Spopolamento. Ora colpisce anche le città [di Antonietta Mazzette]

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La Nuova Sardegna 21 febbraio 2020. In questi giorni si è riaccesa l’attenzione della politica regionale verso un fenomeno assai noto in Sardegna: lo spopolamento delle aree interne. Ben venga questa attenzione, purché non sia strumentale a interessi di parte da chiunque provengano, compresi mirabolanti centri di ricerca, e purché si tenga conto delle numerose iniziative già presenti nei territori che si stanno spopolando, compresi gli sforzi dell’Anci anche in termini di proposte di legge.

A tal fine, mi permetto di formulare “due avvertenze” su come trattare il tema dello spopolamento. La prima è che non si promuova l’ennesima indagine (non me ne voglia la categoria dei ricercatori alla quale peraltro appartengo).

Semmai è tempo di fare ordine, ossia di fare una sintesi degli studi che si sono moltiplicati nel tempo sulle aree rurali e i piccoli insediamenti urbani, le cosiddette “aree fragili”. Da ognuno di questi studi è possibile ricavare sia le condizioni ambientali ed economiche che dalla seconda metà del secolo scorso sono diventate sempre più deboli, sia le condizioni socio-culturali che hanno portato a un lento (per il momento inesorabile) processo di senilizzazione della popolazione e conseguente svuotamento sociale della Sardegna che è sì partito dalle aree interne, ma che ha ormai iniziato a contagiare anche i poli urbani e le coste.

La seconda avvertenza riguarda il fatto che questo fenomeno non è specifico della nostra Isola, ma è un fatto globale: alle soglie del XXI secolo la popolazione urbanizzata ha superato numericamente quella rurale e non urbana. In questo quadro ricordo che l’Italia in alcuni decenni ha visto svuotarsi circa il 60% dei suoi territori a favore di alcune città. E ciò è dovuto a una serie di ragioni, di cui peraltro dà conto una significativa produzione documentaria di natura istituzionale: dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica alle organizzazioni comunitarie e transnazionali. In questi documenti è possibile trovare un ricco set di indicatori applicabili anche al caso sardo.

Da questo set estrapolo tre aspetti che, a mio avviso, dovrebbero avere la priorità nelle scelte d’azione politica: il nesso causa-effetto tra scarsa accessibilità ai territori e spopolamento; la forte presenza di suoli abbandonati dalla produzione primaria e, perciò, sottoposti al degrado o a un uso criminale (non si sottovaluti la diffusione di coltivazioni illegali di cannabis); la scarsità di servizi di base, senza escludere le tecnologie digitali.

Qui mi soffermo solo sul rapporto tra la non agevole accessibilità ai territori e lo spopolamento. Sottolineo come due fatti storicamente dati in Sardegna siano andati decisamente in rotta di collisione tra loro: da un lato, muoversi da un territorio all’altro è sempre stato estremamente difficoltoso, come abbiamo scritto recentemente Franco Annunziata ed io; dall’altro lato, però, uno dei caratteri principali e fondanti della modernità è stato proprio quello della mobilità.

In altre parole, le croniche condizioni della viabilità interna sarda si sono scontrate con le esigenze di una società che, entrata nei processi di modernizzazione, è ormai “in continuo movimento”. Mobilità non è soltanto spostamento da un luogo ad un altro, è anche provvisorietà dello stare, legami sociali deboli, destinazioni variabili a seconda delle opportunità e delle tendenze non solo economiche, entrata e uscita da vissuti comunitari, senza peraltro che ciò provochi traumi sociali.

Se tutto ciò ha un fondamento, allora bisognerebbe pensare a: 1. come rendere i sistemi di collegamento interni (compresi quelli con i porti e gli aeroporti) efficienti e adeguati a una società sempre più mobile; 2. come distribuire in tutti i comuni quegli elementi di qualità urbana che sono attrattivi per le popolazioni più mobili.

Insomma, niente istituzioni di commissioni (speciali o no che siano) o bonus, ma traduzione del patrimonio di studi e delle iniziative dal basso in mirate azioni politiche proiettate nel lungo periodo.

 

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