Verso la democrazia plebiscitaria [di Nicolò Migheli]

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Il rapporto Censis del 2019 riportava una dato sconcertante, un italiano su due, il 48,2% del campione, vorrebbe un uomo forte al potere che non debba preoccuparsi di Parlamento e elezioni. Una soluzione che viene ben vista tra operai, il 62%, persone a bassa scolarizzazione, 62%, con redditi bassi, 56,4%.

Secondo il Censis la causa è l’inefficacia della politica ed estraneità da essa. Il 13 gennaio 2020 sulle colonne de La Repubblica è comparso un sondaggio Demos sulla riduzione dei parlamentari, da 945 a 600, secondo le modifiche costituzionali approvate dalle Camere e che potrebbe essere oggetto di referendum confermativo.

I dati pubblicati dimostrano che quelle modifiche sono viste bene dall’86% del campione degli intervistati. Una maggioranza bulgara che va oltre le divisioni in ceti. Se si andasse alle urne il dato potrebbe variare, ma di poco. Il dato scomposto per forze politiche vede la positività della legge per il 79% di chi vota PD, l’87% di Forza Italia, il 91% della Lega, il 90% del M5S che ne aveva fatto battaglia identitaria e il 93% tra Fratelli d’Italia. Le due rilevazioni mostrano una tendenza che si è radicata nell’opinione pubblica italiana fino a diventare senso comune.

Tutte le democrazie vivono la contraddizione tra l’esigenza della decisione e le forme di partecipazione alla stessa. Sono quarant’anni, da Craxi in poi, che vi è una lenta delegittimazione del Parlamento in favore dell’esecutivo. Un atteggiamento trasversale, che travalica la divisione tra destra e sinistra, solo le formazioni minori si sono opposte perché in questa ipotesi vedono ridotti i loro eletti. A una riforma si fatta parrebbe si accompagni una legge elettorale proporzionale con il blocco del 5%.

Nel caso della Sardegna significherebbe la scomparsa di qualsiasi partito di raccolta visto che il peso elettorale dei sardi è del 2,6% sul totale dei votanti italiani; in alternativa sarebbe obbligato ad apparentarsi con i partiti italiani a meno che non venga riconosciuta la minoranza linguistica, cosa che appare per il momento poco probabile. Nell’indagine Demos non compaiono dati disaggregati per regione, ma nel raggruppamento Sud e Isole il favore alla riduzione dei parlamentari raggiunge l’88%. Il progetto di distruzione della democrazia rappresentativa cammina a gambe levate.

È pur vero che la sfiducia nei confronti della politica in Italia ha radici antiche e questa non ha fatto nulla per poter recuperare, è altrettanto vero che il progetto della marginalizzazione della rappresentatività è la scelta che i ceti dominanti, quelli che hanno in mano il potere italiano, hanno fatto da tempo, basti ricordare il Piano di Rinascita della P2 di Licio Gelli. Oggi i tempi sono maturi. Il decisionismo dei leader autoritari coma Putin, Erdoğan, Orbán, trovano il favore popolare. La loro capacità di agire, l’essere assertivi, ignorare o avere dei parlamenti addomesticati è considerato un valore positivo.

Vengono vissuti come leader rassicurativi in un mondo in perenne crisi, una protezione contro la solitudine e la competizione contemporanee. Non a caso sono i campioni di quella che Bauman definiva con espressione felice Retropia, il passato come luogo felice e quindi una rinchiudersi in valori, identità e tradizioni spesso costruite ad hoc. La revisione che certe forze politiche fanno del fascismo italiano rientra in quei paradigmi. A cui si lega il primato dell’etnia dominante come ideologia favorita dalla scomparsa delle mediazioni in un rapporto continuo favorito dalle reti sociali tra il leader e la massa.

Queste vengono utilizzate per una comunicazione aggressiva che agisce come demoralizzante su chi si oppone, spesso esposto al pubblico ludibrio. Tutto quel che si frappone al leader va demonizzato, i mezzi di comunicazione che non si adeguano in prospettiva potranno essere chiusi. Si guardi al caso turco o ungherese. Ormai sono realtà che annunciano la svolta italiana e l’essere dentro al Ue non sembra più bastare come antidoto.

La democrazia plebiscitaria si presenta come tendenza internazionale, neanche i Paesi con solide tradizioni democratiche ne sono indenni. Quel che sorprende è che non ci sia nessuna opposizione a questo disegno da parte delle forze che si definiscono democratiche. Si è accettata la diminuzione dei parlamentari senza vera discussione, d’altronde il programma di riforma costituzionale di Renzi l’aveva.

Passo dopo passo si sta costruendo una società autoritaria, la stessa Costituzione per ora sembra un baluardo, ma se le forze della destra, quelle dell’uomo solo al commando, quelle che considerano il Parlamento non più necessario, dovessero avere una maggioranza capace di modificarla, cosa potrebbe succedere? Ci sarebbe una base popolare per poterlo evitare?  Il dubbio c’è tutto. È evidente che quando la riposta alla crisi della democrazia è il populismo l’approdo sono i regimi autoritari. Non c’è bisogno di guardare agli anni ’20 del secolo scorso, la bestia cresce ogni giorno davanti ai nostri occhi.

 

 

 

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