Una piazza non nasce per caso [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 22 gennaio 2018. La città in pillole. Che cos’è una piazza se non un progetto sociale pensato anche per le generazioni a venire? Una comunità lo elabora affinché l’incontro tra persone oltrepassi casualità e privatezza e abbia il domicilio in uno spazio pubblico che conferisca rango politico alla parola comunitaria.

Un luogo abitato da tali responsabilità, agorà per i Greci e foro per i Romani, non deriva dal caso e non s’improvvisa. Può nascere da consuetudini che si stratificano finanche da millenni o per il gesto di un autocrate o di decisori, eletti democraticamente.

La piazza, in qualsiasi tempo e geografia, avendo come denominatore la pratica dello scambio e della relazione, funziona da sismografo dello stato di salute di ogni urbano, a qualsiasi scala appartenga. E’ l’ideale scenografia di feste e di tragedie, di dittature e di democrazie. L’hanno avuta come quinta scenica esecuzioni capitali, stragismi terroristici ma, per fortuna, anche manifestazioni e consenso popolari per contrastarli.

La visibilità o invisibilità dei mille eventi urbani la individuano come esemplare cassa di risonanza in cui leggere ogni contraddizione ma pure ogni variazione della forma urbis, materiale ed immateriale. Mentre definisce  lo spazio in cui transitano persino i contenuti digitali nel tempo in cui i non luoghi, tali per le scenografie irrituali, assurgono al rango di agorà, la piazza reale nei luoghi civili non smette di essere progetto sociale in cui si incontrano le alterità.

Si è sostenuto che questo antico organismo pubblico non appartenesse ai linguaggi insediativi della Sardegna, come se gli spazi comuni nelle compattezze edilizie dei complessi nuragici, civili e religiosi, perdurati fino ai Novenari, fossero smagliature e non piuttosto progettati consapevolmente.

Nella Cagliari postclassica fu la platea communis il fulcro su cui i Pisani a Castello allestirono il potere civile e religioso, dopo aver definitivamente raso al suolo, nel 1258, Santa Gilla. La platea, piazza-fulcro, autocentrata anche con Aragonesi e Spagnoli, segnerà la forma urbis fino al primo Novecento.

Il rango oggi è oscurato da Piazza Palazzo, vuoto creato dai bombardamenti, che, a smentire la titolazione, non riesce ad assurgere a spazio pubblico di senso. Forse perché non è parte di memoria e immaginario collettivi ma soprattutto perché  si coglie l’assenza di progettualità che emancipi il luogo da brandello sopravvissuto alla ricostruzione.

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