistinguono l’universo femminile nella realtà quotidiana delle professioni e delle amministrazioni pubbliche e private.

Le donne americane sono riuscite a conquistare posizioni al Congresso del tutto inaspettate  perché hanno saputo fare un salto di qualità andando oltre gli stereotipi di genere, affermando, prima di tutto nel metodo, la propria autonomia e indipendenza rispetto agli obiettivi da conquistare.

Le prossime elezioni regionali potrebbero essere un ottimo banco di prova per vedere se la “marea inarrestabile” di cui parla la Ginesu potrà lambire  anche le coste sarde, ma è bene precisare che molto dipenderà dalla nostra capacità di resistere alle tentazioni narcisistiche del potere declinato al maschile e a certa retorica di genere che invece di emancipare perpetua una sterile autoreferenzialità.

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