Il disastro del voto “unionista” [di Alessandro Mongili]

quattro mori

Il movimento dei pastori ha fatto entrare la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale del 24 febbraio in una dimensione quasi surreale. Vincerà Salvini?  Zedda succederà a Pigliaru? Entreranno in Consiglio gli indipendentisti? Tutto questo, improvvisamente, è diventato secondario e noioso rispetto al costo del latte ovino, e quindi, in termini più generali, all’uscita dal sistema della dipendenza coloniale dell’economia e della società sarda rispetto all’Italia, ai problemi concreti.

Le coalizioni unioniste pensano di rappezzare il sistema, sino alla prossima crisi. Nessuna di esse ha la minima intenzione di migliorare la nostra condizione in modo strutturale. Per ognuno di loro, imbevuti di autocolonialismo, la “colpa è dei Sardi”.  Unionismo è un termine usato da molti indipendentisti per marcare chi non ha intenzione di cambiare il rapporto strutturale fra Sardegna e Italia. Personalmente, non trovo niente di scandaloso a esserlo e ammetto che comporta una serie di ragioni condivisibili, e spero che nessuno si offenda se lo uso qui. Per me, non ha alcuna valenza offensiva ma definitoria del campo per cui “la colpa è dei Sardi”. In fondo, ogni Sardo nasce unionista.

– La coalizione di potere, guidata dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda, è la proposta elettorale con maggiore coscienza unionista. In modo iconico, il sindaco Zedda ha detto che “per promuovere la Sardegna è meglio usare il marchio Italia” e, riferendosi all’Italia, usa il termine “resto della Penisola”.

Al di là degli scivoloni del linguaggio auto-colonizzato, il sindaco Zedda non sembra avere molte idee da proporci, per quanto riguarda la soluzione dei problemi. Di fronte al movimento dei pastori, ha proposto la brioche dell’aumento di pochi centesimi per il prezzo del latte (proposta mai articolata); di fronte allo sviluppo di un nuovo modello di sanità caratterizzato da investimenti pubblici sulla sanità privata a detrimento di quella pubblica, non ha detto nulla e sposta il discorso sulla promessa di aprire le “case della salute” e di abolire l’ATS o “Asl unica”. Poco credibile, perché nelle sue liste ha candidato il suo promotore, un castosauro nuorese.

Niente dice sul problema dell’inquinamento e della salute ambientale dei sardi, che versa in una situazione disastrosa; niente sulla mobilità interna ed esterna, colonizzata dagli interessi di monopoli italiani a detrimento degli interessi dei sardi, ha usato il silenzio; niente sul sistema educativo allo sfascio e su dispersione e mortalità scolastica, e quindi sul fallimento dell’inutile ma costoso progetto Iscolas.

Nessun accenno al tema delle Università sarde sempre più emarginate dal sistema di finanziamento italiano, e con problemi di sopravvivenza. Il silenzio di Zedda è maggiore sui temi classici della dipendenza e delle servitù sarde. Militari, energetiche, industriali, agro-alimentari e artigianali. Il nulla assoluto, e un atteggiamento sprezzante e paternalista verso la lingua, la cultura (che probabilmente confonde con i festival trash del consumo culturale), l’ambiente.

Niente sulle scelte urbanistiche e sul paesaggio. Zedda nei suoi anni di governo al comune di Cagliari ha sempre evitato di affrontare i problemi di fondo della città e della sua amministrazione, coperti da un pinkwashing e da una superficialità agghiaccianti. La città si presenta con buone facciate, dietro le quali nulla, peggio degli anni dei sindaci di destra, rispetto ai quali la continuità è evidente nei voti della sua rielezione, nelle persone con cui si circonda e con cui lega, e, soprattutto, nelle politiche di destra che ha fatto proprie.

Zedda porterà in Regione il suo modello? Speriamo di no, in ogni caso la vittoria di Zedda sarebbe un dramma per la sinistra e per la Sardegna. Nonostante il carattere, chiuso e dogmatico, della Giunta Paci-Pigliaru, occorre riconoscere il valore di alcuni suoi membri, anche se uscirà ammaccato da questo governo fallimentare. Con Zedda ed i suoi “figli di”, tutto volgerà al peggio. Nessuna competenza varrà, ma solo l’appartenenza. Votare Zedda significa votare politiche di destra, familistiche, e ideologicamente auto-colonizzatrici. La Sardegna sarà ancora una volta svenduta.

– Con Solinas, la Sardegna è già stata svenduta. Quale sia il programma del Centro-destra è impossibile da sapere, non ho trovato nulla su Internet (neanche sul programma di Zedda, per la verità). Ovviamente, non è importante. Parlano le liste, piene di personaggi retrivi e, nel caso della lista della Lega per Salvini con “il cervello di una gallina”,  come dice l’ex-leghista Nurra, già responsabile della provincia di Sassari. Burattini nelle mani di Salvini a cui la Sardegna è stata svenduta, a stracu baratu, assieme all’Italia tutta. Probabilmente prenderà molti voti popolari ma non quelli dell’establishment tradizionale della destra isolana (che domenica sosterrà, con il voto disgiunto, Zedda). Il suo programma è un inno all’ignoranza che maschera la difesa di interessi estranei alla Sardegna e per nulla interessati a risolverne i problemi. Piuttosto, a impadronirsene.

L’operazione di Solinas, che conta molto meno del Gran Podatario Zoffilli, è stata quella di far crescere il Psdaz all’ombra del vento leghista. Ma è più probabile che questo vento spazzi via per sempre il glorioso Partito sardo. In ogni caso, votare questa coalizione è scegliere di disprezzare se stessi e come Sardi i propri problemi. In più, votarli significa far rischiare alla Sardegna e all’Italia il fascismo. Per noi Sardi, significa la subordinazione definitiva al dominio del Nord: altro che Perfetta Fusione.

– Il voto alla terza forza unionista, il Movimento Cinque Stelle, è un voto masochista, perché rappresenta il sostegno ai boy-scout del salvinismo, a coloro che stanno sostenendo l’ascesa del Cattivissimo contro le loro stesse ragioni di esistere. A questo, si aggiunge che il franchising grillino si è affidato in Sardegna a candidati improbabili. Nonostante il programma elettorale presenti alcuni punti interessanti, andranno a detrimento costante degli interessi sardi per quanto riguarda la mobilità, l’occupazione militare, e altri temi cardine per il miglioramento della nostra condizione.

– Il voto alla Sinistra sarda e al suo candidato Presidente Vindice Lecis è l’unico voto unionista che non rappresenti una minaccia diretta alla nostra condizione di Sardi. Tuttavia, trovo grave il fatto che questo raggruppamento si sia aggrappato ai propri simboli e abbia collaborato a far saltare la trattativa per la formazione di una coalizione tecnica di opposizione al sistema di potere.

Per questa sola ragione, personalmente, non li voterò. A parte questa mia posizione, che vale per quel che vale, ritengo che il problema dell’autodeterminazione nazionale della Sardegna, o almeno della sua legittimità, non sia stato ancora affrontato correttamente in questa area politica. Come Peppone, alla fine anche la maggioranza dei nostri amici comunisti sono dei nazionalisti italiani e non hanno ancora fatto il necessario lutto di questa perniciosa ideologia. Il loro simbolo è l’unico, in queste elezioni, a sbandierare il tricolore italiano. Senza capire che non ci sarà mai una liberazione, anche in termini di classe, senza la necessaria liberazione nazionale della Sardegna.

Credo che l’unico voto valido sia quello per le liste indipendentiste. Fra di esse, AutodetermiNatzione rappresenta un processo difficile, ma l’unico che abbia un senso di prospettiva politica e al cui interno i temi che rappresentano la nostra condizione sono ben presenti. Questa rete-coalizione dovrà liberarsi dalle scorie rappresentate dai piccoli partiti e dai piccoli capetti, ma al suo interno sono presenti candidati e idee che fanno ben sperare. In questo panorama desolante, è l’unica arma elettorale che abbiamo a disposizione per far valere le nostre ragioni e per cercare di porre al centro della politica i nostri veri problemi. Non è poco.

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