Cambiare tutto perché nulla cambi [di Nicolò Migheli]

Mario-Melis

Scomodare il principe di Salina dopo questa tornata elettorale è d’obbligo. Il Gattopardo benché romanzo siciliano appartiene anche alla Sardegna e all’Italia perché riesce a raccontare bene come le nostre classi dirigenti non solo si adattino al mutamento ma lo provochino per mantenere il loro potere.  Tracce di comportamenti simili si ritrovano in tutta la letteratura sarda a cominciare dal Giorno del Giudizio di Salvatore Satta.

Sigismondo Arquer nel suo Sardiniae brevis historia et descriptio, come ci ha ricordato di recente Maria Antonietta Mongiu in una delle sue Pillole, ci offre una definizione connotativa della classe dirigente cagliaritana,  estendibile a quella sarda: […] La città ha molti privilegi e molte immunità che i Cagliaritani ottennero un tempo dai re di Aragona per la loro singolare fedeltà. Ma oggi, quando non sono solerti nei riguardi della cosa pubblica, ma guardano maggiormente al privato interesse (come suole accadere pressoché ovunque), tutto va in malora: gli abitanti disprezzano le buone lettere, convinti sia loro sufficiente salutare appena la lingua latina sulla soglia e comprendere le leggi degli imperatori e i decreti dei pontefici quel tanto che serve per incrementare il patrimonio di famiglia […]

Ad Arquer questi passaggi, più che l’accusa di eresia, costarono il rogo nella Toledo del 1571.  Quanto di questi comportamenti siano rimasti nelle attuali classi dirigenti è demandato al giudizio di tutti. Al di là delle percentuali di voto, dei vincenti e dei perdenti, sono alcuni degli eletti che con la loro rinnovata presenza in Consiglio Regionale  raccontano un sistema di potere inscalfibile che si adatta alla contingenza temporale, resiste come una sughera sotto il maestrale.

Nelle analisi del voto lette fino ad ora risentono dell’italocentrismo degli osservatori, tutto viene ridotto alla sopravvivenza del governo o al permanere in vita del PD. Segnali forse importanti ma che nascondono quel che è avvenuto. Da quando esiste l’elezione diretta del presidente, nessuno di loro ha superato il limite del primo mandato. Per le classi dirigenti sarde questo evidentemente poco conta; si sono fatti la legge elettorale blindata che permette una proliferazione di liste di coalizione con la presenza di un candidato per condominio che favorisce la moltiplicazione dei portatori d’acqua.

Legge che innalza la soglia di accesso a percentuali turche. L’unico a superarle, pur falcidiato, il M5S che ha potuto godere solo in parte dell’effetto alone governativo sequestrato dal protagonismo leghista. I voti alla Lega si potrebbero leggere come raccolta dei voti che furono di Alleanza Nazionale e in parte dai transfughi di Forza Italia. L’erede naturale di AN: Fratelli d’Italia non supera il 4,73.

Ha vinto Salvini o Solinas? In termini di voti, benché la Lega primo partito del centro-destra, sono appaiati se si considera anche Forza Paris costola del PSd’Az. Sarà un governo a trazione sardista o leghista? Solo l’attribuzione degli assessorati pesanti lo chiarirà. Circola voce che la Lega voglia l’assessorato alla sanità, ma dovrà scontrarsi con i veri titolari quarantennali di quel servizio vitale.

Il neo presidente Solinas nell’intervista all’Unione Sarda del 27 febbraio dichiara che la sanità sarà il primo suo impegno. In quelle affermazioni si mostra come politico consumato di scuola democristiana; c’è una frase che lo definisce: “Difficile che ci sia qualcosa che mi dia fastidio[…]”; Divo Giulio di questo secolo.

È vittoria sardista? È ritornato il vento che fu di Mario Melis? Se guardiamo ai temi dominanti della campagna elettorale vengono molti dubbi. Da subito si sono imposti i temi leghisti, il primo quale atteggiamento avere nei confronti del fenomeno biblico dell’emigrazione e di rottura verso la Ue. Il presidente Solinas è stato abile nel non fare affermazioni negative, mentre candidati e maître à penser sardisti hanno insistito su porti chiusi, sostituzioni etniche, invasioni ecc. Temi ben diversi da quelli agitati dal governo Melis degli anni ’80.

La società sarda non si dimostra diversa da quella italiana. Non a caso Salvini festeggia rivendicandola come  sua vittoria. I movimenti indipendentisti oltre a essere vittime della legge elettorale sono andati contro il pensiero dominante, non hanno accettato la prospettiva di una società chiusa, non si sono serrati dentro una lettura di esclusivismo etnico e anche questo non ha pagato in voti. Il Pd e le liste collegate reduci da un governo dell’isola fallimentare hanno difeso quel che potevano difendere, ma il  deep state, l’amalgama di poteri trasversali, non contenta della riforma sanitaria e dell’abortita legge sull’urbanistica ha deciso per nuovi rappresentanti.

La Lega in questo non sarà così barbara, porterà i suoi interessi in campo sanitario, edilizio ed energetico, troverà mediatori capaci che l’accontenteranno senza perderci. È dal 1721 che accade, non sarà diverso ora.  Chi potrà essere il vero agente di cambiamento per i prossimi anni? Non certo l’M5S, almeno fino a quando resterà legato alle tematiche italiane e alle centrali milanesi; non finiranno con questa esperienza di governo ma resteranno in prospettiva un movimento minoritario.

Per certi versi i penta stellati ricordano la parabola dei radicali, meno quella dell’Uomo Qualunque o del pujadismo francese. L’unica prospettiva seria è ancora quella indipendentista. Quella esperienza politica non riparte da zero, sarà pure frammentata ma questa non si supera con vani appelli all’unità. Occorre riprendere Gramsci e il suo concetto di egemonia. Bisogna guardare alle esperienze altrui, anche a quelle leghiste.

L’egemonia può essere creata solo con un lavoro dal basso, le reti sociali non bastano. Il lavoro da fare deve essere incentrato sulla presenza nelle organizzazioni popolari, dai centri sportivi ai gruppi che si occupano di tradizioni, essere nelle vertenze del lavoro; quelle sull’ambiente, sul paesaggio,  e sulle servitù militari non bastano e comunque devono essere più incisive.

Significa conquistare i comuni e lì far sentire la propria diversità; le elezioni al governo della Sardegna sono il punto di arrivo e la forma di organizzazione politica si troverà. Quanto al nuovo governo dell’isola si aspetta con una certezza: nessuno sconto alla giunta Solinas così come è avvenuto per quella Pigliaru.

One Comment

  1. Antonino Pirellas

    un articolo profondo da rileggere più volte !

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