A tu x tu con Maria Antonietta Mongiu. In prima linea per la Sardegna [di Augusta Cabras]

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L’OGLIASTRA. Rivista di Attualità e Cultura della Diocesi di Lanusei. Febbraio 2019 N.2
Il tema del paesaggio è a lei molto caro. Cosa intende per paesaggio?

Il concetto di paesaggio così come lo intendiamo oggi, in Sardegna lo abbiamo recepito tardi. Abbiamo, tuttavia, una storia molto antica, in relazione ai luoghi, al loro riconoscimento e alla loro tutela dal punto di vista normativo. Non è un caso che il documento più antico del diritto sardo e tra i più antichi, in ambito europeo, si chiami Carta de Logu. Nella cultura sarda, nel nostro sapere di base, abbiamo norme che hanno agito da Eleonora d’Arborea fino al 1800, praticamente fino alla Legge delle chiudende.  Si è andati pertanto ben oltre il concetto di paesaggio nella cultura sarda, perché abbiamo una precisa definizione del concetto di luogo, densa di implicazioni e di complessità.

Dal secondo dopoguerra, purtroppo nei fatti, la classe dirigente sarda ha disconosciuto questa antica identità normativa.  Si è registrata nella gestione del territorio e del paesaggio una stagione buia specie negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e solo molto dopo un grande recupero nel riconoscimento del paesaggio, anche come valore economico.

Nel 2006 il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) ha riconosciuto e ha definito il paesaggio della Sardegna come parte fondante dellasua  identità, al pari della lingua, attuando l’art. 9 della Costituzione e il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004.

Oggi è  questo che dobbiamo difendere: il paesaggio come identità, da tutelare e da sottrarre alla speculazione e al consumo eccessivo. Questo concetto è stato espresso benissimo anche dal Papa nell’Enciclica Laudato si’ in cui afferma che la terra, fonte primaria per produrre cibo, non può essere confusa con la speculazione e l’arricchimento di pochi a danno di tanti.

 Il paesaggio quindi è natura, cultura, identità e memoria.

Il paesaggio è natura e cultura che si intrecciano perché sono interdipendenti. Noi abbiamo un intreccio molto forte tra natura e cultura, forse perché in Sardegna, e in Ogliastra in modo particolare, c’è una successione, inseditiva e culturale, dal Paleolitico fino ad oggi. Non c’è un altro popolo e un’altra terra in Europa che abbiano un paesaggio con queste caratteristiche ovvero insediato senza soluzione di continuità.

Per paesaggio intendiamo di conseguenza ciò che la Regione Sardegna ha voluto normare nel 2006 con il PPR, per ora solo sulle coste, cioè che il paesaggio (intreccio di natura e cultura) è la fotografia, come la lingua, di una storia millenaria. Il paesaggio è quindi un sistema identitario. E dire questo è impegnativo!

 La Sardegna possiede questo intreccio di natura e cultura così potente, questa storia millenaria unica ma ha un problema di valorizzazione?

Io ormai ho cancellato da molto la parola valorizzazione quando parlo di paesaggio e di beni culturali, materiali e immateriali, perché l’intreccio tra natura e cultura ha un valore intrinseco. Non c’è bisogno di valorizzare ma di tutelare, conservare, manutenere. Noi riusciamo a difendere ciò che amiamo ma amiamo ciò che conosciamo.

Penso che la maggior parte dei sardi, molti ragazzi ma anche molti adulti, non conoscano la complessità del patrimonio storico e culturale della Sardegna. Se andassimo in giro a chiedere ai giovani che cosa sanno del loro paese, delle loro campagne, dei beni culturali o delle piante del loro territorio forse la maggior parte non saprebbe rispondere. Non abbiamo la pedagogia della conoscenza profonda sulla nostra terra. Ce l’avevano molto di più le passate generazioni. Non avere questa conoscenza è attualmente segno di una perdita rispetto al proprio territorio e di conseguenza di se stessi.

 C’è quindi una grande difficoltà nella trasmissione di conoscenza e di sapere tra le generazioni. Cosa si può fare per evitare questo?

Credo che sia in atto una profonda crisi della comunità educante. Non è solo la crisi della  trasmissione in famiglia. Ma è presente nella scuola, in parrocchia, nelle associazioni. C’è nei nostri territori, prima che uno spopolamento demografico, una desertificazione culturale e pedagogica. E’ questo il tema cruciale.

La crisi della trasmissione discende dalla crisi di una comunità che si presuppone educante e di coinseguenza è crisi di sistema. Si tratta intanto di vederla e di riconoscerla questa crisi e non è affatto scontato che accada, perché ammetterla significa mettersi in discussione.

In Sardegna abbiamo questo grande limite, che non è dato solo dall’elemento economico, anzi! Faccio un esempio. In Sardegna c’è un numero elevatissimo di iniziative culturali ma slegate tra loro, molto autoreferenziali e poco comunicanti tra loro e con il contesto, che non incidono semplicemente perché non sono il frutto di un lavoro di comunità.

Se si va a verificare l’investimento di denaro per le iniziative culturali tra Sardegna e Lombardia, in proporzione al numero di abitanti, l’investimento è più alto in Sardegna ma in Lombardia vengono premiate e finanziate le iniziative che fanno parte di un sistema, che nascono nelle comunità e su queste possono virtuosamente incidere.

Le nostre comunità sono deboli; se prima incidevano soggetti percepiti forti come la scuola, la parrocchia, l’associazionismo ecc.  che evitavano la dispersione della conoscenza e della competenza, ora le stesse stanno venendo a mancare.

 Parlando di Sardegna non si può non parlare di insularità…

Rispetto al concetto d’insularità dobbiamo ribaltare il punto di vista perché essere nati in Sardegna non è e non deve essere un disvalore. Essere nati in Sardegna significa che nonostante ci sia una distanza fisica oggettiva dal resto della nazione dobbiamo comunque essere messi nelle stesse condizioni di chi questa distanza non ce l’ha. Dobbiamo avere le stesse opportunità di partenza. I talenti sono presenti dappertutto, aumentano e vengono rafforzati con la conoscenza e la competenza ma in Sardegna sono inferiori le opportunità per coltivarle.

E’ importante che lo Stato riconosca il principio di insularità in Costituzione, così come era prima della modifica del Titolo V della Costituzione, non solo per un fatto economico, di per sé importante (l’insularità ha un peso di 3/4 miliardi di euro). Non solo di soldi si tratta, quanto di consentire alle future generazioni sarde di avere e di percepire che hanno  stesso punto di partenza dei loro coetanei italiani ed europei.

Le imprese non pagherebbero il 40% in più di quello che pagano e tutti avrebbero la possibilità di muoversi nel territorio nazionale senza aggravi di spesa. L’insularità è un valore insostituibile a patto che i sardi sabbiano le stesse opportunità di un qualsiasi altro cittadino europeo. In questo modo si può uscire dall’idea di sviluppo per aderire a quella di progresso, inteso come crescita di tutti.

 

 

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