Sarajevo. House of all [di Sergio Vacca]

Bascarsija-sarajevo

Salvo una brevissima parentesi non tornavo a Sarajevo da vent’anni. 1999. Vi avevo trascorso a più riprese oltre cinque mesi in un’azione di cooperazione internazionale. In un sobborgo di oltre tremila abitanti della città di Pale, già capitale della Repubblica serba di Bosnia, mancava perennemente l’acqua. Mentre a Sarajevo, città martoriata dai bombardamenti dei serbi cominciavano ad arrivare consistenti aiuti, soprattutto dai paesi musulmani del Golfo, i Serbi, che erano stati “molto cattivi”, non ricevevano aiuti di sorta.

Il governo italiano dell’epoca colse al balzo un’iniziativa della Regione Sardegna, che aveva deciso di donare un piccolo impianto di potabilizzazione riciclato, fino ad allora utilizzato in attività sperimentali dell’Ente Flumendosa. Decise che l’impianto sarebbe andato ai Serbi di Pale, per mostrare a quella popolazione la benevolenza degli italiani, allora presenti a Sarajevo, con giurisdizione nell’area serba di Pale. A rappresentare l’Italia, un contingente in armi della Brigata Sassari. Vent’anni fa proprio a settembre costruimmo l’impianto che avrebbe reso potabile e quindi servito la popolazione di Sumbulovach, alla periferia di Pale.

Sono tornato a Sarajevo per un meeting tra sindaci Portoghesi, Spagnoli, Bosniaci e Italiani a rappresentare con il sindaco ed altri amministratori di Seneghe, l’Unione dei Comuni Montiferru Alto Campidano.

Riunioni e cerimonie col sindaco di Sarajevo ed il vice ministro della Giustizia della Federazione Bosniaca, hanno occupato pienamente la tre giorni dei lavori. Il sabato, oltre alla visita ad un liceo paritario, fondato dalla Chiesa cattolica, la visita alla “House of all”, la “Casa di tutti”.

Per la sua posizione geografica la Bosnia è sempre stata un’area di passaggio nelle migrazioni che, nei millenni, hanno portato le popolazioni provenienti dal vicino e dal medio oriente verso occidente. Le cosiddette migrazioni indoeuropee.

Oggi, guerre, condizioni economiche allo stremo in una vasta area del vicino oriente, la Siria e l’Irak, o del Pakistan o dell’Afghanistan alimentano flussi di migranti verso presunte migliori condizioni di vita ed economiche dei paesi occidentali.  L’Unione Europea, Germania e paesi del nord, in testa nei desideri di chi percorre quelle vie.

I paesi sovranisti, Ungheria in testa, sbarrano la strada alle popolazioni in transito; in Bosnia, con una frontiera verso sud difficile da presidiare, il transito di migranti è piuttosto sostenuto, con ordini di grandezza di 2500 passaggi al mese. Arrivano stremati, ma decisi a proseguire verso l’occidente.

La politica della Federazione verso questo fenomeno appare bipolare ed è prevalentemente determinata dalle diverse Repubbliche; quella Srpska, Serba di Bosnia, appare particolarmente influenzata dall’Ungheria, che peraltro offre un’assistenza tecnico-militare. Mentre l’Erzegovina sembra muoversi con maggiore difficoltà nell’intercettare i flussi migratori. Anche per la sua identità etnica, prevalentemente musulmana-sunnita, l’Erzegovina pur non disponendo di una specifica legislazione, ammette forme di assistenza ai migranti e non ostacola l’inclusione di coloro che intendano trattenersi nel Paese.

“House of all”, la “Casa di tutti”, è un esempio delle azioni di integrazione, ma anche di inclusione. Voluta da un industriale bosniaco la “Casa di Tutti” è una struttura che assicura l’assistenza a migranti di passaggio e a persone che desiderano trattenersi. La presenza costante è di circa cento tra adulti e bambini. L’edificio è una palazzina di quattro piani circondata di un grande cortile con un piccolo parco giochi per i più piccoli e una coppia di canestri per il basket.

Mi viene incontro Alì che in un perfetto inglese mi chiede chi io sia e  – ad una mia domanda in un inglese, non altrettanto polite –  mi risponde che ha camminato tantissimo, che si è tanto stancato e che sta bene dove si trova. E’ con i genitori e viene dalla Siria. Ha imparato l’inglese in cammino.

Mareja, adolescente curda, con un gran sorriso e – anche lei in un perfetto inglese – descrive la vita nella “Casa di Tutti”. Va a scuola, in una classe equivalente alla nostra terza media, e spera di poter proseguire gli studi con l’aiuto economico della Municipalità di Sarajevo.

Antonio, un ragazzone alto di Milano, laurea alla Bocconi e Master alla Cattolica, si trova lì a fare il Servizio Civile Internazionale. E’ molto motivato e si sente fortemente realizzato, anche se il suo futuro gli riserverà qualcosa di diverso. Julie, nuovayorkese, anche lei impegnata nel Servizio Civile Internazionale del suo Paese. Spera, per il suo futuro di continuare a lavorare in una qualche agenzia dell’ONU.

Cosa fate per loro? È la mia domanda. Tutto quanto necessario ad assisterli, ma anche ad aiutarli a raggiungere il loro obiettivo. E’ la risposta. E questo vale per coloro che transitano, ma anche per coloro che intendano rimanere nell’Erzegovina.

Si è sviluppata attorno all’iniziativa una rete, un po’ di protezione, ma tanto di aiuto: assistenza alla sopravvivenza, nell’immediato; psicologica, per chi ha subito i traumi della guerra; medica; scolastica; di avvio ad un’attività economica per che voglia trattenersi, aiutandoli a trovare un nuovo alloggio. In una parola, aiutandoli a rendersi indipendenti.

Nel suo discorso, il sindaco di Sarajevo ha toccato, sia pur brevemente, l’aspetto dell’assistenza ai migranti. Lo ha fatto senza enfasi, ma ha espresso la consapevolezza della dimensione epocale del fenomeno e dei processi ad esso connessi.

“Noi ci siamo e facciamo la nostra parte” è stato il suo messaggio. Una grande lezione di civiltà.

*Sindaco di Milis

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