“Su grodde est arribende a Casteddu…” La poesia di Nanni Falconi in un happening a Cagliari il 6 agosto a Su Tzìrculu in Via Molise 58 [di Alessandro Mongili]

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Quasi ogni giorno, aprendo Facebook, i versi di Nanni Falconi ci arrivano, e ci illuminano. In un sardo ricchissimo, che ci fa sentire sempre troppo ignoranti in relazione alla grande ricchezza della nostra lingua, Falconi ci conduce in un mondo poetico autentico, innovativo sul piano letterario, del tutto estraneo al solito auto-esoticismo della letteratura sarda, soprattutto quella in lingua italiana. Non è poesia dell’identità, quella di Falconi, è poesia tout-court.

Il 6 agosto prossimo, a Su Tzìrculu nella Via Molise 58 a Cagliari, alle 19.00, nel corso di un happening al quale parteciperò anch’io, assieme a Maria Antonietta Mongiu, Cristina Maccioni, Francesca Salis, Isabella Tore, avremo la fortuna di festeggiare la pubblicazione di molte di queste poesie straordinarie, raccolte nel volume Su grodde bos at a contare de me (“La volpe vi racconterà di me”). L’Autore sarà presente.

È importante che un’opera così innovativa, estranea al registro auto-esoticista di tanta letteratura sarda in italiano e al suo intimismo e autobiografismo minimo-borghese, sia scritta in lingua sarda. E non è un caso. Il sardo, così minacciato, stigmatizzato e spogliato di desiderio per chi usa la letteratura solo per costruire distinzione sociale e successo personale, occupa un ruolo marginale nella produzione letteraria sarda.

Purtroppo sono pochi gli autori che abbiano capito quale operazione culturalmente rivoluzionaria e creativa sia la scrittura in sardo. Il sardo manca di pubblico e non è adatto alle pratiche di consumo culturale provinciale, che si esprimono in modo ripetitivo e improduttivo – ad esempio – nella panoplia dei festival “letterari”, molto utili per i dispositivi della produzione editoriale italiana, meno per la crescita culturale dei sardi.

Non è adatto a queste forme tardive e imitative di consumo culturale perché esige un rigore e uno studio linguistico che non è alla portata di tutti. E i narratori sardi non si caratterizzano certo per impegno, quanto per il loro conformismo e per ricerca narcisistica di successo e di fama, anche effimera, ma spasmodica. Tuttavia, questa situazione di crisi si risolve in un’autentica benedizione quando, come nel caso di Falconi, conduce alcuni autori a un percorso di ricerca autentica, qui di assoluta dedizione al verso. La solitudine e una certa marginalità hanno creato condizioni dure ma autentiche per la fioritura della poesia e della creazione letteraria di Nanni Falconi.

Il suo verso si distacca in modo spettacolare dalla tradizione della poesia a bolu. È verso libero, sorge dal nostro tempo e contiene analisi e immagini fulminanti che riguardano la vita di oggi, o la natura umana. Egli sceglie con attenzione le parole, per garantire la musicalità del verso, ma rifiuta la metrica che a suo parere ingabbia il pensiero e lo rende artificioso. Nel tempo ha acquisito la piena consapevolezza dei suoi mezzi e la sua voce si è fatta più sicura definendo il suo stile in modo più chiaro e riconoscibile, creando un linguaggio ricco di suggestioni grazie al quale incarna il sentire di un’anima affaticata ma mai vinta.

Il verso di Falconi è fratello della nostra epoca più che essere figlio di una tradizione, più che essere specchio di presunte identità. Spesso trasmette sofferenza e pessimismo, più che per la condizione umana, per l’isolamento della produzione sardofona dal campo della produzione culturale, del dibattito pubblico, della distribuzione delle opere e del confronto con i lettori.

Il verso di Falconi è colto, è immerso nella grande letteratura e trae linfa dal lavoro di traduttore dell’autore, che riguarda soprattutto la poesia americana e in particolare Eliot e Whitman, che ha tradotto in sardo. Il suo verso è così ricco da risultare una sfida vera e un’occasione quotidiana di crescita per noi poveri sardofoni da quattro soldi. È un’esperienza unica anche in questo senso.

Falconi è del tutto privo di quella nota di nostalgia piccolo borghese per il perduto mondo dei pascoli erranti e de sa laurera, poiché egli stesso è pastore, per mestiere.

Falconi non ha bisogno di vestire il vellutino come tanti imprenditori dell’identità, perché lui ha veramente munto le pecore, e magari le munge ancora, al mattino, nel suo stazzo tempiese. In continuità con questo rapporto intimo con la materialità, Falconi non prova soggezione per la tecnologia, e non soffre della tecnofobia snob di tanti intellettuali estranei alla durezza della vita produttiva. Egli è stato uno dei primi a capire l’importanza di internet per la risardizzazione linguistica che viviamo, ed è oggi utilizzatore accorto dei social network.

Presente sin dai tempi mitici della Lista sardofona attivata dall’Università di Colonia in Germania nel 1999, al cui interno il sardo diventò nuovamente una lingua usabile, nella scrittura, per esprimere qualsiasi cosa, Falconi ha immediatamente colto l’importanza di un sardo che circoli in ambiti non ristretti e che sia leggibile da qualsiasi sardofono. Con generosità, pur essendo logudorese, ha accettato nella grafica le forme della limba sarda comuna, alle quali egli applica alcuni accorgimenti “meridionalizzanti” per i quali, da cagliaritano, non posso che ringraziarlo di cuore.

Dunque, beni beniu, o Nanni, nella città di Aquilino Cannas, di Teresa Mundula Crespellani, e di Pintoreddu.

Nanni Falconi. Su grodde bos at a contare de me Ilartzi: NOR, “Is cruculeus”, 2019, pp. 79, € 8,00

 

 

 

 

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