L’efficacia presunta del reddito di cittadinanza [di Remo Siza]

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Osservatorio nazionale sulle politiche sociali welforum.it. 23 maggio 2019. In queste prime settimane di avvio del reddito di cittadinanza sono stati espressi giudizi affrettati sulla sua capacità di contrastare efficacemente la povertà. Troppo spesso emergono semplificazioni nella valutazione dei primi esiti della misura, si sottolineano sprechi, comportamenti opportunistici dei beneficiari. Oppure al contrario, emerge un atteggiamento opposto che attribuisce un valore positivo alla misura perché esprime una attenzione nei confronti delle persone in condizione di povertà e destina al superamento di questa condizione rilevanti dotazioni finanziarie.

Indubbiamente il reddito di cittadinanza è una misura importante per il contrasto delle povertà, attesa da molti anni, che amplia sensibilmente la platea dei beneficiari previsti dal REI. Ma i suoi risultati non sono scontati, non dipendono linearmente dalle sue dotazioni finanziarie. Ciò che dobbiamo evitare è una sorta di efficacia presunta, supporre, cioè, che sia sufficiente finanziare generosamente una misura per raggiungere i risultati auspicati e dare risposta alle esigenze concrete delle famiglie e delle persone.

Negli anni Ottanta del secolo scorso tra gli operatori sociali era molto noto un libro pubblicato qualche anno prima di Vittorio Emiliani dal titolo L’Italia mangiata (Einaudi 1977) che descriveva lo spreco di risorse di tanti enti e programmi nati con le più nobili intenzioni e stanziamenti molto generosi e trasformati in pochi anni in uno spreco di risorse pubbliche superiore ai duemila miliardi delle lire di allora. Gli enti spendevano quasi la metà dei finanziamenti pubblici per organizzare i loro interventi, un 40% per prestazioni di carattere economico, la quota restante per interventi educativi o di riabilitazione.

Gli enti assistenziali (a favore degli orfani dei lavoratori, degli anziani, dell’infanzia, delle persone con disabilità) non ci sono più grazie alle lotte degli operatori sociali, delle associazioni e delle forze politiche più avvertite. Permane, però, una spesa puramente assistenziale molto elevata, nata anch’essa con finalità sociali e di crescita e protezione delle persone più vulnerabili, come hanno documentato le ricerche dell’IRS coordinate da Emanuele Ranci Ortigosa, che ora è difficile modificare per indirizzarla equamente verso le persone che necessitano maggiormente di cura e privilegiare una logica maggiormente attivante.

Le azioni e i progetti finalizzati a contrastare una deriva assistenzialistica della spesa sono ancora molto deboli. L’art. 24 della legge 328/2000 che delegava al Governo il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo in vent’anni non ha fatto un passo in avanti.

La legge 28 marzo 2019, n. 26 che ha istituito il Reddito di cittadinanza, così come tante leggi che la hanno preceduta, ha abrogato buona parte del decreto istitutivo del REI lasciando inalterate altre norme che prevedono una miriade di benefici sociali a sostegno del reddito delle famiglie (assegni vari per frequenza asili nido, di natalità, bonus sociale per energia elettrica e gas, contributi per la morosità incolpevole…).

Sostanzialmente si è adottata anche in questa occasione una logica aggiuntiva: si approva una nuova legge che non modifica la normativa esistente e che si aggiunge prevedendo una nuova tipologia di benefici, accrescendo in questo modo frammentazioni e duplicazioni di interventi e complicando le modalità di accesso alle varie misure e riducendo la loro visibilità.

Non intendo sostenere che il Reddito di cittadinanza sia destinato ad una deriva assistenzialistica, ma più semplicemente che così come accaduto negli anni passati con tante altre leggi, la sua evoluzione positiva o negativa non dipende soltanto dall’entità delle risorse di cui dispone, ma soprattutto dai soggetti, dai percorsi attuativi e dai tempi che si privilegiano. Da diversi decenni operatori, associazioni di terzo settore sostengono che i sistemi di welfare devono prevedere due versanti di azione:

  • un versante riparativo e di protezione sociale, al fine di assicurare un benefico economico e un sostegno al reddito alle persone e alle famiglie in assenza di un reddito da lavoro adeguato;
  • un versante attivante che preveda programmi capaci di favorire la crescita delle persone, attivare le loro capacità e le loro risorse professionali e di relazione.

Preoccupa che il percorso attuativo del Rdc non stia creando le condizioni affinché questi due versanti di cura risultino coordinati: c’è una sfasatura sempre più profonda fra la fase di erogazione dei benefici economici e la fase della attivazione; approssimazioni e incertezze organizzative non secondarie, criticità dei soggetti ai quali è affidato l’attuazione delle disposizioni, rallentano quasi esclusivamente il processo di attivazione. Il rischio molto elevato è che queste incertezze producano nuove forme di assistenzialismo.

In molti casi gli interventi di sostegno al reddito non accompagnati da azioni di attivazione possono comunque aiutare le persone a superare la loro condizione. In altri, quando la povertà ha un carattere multidimensionale, quando non è solo assenza di reddito, ma è dipendenza patologica da sostanza di abuso, incapacità di relazione, degrado, il sostegno economico ha degli effetti inattesi o controintuitivi, crea spesso dipendenza piuttosto che favorire la partecipazione al mercato del lavoro e alla vita sociale, stabilizza condizioni di vita piuttosto che avviare un processo di crescita.

Il neoassistenzialismo che rischia di emergere non è più quello del passato, non ha legami organici con i gruppi sociali e le associazioni che hanno prodotto e orientato l’assistenzialismo nei decenni trascorsi (le associazioni per specifiche patologie, invalidità, gli enti nazionali). Il neoassistenzialismo è soprattutto un “assistenzialismo digitale”, che si rapporta, principalmente, agli individui non organizzati che per accedere alle prestazioni si mobilitano senza mediazioni associative, che vivono e operano con destrezza nelle reti di comunicazione digitale, nelle reti sociali virtuali.

Il riferimento prioritario non è più territoriale, il Comune, ma la rete e i soggetti e le strutture organizzative come i Centri per l’impiego, i CAF, gli Uffici postali che favoriscono per loro natura un accesso individuale e una presentazione on-line della domanda.

La comunicazione e l’orientamento avviene in modo individuale attraverso la rete, gli avvisi non più attraverso i punti unici di accesso previsti dal REI che consentivano uno scambio di conoscenze e costituivano un punto di aggregazione territoriale. I centri per l’impiego con molte difficoltà potranno avviare politiche di attivazione che accompagnino il beneficio economico, azioni di orientamento, di formazione, di sollecitazione dei comportamenti più appropriati. L’importo degli assegni economici erogati, almeno dai primi dati, non sembra capace di avviare un cambiamento significativo.

In molti casi il beneficio economico non sembra sufficiente a superare una condizione di povertà: una parte dei primi richiedenti è probabilmente costituta da working poor, o persone che ricevono modesti benefici assistenziali, persone cioè che hanno comunque un reddito seppure inferiore alla linea di povertà e che sono probabilmente proprietari di un appartamento.

Pertanto, l’integrazione al reddito definita dal Rdc è modesta, oppure i requisiti di accesso sono troppo rigidi, la distinzione tra componente di integrazione al reddito e contributo per il fitto non funziona. Oppure le risorse di cui dispone il Rdc seppure ingenti non sono ancora sufficienti per contrastare i livelli di povertà presenti in Italia.

Più in generale, la teoria del programma del Reddito di cittadinanza non è ancora sufficientemente definita soprattutto negli aspetti che riguardano le azioni attivanti, il coordinamento tra attivazione e beneficio economico. La strategia complessiva che intende perseguire è ancora incompleta su aspetti riguardanti la costruzione di una rete fra i vari soggetti che intervengono nella materia, i coordinamenti, i progetti di utilità sociale.

Come è noto, la teoria del programma non si riferisce alla formulazione rigorosa e sistematica di principi o alla natura di un problema: è semplicemente la descrizione della successione degli eventi, delle relazioni causa-effetto che il programma privilegia per raggiungere i suoi obiettivi. La teoria del programma individuata dalla legge 28 marzo 2019, n.26 che ha istituito il Reddito di cittadinanza, è puntualmente definita negli aspetti riguardanti l’erogazione del beneficio, il calcolo dell’entità spettante al beneficiario, le sanzioni e i controlli, mentre rinvia la definizione di molti articoli riguardanti l’attivazione ad una pluralità di successivi decreti, accordi, linee guida.

Alcuni di essi sono cruciali e una loro definizione parziale può compromettere ogni strategia attivante. Mi riferisco, in particolare agli adempimenti previsti dall’articolo 4 comma 5-quater che regola uno snodo centrale della legge: i casi in cui, cioè, l’operatore del centro per l’impiego ravvisi che nel nucleo familiare dei beneficiari siano presenti particolari criticità in relazione alle quali sia difficoltoso l’avvio di un percorso di inserimento al lavoro, e decida l’invio del richiedente ai servizi comunali competenti.

La definizione dei criteri generali da adottare in sede di valutazione per l’identificazione delle condizioni di particolare criticità sono rinviati ad un accordo in sede di Conferenza unificata.

Ugualmente, per la redazione del Patto per il lavoro e dei progetti di utilità sociale a titolarità dei Comuni, il comma 15 dello stesso articolo rinvia ad un decreto la definizione di appositi indirizzi approvati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

I commi 1 e 3 dell’art. 4 prevedono un ulteriore rinvio: i soggetti, i principi e criteri generali da adottarsi da parte dei servizi competenti al fine dell’esonero all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale sono definiti, con accordo in sede di Conferenza Unificata. Infine, l’art. 6, al fine di consentire l’attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e dei Patti per l’inclusione sociale, prevede l’istituzione del Sistema informativo del Reddito di cittadinanza.

Anche qui, per la sua applicazione bisognerà attendere un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) e il Garante per la protezione dei dati personali, e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato-Regioni.

*Sociologo, è autore di numerose pubblicazioni sulle politiche di contrasto delle povertà

 

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