Roventini: “Senza la Lega un nuovo governo può fare grandi cose: salario minimo, no flat tax, zero gas serra, soldi a sanità e istruzione” [di Gea Scancarello]

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https://it.businessinsider.com/roventini-senza-la-lega-un-nuovo-governo-puo-fare-grandi-cose-salario-minimo-no-flat-tax-zero-gas-serra-piu-soldi-a-sanita-e-istruzione/21 agosto 2019. Il suo nome potrebbe tornare a circolare nei prossimi giorni, quando, con ogni probabilità, sarà necessario ripensare alla compagine governativa, e al Movimento Cinque Stelle saranno assai utili consigli su come invertire la rotta.

Andrea Roventini – economista, professore associato alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e già suggerito come ministro nell’Economia da Luigi Di Maio nel 2018 – saprebbe da dove partire: regolamentazione del mercato, ruolo dello Stato e la necessità di abbandonare un certo neoliberismo mascherato che ha guidato i provvedimenti spinti dalla Lega nella fase che si è appena conclusa.

Temi in linea con l’idea di un capitalismo diverso, e migliore, di cui già aveva chiacchierato con Business Insider, e su cui negli ultimi giorni arrivano segnali persino dai più insospettabili capitani d’azienda della corporate America.

Ha fatto notizia il documento dei 200 capi d’azienda americani in cui si chiede un capitalismo migliore. E, nel suo discorso al Senato, l’ex premier Giuseppe Conte ha invocato per un suo eventuale bis un ruolo più forte – ancorché non dirigista – dello Stato.

“A partire dagli anni 60, nell’economia politica c’è stato un movimento accademico e culturale che ha cercato di convincerci che il mercato ha sempre ragione e funziona perfettamente per cui l’intervento dello Stato, come ad esempio l’introduzione del salario minimo, crea sempre inefficienze e costi per la collettività.

Questa fiducia cieca nella magnifiche sorti e progressive del libero mercato è stata ripetuta come un mantra e insegnata in molte Università a generazioni di studenti, portando ad una sfiducia nell’intervento pubblico nella politica monetaria e fiscale. La Banca Centrale deve controllare solo l’inflazione, mentre le politiche fiscali sono dannose perché sottraggono risorse al settore privato per darle a quello pubblico.

L’egemonia del mercato ha pervaso la finanza: secondo la teoria “Fondamentalista” del premio Nobel Fama, i prezzi delle azioni riflettono il valore delle aziende, cioè dei loro profitti presenti e futuri, per cui nei mercati finanziari non possono esserci bolle speculative”.

Un pensiero un po’ ardito.

“Ma sostenuto da numerosi economisti tanto da divenire egemonico e da portare alla deregolamentazione spinta dei mercati finanziari, una delle cause della crisi del 2008. Tuttavia, Fama ha comunque continuato a sostenere che la crisi dei mutui subprime non era dovuta ad una bolla finanziaria: l’integralismo può arrivare a vette molto elevate! Nel frattempo si sono diffuse teorie alternative come quelle di Shiller che tengono conto dell’”esuberanza irrazionale” dei mercati.

Ma Fama e Shiller pur sostenendo tesi opposte hanno vinto il premio Nobel nel 2013: un po’ come conferire un premio sia a Tolomeo che a Copernico. A livello d’impresa e di teoria manageriale si è diffusa l’idea, ispirata originariamente da Milton Friedman, che i manager devono perseguire la massimizzazione dei profitti, creando valore per gli azionisti, e aumentando così le chances di ricevere aumenti di stipendio e laute stock options”.

 E adesso qualcosa è cambiato?

“Dopo la crisi del 2008 fortunatamente ci si è resi conto che il mercato da solo non basta, ma anzi può portare a risultati catastrofici. La politica monetaria non può essere ossessionata solo dall’inflazione; la politica fiscale è un valido strumento per rilanciare l’economia durante una recessione; i mercati finanziari deregolamentati non funzionano bene perché il rischio non può essere totalmente diversificato e i comportamenti elusivi dei regolamenti degli istituti finanziari accentuano la formazione di bolle e l’instabilità.

Infine ci si è resi conto che le imprese non possono solo massimizzare valore per gli azionisti, come insegnato comunemente nelle business school. Come diverse generazioni di economisti sono stati formati con l’idea che il mercato ha sempre ragione, così intere generazioni di manager e quadri aziendali sono stati educati con il pensiero unico della massimizzazione del valore degli azionisti, non considerando gli altri obiettivi sociali delle imprese”.

 Cosa ci fa pensare però che oggi la lezione sia realmente assimilata, e non si tratti solo di un nuovo tipo di opportunismo?

“Se si analizzano la narrativa e i discorsi delle imprese si nota che c’è un’attenzione crescente per l’ambiente ed il cambiamento climatico (ad esempio l’obiettivo di essere “carbon neutral”), e per la responsabilità sociale. Naturalmente possono essere solo strategie comunicative, ma i frutti ci permetteranno di giudicare.  Nel frattempo, possiamo e dobbiamo creare incentivi, regolamentazioni e politiche pubbliche per essere sicuri che le imprese prendano coscienza dei rischi ambientali e della loro responsabilità sociale.

Per esempio, si possono fissare standard più stringenti per le emissioni di gas serra, si può introdurre una carbon tax e si possono rompere i monopoli dei giganti di internet. Di quest’ultima misura si discute da tempo negli Stati Uniti, che hanno una lunga tradizione di contrasto dei monopoli.

Anche se non si smembreranno le grandi imprese di internet, sicuramente è opportuno modificare la legislazione italiana, europea e possibilmente mondiale per assicurarsi che paghino finalmente le imposte: la web tax è un buon inizio. I mercati finanziari ed il settore bancario vanno assoggettati ad una regolamentazione più stringente ed allo stesso tempo semplice, per evitare scappatoie e comportamenti elusivi”.

 Questo richiede però un forte intervento del governo, e una forte novità. Considerata la situazione politica attuale, quale di queste lezioni il prossimo governo – anche se dovesse nascere da una costola di quello appena caduto – potrebbe assimilare?

“Bè, diciamo che l’esperienza di questo governo ci ha lasciato in eredità pochi provvedimenti positivi in un oceano di cose negative. Tra i primi, metterei il decreto Dignità che ha ri-regolamentato il mercato del lavoro, perché se si vogliono fare i contratti a tutele crescenti vanno disincentivati e possibilmente eliminate le altre tipologie contrattuali, come già sosteneva Olivier Blanchard.

Un altro elemento positivo è stato, ovviamente, il reddito di cittadinanza che si è innestato sul Rei, e che andrà messo a punto dal prossimo governo. Detto questo, ci sono una serie di provvedimenti negativi, spinti dalla Lega e dalla sua visione bipolare della politica economica.

Da un lato ci sono provvedimenti ultra liberisti come la cosiddetta tassa piatta. Hanno provato a raccontare la bufala che si sarebbe pagata da sola: l’economia e l’evidenza statistica invece insegnano che non è vero, e che la flat tax aumenta il deficit pubblico e accresce le disuguaglianze sociali dato che ne beneficiano principalmente i ricchi.

Dall’altro lato ci sono politiche populiste di stampo peronista come la famigerata quota 100, un regalo a determinate categorie sociali (maschi di mezza età con carriere continue), solo per raccogliere voti. Il quadro disastroso si completa con una serie di condoni fiscali spacciati per “pace fiscale” e con l’introduzione delle quote forfettarie per le piccole imprese che le spinge ad evadere o a rimanere piccole. Quindi esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare uno Stato che fa politica industriale e guida l’innovazione delle imprese e cerca di farle diventare più grandi”.

Pensa che, con un’altra composizione del governo, si possa fare di meglio?

“Bè, prima della crisi di governo ero realmente pessimista. Ora sono moderatamente ottimista perché senza la Lega al governo è facile fare meglio, semplicemente evitando certe politiche che non avrebbero aumentato la crescita ma solo esacerbato le disuguaglianze e scassato i conti pubblici. Spero che un nuovo governo possa fare di meglio, anche se il percorso sarà difficile dato che deve essere disinnescato l’aumento dell’IVA”.

Quale percorso dovrebbe seguire, in politica economica, il nuovo governo, per segnare discontinuità e fare un’operazione realmente diversa?

“Spero che si potranno intraprendere passi per una crescita sostenibile e inclusiva, innanzitutto destinando maggiori risorse a sanità, istruzione, ricerca, primo motore dell’innovazione. E poi un grande piano per rilanciare la crescita della produttività contrastando il cambiamento climatico.

Come nel Regno Unito va introdotto al più presto l’obiettivo di zero emissioni di gas serra per il 2050 e lo Stato deve intraprendere una seria politica industriale a favore delle imprese per stimolare l’economia verde, aumentando l’innovazione, creando nuove tecnologie, stimolando la nascita di nuove imprese e l’occupazione. Infine, andrebbe introdotto il salario minimo, di concerto con i sindacati, per contrastare la disuguaglianza e tutelare maggiormente i lavoratori più deboli”.

 

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